Prof. LUCA PIRETTA
Gastroenterologo e Nutrizionista
Università Campus Biomedico di Roma
Quando si parla di alimentazione ci si ferma abitualmente al concetto legato al tutto o niente. Ovvero un alimento “fa bene” o “fa male” in base a stereotipi generici o appartenenti all’immaginario collettivo e raramente ci si addentra nella complessità dell’argomento. Non esistono in realtà alimenti “buoni” o “cattivi” ma esiste il concetto di proporzionalità come suggerito egregiamente dalla grafica della piramide della dieta mediterranea (figura 1) dove appare chiaro che non esiste una discriminazione in termini di scelte di alimenti ma quello che deve guidare le logiche di una sana alimentazione sono ispirate alla proporzionalità e alla frequenza di consumo di alcuni cibi rispetto ad altri.
Sia i LARN (livelli di assunzione di riferimento) (1) che le Linee Guida italiane per una sana alimentazione (2) hanno chiarito dettagliatamente come le porzioni e le frequenze di consumo rappresentino l’obiettivo principale di insegnamento in una corretta campagna di educazione alimentare. I LARN definiscono porzione standard la quantità di alimento che si assume come unità di riferimento riconosciuta e identificabile sia dagli operatori del settore nutrizionale e sia dalla popolazione. La porzione standard deve essere coerente con la tradizione alimentare e di dimensioni ragionevoli, in accordo con le aspettative del consumatore. È una unità di misura di riferimento della quantità di alimento consumata e può essere espressa in unità naturali o commerciali effettivamente visualizzabili (ad es. frutto medio, fetta di pane, fetta di prosciutto, lattina, scatoletta ecc.) oppure in unità di misura casalinghe di uso comune (ad es. cucchiaio, mestolo, bicchiere, tazza ecc.). La porzione rimane comunque un concetto approssimativo e puramente indicativo sebbene molto importante. Una singola porzione può variare in funzione dell’esigenza calorica dell’individuo, della sua età, del suo sesso, della sua attività fisica, della soddisfazione personale, della sua sfera psicologica e della sua capacità organizzativa giornaliera. Pertanto, appare sbagliato considerare la porzione come un dogma insormontabile. Piuttosto, diventa opportuno considerare che un regime alimentare venga suggerito partendo da questo concetto di porzione per poi adattarsi alle singole esigenze individuali in modo da personalizzare il modello alimentare. Analogamente a questo concetto si esprime quello delle frequenze di consumo. Questo significa che una volta definita la porzione, diventa importante stabilire quante volte questa porzione può essere consumata in un giorno, o in una settimana, dal consumatore. A questo proposito, le linee guida per una sana alimentazione (2) hanno indicato le frequenze di consumo in base all’ammontare di differenti quote di calorie totali giornaliere assunte dal consumatore, cercando in questo modo di modulare e personalizzare l’assunzione degli alimenti in modo più congeniale alle reali necessità, sebbene, come abbiamo detto, l’apporto complessivo giornaliero rappresenta soltanto uno dei parametri da considerare in un’ottica di personalizzazione.
Ecco, quindi, che la scelta degli alimenti da utilizzare in una corretta dieta alimentare non deve tenere conto soltanto della composizione in macronutrienti (carboidrati, lipidi, proteine, fibre e acqua) o molecole bioattive (polifenoli, antiossidanti, fitosteroli, fitoestrogeni) o dell’apporto calorico perché, alla luce delle attuali conoscenze, sarebbe fortemente riduttivo se non andiamo oltre prendendo anche in considerazione il concetto di “quanto” e “quando” assumere gli stessi alimenti.
