“È con immenso dolore e profonda commozione che apprendo della tragica scomparsa di Lorenzo Rovagnati, un imprenditore di grande capacità e dedizione, che ha saputo guidare con passione e visione l’azienda di famiglia, un’eccellenza del settore alimentare italiano. La sua perdita è un colpo durissimo non solo per la sua famiglia e per i collaboratori, ma per tutto il comparto agroalimentare, che perde uno dei suoi protagonisti più brillanti. A nome di Federalimentare e di tutto il settore, esprimo le più sentite condoglianze alla famiglia Rovagnati, al fratello Ferruccio e a tutti coloro che gli erano vicini. Rivolgo, inoltre, un pensiero di vicinanza e cordoglio alle famiglie dei piloti Flavio Massa e Leonardo Italiani, che hanno perso la vita in questo tragico incidente avvenuto a Castelguelfo, frazione di Noceto, nel Parmense. Lorenzo Rovagnati, a soli 42 anni, aveva saputo portare avanti con orgoglio la tradizione di un’azienda simbolo del nostro Paese, incarnando i valori di qualità, impegno e innovazione che rappresentano il cuore pulsante dell’agroalimentare italiano”. Lo ha dichiarato Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare, in merito alla tragica scomparsa di Lorenzo Rovagnati e dei due piloti Flavio Massa e Leonardo Italiani.
Autore: ital

Prof. LUCA PIRETTA
Gastroenterologo e Nutrizionista
Università Campus Biomedico di Roma
Per terza età si intende il periodo che va dai 65 ai 75 anni, oltre i 75 anni parliamo di quarta età. È importante considerare la situazione degli anziani perché l’Italia è il primo Paese in Europa in quanto a presenze di anziani nella popolazione. Gli anziani obesi tra i 65 e i 74 anni sono il 53 per cento degli uomini e il 39 per cento di donne, mentre dopo i 75 anni la percentuale cala rispettivamente al 43 e 35 per cento. Ma anche mangiar poco in base alla maggiore età è un errore tragico nel quale incappano molti. Infatti, molti anziani vanno a dormire convinti che una tazza di latte e pochi biscotti sia una cena. Purtroppo, per colpa delle difficoltà economiche o della solitudine si osserva anche una elevata incidenza di malnutrizione per difetto, e questa condizione riguarda in particolare i più deboli e indifesi, socialmente e economicamente.
L’alimentazione dell’anziano necessita di attenzioni particolari perché le problematiche sono diverse e maggiori rispetto alla popolazione generale. Ecco perché gli anziani hanno maggiori criticità:
– Sono più frequenti alcune patologie collegate con l’alimentazione: ipertensione arteriosa, diabete, osteoporosi, malassorbimento, insufficienza renale, insufficienza epatica, disturbi della masticazione e della deglutizione, stipsi.
– Hanno una minore percezione dei sapori e quindi tendono a salare e a zuccherare di più gli alimenti con ripercussione sulla salute.
– Hanno un ridotto stimolo della sete e questo li porta ad una disidratazione cronica latente con ripercussioni muscolari, neurologiche e renali.
– Svolgono scarsa o nessuna attività fisica e questo implica differenti fabbisogni, ridotto metabolismo, ripercussioni sulla funzionalità muscolo- scheletrica.
– Assumono spesso molti farmaci (molte volte inutili e somministrati per “inerzia sommatoria” in aggiunta ad altri farmaci già in terapia prescritti da un altro specialista) e questo può alterare l’assunzione corretta di alimenti per interferenza o effetti collaterali (nausea, inappetenza, diarrea).
– Sono spesso depressi e soli. Questo comporta un progressivo disinteresse nell’alimentazione e indirizza il consumo verso un regime monotono e ristretto anche per motivi di praticità e di economia (perché si tratta spesso di persone con scarsi introiti economici) che dà origine ad una condizione di progressiva malnutrizione che a sua volta determina una maggiore predisposizione alle malattie ed infezioni.