Sappiamo che la dieta mediterranea non esalta un singolo alimento rispetto ad un altro, ma che al contrario valuta nel loro insieme la combinazione di vari alimenti e li associa ad un regolare svolgimento dell’attività fisica. Gli alimenti base della dieta mediterranea come sappiamo sono: frutta e verdura (apportano vitamine, sali minerali, polifenoli, antociani, acqua, fibra), cereali (carboidrati complessi e proteine), pesce (proteine di elevato valore biologico, omega 3, sali minerali), legumi (proteine di medio valore biologico, fibra, carboidrati complessi), olio (acidi grassi MUFA e PUFA, vitamine, polifenoli, molecole bioattive). Diciamo che questi sono gli alimenti base proprio perché sono quelli che devono essere consumati in maggior quantità (porzioni) e con maggior frequenza. Il concetto di porzione e frequenza permette peraltro di non escludere dalla dieta mediterranea anche gli altri alimenti, i cui consumi devono essere definiti anch’essi da porzioni e frequenze e mai esclusi. Ci riferiamo per esempio alle carni, ai prodotti dolciari e ai condimenti. Questo è molto importante perché l’aspetto edonistico, sociale, psicologico e conviviale del cibo rappresenta una dei cardini moderni della dieta mediterranea. I nutrienti apportati da questi altri alimenti sono altrettanto importanti per la salute (zuccheri, grassi, sali minerali ecc.) e il loro apporto in una corretta alimentazione è altrettanto valido ed opportuno se si rispettano anche per loro i concetti di porzione e frequenza. La proibizione immotivata non è salutare ma soprattutto non è necessaria. Anche la restrizione eccessiva può essere controproducente. Un recente report della commissione EAT Lancet suggerisce un progetto di dieta universale prendendo come riferimento la dieta mediterranea cercando di darle una veste di universalità per adattarla a tutti i paesi del mondo e genericamente a tutti gli individui andando in direzione opposta ai concetti di personalizzazione appena espressi.
Il problema di questo report sulla dieta universale è che dopo una banale e scontata dichiarazione di intenti e propositi, coraggiosamente suggerisce in modo particolareggiato le grammature dei singoli alimenti da ingerire da parte di ogni individuo. E qui non può che alzarsi una montagna di perplessità. Per fare qualche esempio. Si consiglia un consumo di 14 g al giorno di prodotti derivati dalla carne. Questo corrisponde a una piccola fettina di carne o una mezza bistecca a settimana. Il pesce, circa 200 g a settimana (una porzione), il pollo idem (una porzione a settimana) e le uova 2 a settimana (piccole però). Da sottolineare che non si tiene conto (e non sarebbe possibile farlo) delle enormi diversità tra giovani e anziani, sportivi e non, ecc.
Questa estremizzazione va probabilmente molto aldilà delle raccomandazioni della dieta mediterranea (che consiglia 1 o 2 porzioni, e non mezza, di carne rossa a settimana, più di due porzioni di pesce e di pollo e fino a 4 uova). Non ci sono evidenze che ridurre drasticamente questi alimenti sotto queste quantità porti dei vantaggi in termini di salute. Riducendo così tanto i prodotti di origine animale la commissione EAT si vede peraltro costretta, per garantire il fabbisogno proteico, ad aumentare in modo alquanto bizzarro le porzioni di cereali (232 g, ovvero 3 piatti di pasta al giorno) o di legumi (3 porzioni di 200 g a settimana, difficilmente tollerabili da chi soffre di colon irritabile o di gonfiore addominale) e di noci/mandorle (50 g al giorno per ben 300 calorie!) suggerendo un apporto calorico giornaliero di ben 2500 calorie! Diventa complicato combattere la piaga dell’obesità e promuovere la cultura dell’educazione alla riduzione dell’apporto calorico globale. Basterebbe essere meno ideologici e un po’ più pratici, e pensare che per avere 5 gr di proteine le noci apportano 300 calorie, mentre una porzione da 150 gr di merluzzo apporta ben 25 g di proteine con solo 100 calorie.
In conclusione, possiamo affermare che una sana alimentazione si ispira alla varietà e alla diversità (2) e che la gamma di alimenti che offre la dieta mediterranea, il miglior modello scientificamente validato, consente di non escludere alcun alimento. Quello che invece deve essere tenuto in debito conto è il concetto di porzione e di frequenza di consumo, un criterio che deve essere basato, però, sull’idea di personalizzazione e non determinato da schemi ideologici.
Figura 1. PIRAMIDE DELLA DIETA MEDITERRANEA
RIFERIMENTI