– Il deterioramento cerebrale cognitivo e di movimento porta ad un isolamento culturale e sociale con la conseguente difficoltà a percepire la necessità di una alimentazione corretta ed equilibrata, e al riconoscimento di prodotti avariati o scaduti.
Una corretta alimentazione è il primo passo per proteggere l’anziano dalla comparsa o dall’aggravamento di alcune patologie. La malnutrizione sia in eccesso (obesità) che in difetto rappresenta il primo fattore di rischio per le malattie degenerative, infettive e tumorali perché senza i giusti nutrienti i sistemi di difesa del nostro organismo non possono funzionare bene.
Per la prevenzione e la cura di queste e altre patologie gioca dunque un ruolo importantissimo l’alimentazione, partendo da un presupposto semplice e cioè che da bambini si deve mangiare da bambini, da adulti si deve mangiare da adulti e da anziani si deve mangiare da anziani.
Gli anziani rischiano anche di soffrire di una forma di analfabetismo di ritorno, abbandonando gli interessi culturali e purtroppo cosa più grave ancora di diventare poveri (lo sono il 25% degli ultrasessantacinquenni). Tutto questo insieme di fattori fa si che gli anziani trascurino il cibo o mangino cibi sbagliati per la loro età, e che proprio la cattiva alimentazione inneschi una spirale senza ritorno. Capita anche con frequenza che gli anziani facciano uso di cibi senza controllare le scadenze, o che non leggano le etichette contenenti le caratteristiche del cibo e il suo corretto utilizzo. Spesso soli in casa o incapaci a spostarsi si accontentano di mangiare quel che trovano.
Una corretta alimentazione negli anziani deve tenere conto del fabbisogno energetico, dei principi nutritivi, del frazionamento dei pasti e di regole di igiene e comportamento alimentare. Ogni soggetto ha bisogno di una determinata quantità di energia giornaliera che si riduce dopo i 65 anni a causa di un abbassamento del metabolismo basale. I principi nutritivi presenti nei nostri alimenti sono sei, acqua, sali minerali, vitamine, proteine, grassi e carboidrati, e gli anziani non devono rinunciare a nessuno di loro. Invece, gli anziani spesso mangiano male. Troppo o troppo poco. E incorrono nei due rischi opposti come abbiamo visto, l’obesità o la malnutrizione.
Se già normalmente la dieta per un individuo deve essere prescritta da un medico, in quanto atto medico, a maggior ragione nell’anziano diventa fondamentale un’attenta valutazione del soggetto in questione. Quindi, il primo punto fondamentale è valutare il paziente anziano nel suo insieme, prendendo in considerazione non solo le sue patologie e la farmacoterapia in corso, ma anche gli aspetti psicologici, il suo umore, i suoi interessi, la sua attività fisica e i suoi gusti. È importante considerare la presenza del sovrappeso che può a sua volta favorire la comparsa di severe patologie come il diabete, l’ipertensione, l’insufficienza cardiaca, fratture patologiche, difficoltà di movimento. Ma allo stesso tempo, è importante non sottovalutare i suoi fabbisogni nutrizionali. Infine, migliorare l’alimentazione dell’anziano può rappresentare il primo passo per evitare l’uso di alcuni farmaci.
Si possono individuare alcuni errori che gli anziani fanno a tavola:
– monotonia dei piatti con rischio di carenza di alcuni nutrienti
– scarso apporto di acqua
– eccesso di sale e zucchero
– scarso apporto di fibra e proteine
– rischio di assunzione di prodotti di scarsa qualità o scaduti
È bene consigliare all’anziano gli alimenti più adatti alle sue necessità e patologie, tenendo conto non solo della composizione in zuccheri, grassi e proteine, fibre e vitamine ma anche della consistenza e della temperatura. Consistenze errate possono rendere l’alimento non utilizzabile dall’anziano anche quando la sua composizione in nutrienti sia ottimale. A questo proposito va ricordato che gli anziani spesso hanno problemi di deglutizione. La difficoltà più frequente è quella di gestire alimenti con diversa consistenza come, per esempio, i tortellini in brodo che vanno evitati nei soggetti con problemi di deglutizione perché la contemporanea presenza di alimenti liquidi e solidi può mandare in crisi le capacità di discriminare, contenere, e coordinare i vari movimenti molto complessi dell’atto deglutitorio. Quindi, tortellini o brodo sì ma separatamente e non insieme.
VADEMECUM PER L’ALIMENTAZIONE NELLA TERZA ETA’
– Mangiare variato
– Masticare gli alimenti con cura per migliorarne la digestione
– Fare pasti leggeri e frequenti
– Consumare almeno tre pasti nella giornata, e quindi non saltare mai la prima colazione
– Una tazza di latte o una minestrina, come cena, non assicurano un adeguato apporto di energia e nutrienti
– Cucinare in modo semplice senza eccedere con i grassi da condimento e le salse
– Salare le pietanze con moderazione
– Mangiare tutti i giorni cereali (pane, pasta, riso, crackers, polenta, ecc.)
– Contenere la quantità di zucchero da tavola e limitare le bevande zuccherine
– Per evitare la stipsi mangiare tutti i giorni verdure (fresche o surgelate, crude o cotte) ed almeno un frutto di stagione ben maturo
– Bere acqua frequentemente, nel corso della giornata, anche se non si avverte lo stimolo della sete
– Bevande alcoliche? si ma solo sporadicamente, a bassa gradazione (vino o birra), in quantità moderata e possibilmente durante i pasti. Chi non beve alcolici non cominci a farlo ora
– Dolci sì, ma con parsimonia e compatibilmente con le patologie (no per i diabetici per esempio)
– Integrazioni di vitamine e sali minerali se il medico lo giudica necessario e alle dosi consigliate
– Leggere le etichette riportate sulle confezioni degli alimenti: si potrà conoscere il modo di preparare e conservare il cibo acquistato e la relativa scadenza
– Se si hanno disturbi della masticazione controllare i denti e consumare alimenti morbidi, quali purè, minestre, uova, pesci, carni tritate, formaggi freschi, yogurt
– consumare pane tenero, mollica di pane ed in alternativa grissini e fette biscottate
– scegliere frutta ben matura e facile da schiacciare come banane, pesche, pere, fragole oppure preparare frullati con la frutta più dura o spremute con gli agrumi
Le regole di vita:
– È preferibile mangiare in compagnia: organizzarsi con gli amici
– Fare passeggiate all’aria aperta tutti i giorni
– Curare la propria persona
– Coltivare hobby (bocce, gioco delle carte, dama, scacchi, parole crociate)
– Mantenere attiva la sfera sessuale
– Mantenere interesse per gli avvenimenti e seguire i cambiamenti della società.
Pertanto:
– Leggere giornali e libri (anche fumetti)
– Guardare la televisione
– Ascoltare la radio
– Andare al cinema o al teatro
– Partecipare a gruppi e collettività culturali o ricreative
– Figli, nipoti, parenti da frequentare il più possibile perché oltre alla trasmissione della gioia affettiva, rappresentano il contatto con il mondo per interposta persona.

Nei primi 10 mesi del 2024 cresce e si consolida l’accelerazione del settore.
Secondo l’elaborazione dati del Centro Studi di Federalimentare sulle statistiche diffuse dall’Istat, l’industria alimentare italiana ha registrato una quota export nel periodo di 47.411,5 milioni di euro, con una crescita tendenziale del +9,0% sul gennaio – ottobre 2023, superiore al +8,6% segnato sui nove mesi.
Dopo il +6,6% registrato a consuntivo 2023, ne esce un ulteriore un passo premiante che conferma l’alimentare al vertice delle voci manifatturiere più performanti del Paese.
“Negli ultimi cinque anni (2019-2024) l’export di settore è cresciuto del +56,3%. Un tasso praticamente doppio rispetto al +28,3% registrato in parallelo dall’export complessivo del Paese. L’incidenza dell’export dell’alimentare all’interno di quello nazionale totale è salita dal 7,8% del 2019 al 9,2% del 2024”. “Un successo ancora più importante – sottolinea il Centro Studi di Federalimentare – se confrontato con il passo debole del commercio internazionale”.
“Il contributo del settore alimentare alla crescita del PIL del Paese – prosegue il Centro Studi di Federalimentare – è sostanziale. Nel 2024, l’export ha trainato la produzione dell’industria alimentare, al punto che essa è stata l’unica a registrare un passo espansivo nel panorama produttivo dei grandi settori manifatturieri nazionali”.
Il fenomeno si lega alle performance di molti mercati, ma in gran parte alla spinta specifica del mercato statunitense, che ha segnato un +18,4% sui dieci mesi. Esso dovrebbe toccare perciò, a consuntivo 2024, una quota pari a 7,8 miliardi, ponendosi a ridosso della Germania, mercato estero leader da sempre dell’alimentare italiano.
Fra i grandi mercati dell’industria alimentare, vanno ricordate anche le crescite a due cifre della Polonia (+18,7%), del Canada (+16,6%), del Giappone (+12,5%) e dell’Australia (+15,4%). A queste performance, si affiancano le spinte dei mercati europei, della Spagna (+7,7%), del Regno Unito (+6,3%), della Germania (+6,6%) e della Francia (+4,4%).
Tra gli spunti espansivi più forti, gli “oli e grassi” (+28,0%), seguiti dal “dolciario” (+16,6%) e dalla “trasformazione ittica” (+16,2%).
A fianco dell’industria, il settore primario (agro-zootecnico) raggiunge sui 10 mesi la quota export di 9.166,4 milioni di euro, con una crescita tendenziale del +7,3%, dopo il +7,2% dei nove mesi. L’agroalimentare complessivo registra perciò, sui dieci mesi, una quota export di 56.577,8 milioni, con un tendenziale del +8,7%, avvicinandosi ad un altro grande traguardo che segnerà il record di sempre, sfiorando i 70 miliardi.
L’industria alimentare italiana dimostra ancora una volta la sua capacità di adattarsi a un contesto economico globale complesso e in continua evoluzione. Grazie ad un insieme di fattori, tra cui la qualità dei prodotti, l’innovazione e la capacità di rispondere alle esigenze dei consumatori, il settore rafforza la sua posizione di eccellenza a livello internazionale.

L’industria alimentare si conferma la voce manifatturiera più performante.
Secondo le statistiche ISTAT del mese di novembre 2024, i volumi di produzione registrano, a parità di giornate di calendario, un aumento tendenziale del +4,5%, in accelerazione dopo il +3,7% di ottobre.
Il passo del settore riprende dunque slancio e si consolida, generando una crescita tendenziale sugli undici mesi del +2,0%, dopo il +1,7% dei dieci mesi e il +1,5% dei nove mesi.
Il comparto alimentare che mostra la crescita tendenziale più marcata è quello dei “gelati” (+18,9%), seguito dai “piatti preparati” (+11,6%), dalla “lavorazione e conservazione dei pesci e dei crostacei” (+9,2%), dal “cacao, cioccolato, caramelle e confetterie” (+6,5%).
L’alimentare amplifica il rimbalzo rispetto al 2023 – evidenzia il Centro Studi di Federalimentare – sottolineando una dinamica premiante rispetto agli altri asset fondamentali del Paese.
Anche se non mancano le incertezze legate alle misure protezionistiche paventate oltreoceano, l’industria alimentare – simbolo per eccellenza del Made in Italy nel mondo – ha dato prova di riuscire a crescere di fronte a scenari internazionali sfidanti.
Le prospettive per il 2025 rimangono più che positive, anche in relazione alla più volte richiamata capacità di evolvere del settore.

Prof. LUCA PIRETTA
Gastroenterologo e Nutrizionista
Università Campus Biomedico di Roma
Il pensiero del cioccolato, al di là della piacevolezza del suo consumo, richiama abitualmente un concetto di alimento pericoloso in quanto ipercalorico e ricco di zucchero, ed è spesso oggetto di demonizzazione quando lo si analizza da un punto di vista nutrizionale. Come stanno veramente le cose? Dobbiamo davvero starne alla larga?
Molti alimenti possiedono, oltre ad una azione energetica e nutriente, effetti addizionali potenzialmente utili alla salute e per tale motivo vengono considerati alimenti funzionali. Un alimento è definito funzionale se, oltre alle sue proprietà nutrizionali, è scientificamente dimostrata la sua capacità di influire positivamente su una o più funzioni fisiologiche, contribuendo a migliorare lo stato di salute e a ridurre il rischio di insorgenza delle malattie correlate al regime alimentare. Classici alimenti funzionali possono essere considerati lo yogurt, i broccoli, il pomodoro, i legumi e le noci. Nel concetto classico di alimento funzionale viene sottolineata l’importanza dell’azione benefica sulle funzioni organiche di un individuo, ma viene trascurato l’aspetto positivo legato agli effetti psicologici e gustativi che si possono aggiungere a quelli organici, migliorando di molto la qualità di un alimento rendendolo, anche per questo, funzionale. L’opportunità di valutare anche gli aspetti psicologici e gustativi di un alimento rilancia il ruolo di un alimento particolare, non solo ricco di nutrienti, di energia e di sostanze benefiche per la salute, ma anche fonte di piacere: il cioccolato. Raccomandato fin dall’antichità in caso di astenia, oggi spesso viene bandito, per il suo elevato valore calorico, nei paesi come l’Italia dove l’obesità rappresenta un importante problema sanitario.
In realtà, le proprietà del cioccolato vanno ben oltre il semplice apporto calorico. L’elevato contenuto in ferro, potassio e sostanze nervine (teobromina) offre la possibilità di impiego terapeutico in numerose condizioni morbose. La presenza di flavonoidi e di alcuni grassi vegetali poco aterogenici garantisce un’azione antiossidante e antiaggregante con il conseguente effetto cardioprotettivo. Inoltre, la stimolazione dei recettori cannabinoidi ad opera di alcune sostanze neuroattive conferisce a questo alimento la particolarità di determinare una sensazione di benessere indipendente dal senso di sazietà legato all’assunzione di un cibo calorico.
La scienza medica ha studiato a fondo gli effetti farmacologici del cioccolato in relazione agli effetti sul sistema nervoso centrale e sulla psiche, ma fin dall’antichità, quando il rigore del metodo scientifico ancora non esisteva, veniva impiegato come alimento divino di cura tra le popolazioni Olmec, Azteche e Maya (1) o, nel XVI° secolo, come vera e propria arma terapeutica nel trattamento della fatica (2), della febbre e dell’insufficienza cardiaca (3).
Tra il XVI° e il XX° secolo, il cioccolato più che un farmaco era considerato ciò che oggi chiameremmo uno strumento della medicina naturale, e veniva somministrato in modo empirico da artisti della medicina per curare i pazienti emaciati, per stimolare il sistema nervoso nei soggetti affetti da astenia (4), o per migliorare la digestione e la funzione intestinale (5). Sempre senza particolari motivazioni scientifiche, almeno per le conoscenze dell’epoca, veniva consigliato alle donne con scarsa capacità di allattamento e agli uomini per migliorare la virilità maschile, mentre il burro di cacao, per le sue proprietà emollienti ed isolanti, veniva impiegato nella cura delle ferite e delle irritazioni cutanee (4). Infine, il cioccolato poteva essere utilizzato come via di somministrazione di farmaci sotto forma di bevanda o grazie al burro di cacao per la fabbricazione di supposte.
Successivamente, la conoscenza scientifica ha permesso di capire (ma tuttora in modo non esaustivo) quali sono gli elementi del cioccolato che possono esprimere effetti farmacologici e nutrizionali.
Il cioccolato, inconsapevolmente, è stato forse il primo pilastro di un ponte teso tra scienza e credenza, e per questo potrebbe essere considerato l’anello di congiunzione tra la cultura popolare e la medicina scientifica nonché il simbolo di fusione tra la farmacologia e la terapia empirica.
Il cioccolato è un alimento composto da vari nutrienti alcuni dei quali sono estremamente variabili e questo fatto conferisce ai diversi tipi di cioccolato caratteristiche nutrizionali, caloriche ed organolettiche decisamente differenti.
La pianta del cacao (Theobroma Cacao) è un albero di media grandezza che cresce allo stato selvatico in Amazzonia, e si coltiva in America centro-meridionale e nell’Africa tropicale. I semi amarissimi contenuti nel frutto contengono sostanze grasse (40-50%), amido, zuccheri, proteine e altre sostanze tra le quali teobromina e caffeina. La presenza di questi nutrienti, e in particolari dei grassi come il burro di cacao, fa la differenza tra il potere calorico nutrizionale del cacao rispetto a quello di altre sostanze nervine, spesso equiparate, come il caffè e il tè.
Infatti, 100gr di polvere di cacao forniscono 355 Kcal, mentre un’equivalente quantità di polvere di caffè o di foglie di tè ne apportano 287 e 108 rispettivamente (6). Va considerato però che una tazzina di caffè contiene in media appena 6 grammi di polvere e una bustina di tè circa 2 grammi di foglie, mentre una tazza di cioccolata contiene circa 50 grammi di cioccolato (che rispetto alla semplice polvere di cacao fornisce 542 Kcal) ai quali vanno aggiunte le calorie di circa 200 ml di latte.
Pare evidente che il cioccolato rappresenta un alimento vero e proprio contenente proteine, grassi e carboidrati e che fornisce una notevole quantità di calorie ed è quindi comprensibile il suo impiego fin dall’antichità come ricostituente nei casi di astenia.
Al contrario, nelle società occidentali di oggi come come quella italiana, dove il problema dell’obesità costituisce uno dei principali problemi sanitari, e la percentuale di soggetti con un indice di massa corporea (IMC) al di sopra del normale è in continua crescita, il cioccolato potrebbe essere additato come cibo da bandire, in particolare tra i bambini e gli adolescenti.
Siccome però la cultura del proibizionismo è risultata quasi sempre perdente, ecco che diventa importante l’educazione alimentare. Sapere quando il cioccolato può essere concesso, o addirittura consigliato, permette di accedere ai benefici di questo alimento limitando al massimo gli inconvenienti che può determinare la sua assunzione, anche perché le proprietà del cioccolato vanno al di là del semplice apporto calorico.
L’elevato contenuto in ferro (5 mg/100g) (quasi il doppio della quantità contenuta nella carne) potassio (300 mg/100g) e calcio (262 mg/100g nel cioccolato al latte) lo rendono un alimento utile (pur tenendo conto della non eccellente biodisponibilità) in corso di anemia, di ipopotassiemia, o nelle fasi della crescita laddove l’eccesso di peso o la presenza di diabete non ne sconsiglino l’utilizzo.
Come è stato detto, il cioccolato contiene, come il caffè e il tè, una di quelle sostanze (la teobromina) che viene annoverata come “nervina” perché esercita effetti sul sistema nervoso centrale stimolando l’attenzione e la vigilanza, e migliorando l’efficienza fisica e mentale.
Gli effetti sul SNC di teobromina e di caffeina contenute nelle quantità abitualmente assunte di cioccolato sono meno evidenti di quelle osservate dopo assunzione di alcune tazzine di caffè. Questi effetti sono rappresentati da una maggiore rapidità e fluidità del pensiero e riduzione del tempo di reazione. I fenomeni di tolleranza a queste azioni osservati dopo il consumo abituale di queste xantine sono difficilmente osservabili con l’assunzione del cioccolato rispetto a quanto accade con il caffè, e lo stesso si può affermare in merito all’azione rebound in seguito all’eccessiva quantità di adenosina endogena liberata dopo brusca sospensione delle sostanze nervine (7).
La ricerca del cioccolato, osservata in modo quasi compulsivo in alcune persone, risulta essere qualcosa di più definito e mirato rispetto alla semplice voglia di cibo come gratificazione. Le etanolamine presenti agirebbero stimolando i recettori cannabinoidi del SNC sia direttamente che indirettamente aumentando i livelli di anandamide (8). Questo fatto potrebbe conferire al cioccolato la particolarità di determinare una sensazione di benessere indipendente dal senso di sazietà legato all’assunzione di un cibo calorico.
Infine, il cioccolato, contenendo anche fenil-etilamine e tiramina, avrebbe in qualche modo un’azione anfetamino-simile riducendo il senso di stanchezza fisica e psichica, oltre ad attenuare i sintomi depressivi grazie all’abbondante presenza di triptofano, precursore della serotonina, uno dei mediatori neurochimici del benessere.
Molto è stato discusso sugli effetti del cioccolato sul sistema cardiovascolare.
La presenza di elevati livelli di grassi che possono raggiungere il 37,6% in quello al latte (6) farebbe presupporre un alto rischio aterogenico. I grassi contenuti nel cioccolato derivano principalmente dal burro di cacao la cui composizione è rappresentata da acidi grassi saturi del tipo palmitico, stearico e laurico. Il laurico e il palmitico sono acidi grassi con un elevato potere aterogenico mentre l’acido stearico, per la sua veloce desaturazione ad acido oleico svolge un ruolo protettivo sui vasi (9). Invece, l’assenza di colesterolo e la notevole quantità di flavonoidi, sostanze con effetto antiossidante, inclinano la bilancia degli effetti cardiovascolari sul lato della protezione, anche perché i flavonoidi mostrano effetti antiaggreganti equivalenti all’aspirina (10). Altri studi hanno peraltro dimostrato l’effetto vasodilatatore positivo del cioccolato amaro sulle coronarie (11).
Gli aspetti negativi del cioccolato sulla salute riguardano come già detto i pazienti obesi o quelli diabetici per il valore calorico di questo alimento e per la presenza di zuccheri semplici. Va inoltre considerato il rischio che l’assunzione del cioccolato possa dare origine ai sintomi della malattia da reflusso gastroesofageo e alla cefalea in alcune forme di emicrania.
In conclusione, possiamo affermare che consumato nelle giuste (moderate) quantità, il cioccolato costituisce una fonte preziosa di nutrienti e rappresenta una sorta di alimento funzionale per i benefici che può esercitare sulla psiche e sul sistema nervoso.
BIBLIOGRAFIA
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- Flammer AJ, Hermann F, Sudano I et al. reactivity. Circulation. 2007 Nov 20;116(21):2376-82.

“Federalimentare esprime apprezzamento e rivolge i suoi complimenti a Barbara Cimmino, Giuseppe Ferro, Riccardo Garosci, Annalisa Sassi e Matteo Zoppas per essere stati nominati componenti del CdA dell’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, su proposta del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani”. Lo dichiara in una nota il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.
“La riconferma dell’amico e collega Matteo Zoppas alla presidenza dell’Ice e la nomina di Barbara Cimmino vice presidente di Confindustria con delega all’internazionalizzazione sono un ottimo segnale per il settore agroalimentare, così come la nomina dei colleghi del food Annalisa Sassi, già Presidente del Gruppo Giovani nazionale di Federalimentare e di Giuseppe Ferro che per la Federazione sono certamente motivo di grande fiducia soprattutto in considerazione delle sfide che il settore dell’industria alimentare italiana dovrà affrontare nei prossimi anni”.
“Federalimentare – prosegue Mascarino – è convinta che la crescita della nostra industria passi dalla promozione di una maggiore internazionalizzazione delle aziende e delle imprese nei mercati mondiali, ma anche dalla capacità che avremo a livello nazionale ed europeo di favorire una rinnovata e più forte competitività nei confronti dei nostri diretti competitor”.
“Certamente – aggiunge il Presidente di Federalimentare – il dato dell’export che ha segnato fra gennaio e agosto 2024 un +8,2% proiettando di arrivare a fine anno a quota 53 miliardi, un nuovo record assoluto, è un ottimo segnale per il percorso in atto e siamo assolutamente convinti che questi numeri, grazie alla sinergia virtuosa fra tutti gli attori della filiera, con il supporto delle Istituzioni e da una Commissione europea rinnovata, potranno favorire maggiormente la competitività dell’industria italiana ed europea nelle sfide globali”, conclude Mascarino.

Prof. LUCA PIRETTA
Gastroenterologo e Nutrizionista
Università Campus Biomedico di Roma
L’insonnia, o il semplice dormire male, è causa importante di malessere diurno, non solo per il fatto che spesso può comportare problemi di umore come irritabilità e nervosismo, cosa che tutti abbiamo sperimentato, ma secondo alcuni studi dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno pare che la mancanza di sonno provochi disturbi cardiovascolari e depressivi.
Il sonno gioca anche un ruolo importante nel funzionamento metabolico dell’organismo. Durante il sonno, infatti, il metabolismo si rallenta e di conseguenza l’organismo “consuma” di meno (sempre che il sonno sia tranquillo), ma è anche vero che il sonno prolungato equivale ad un digiuno, e in questa condizione si attivano alcune vie cataboliche al fine di mantenere costante il livello di glucosio nel sangue (unico nutriente utilizzato dal nostro cervello oltre ai corpi chetonici utilizzati in situazioni emergenziali) che portano al trasferimento del grasso contenuto nel tessuto adiposo verso il fegato per ottenere energia. Quindi l bilanciamento di questi due effetti contrari può portare conseguenze diverse da un individuo a un altro secondo la sua capacità metabolica di adattamento. Inoltre, il sonno di breve durata, o frequentemente interrotto, aumenta i livelli nel sangue della grelina (ormone con effetti antagonisti della leptina) e questo porterebbe ad un aumento dell’appetito diurno e, conseguentemente, del peso corporeo.
La durata ideale del sonno dovrebbe essere di circa otto ore, tempo necessario all’organismo per il recupero dei meccanismi cellulari ma questo è un dato puramente teorico. Si sa che alcune persone riescono a svolgere la propria vita in modo efficiente anche dormendo poco e viceversa. È importante ricordare però che non tutti i sonni sono ristoratori. Non basta “rimanere incoscienti” per otto ore, è necessario che siano rispettati i ritmi e le profondità del sonno. Per esempio, la comparsa delle apnee notturne negli obesi o nei bronchitici cronici che frequentemente comportano una uscita dal sonno REM anche senza risveglio, sono la principale causa della sonnolenza diurna, della stanchezza al risveglio e dei colpi di sonno al volante.
Come può aiutare l’alimentazione a garantire un buon sonno? Esistono dei cibi della buona notte?
Sicuramente si. Innanzitutto, bisogna evitare di andare a dormire subito dopo una cena abbondante o a digiuno, perché entrambe le condizioni possono ostacolare il sonno. Nel primo caso, con la posizione orizzontale, lo stomaco disteso può sollevare il diaframma rendendo più difficoltosa la respirazione nella fase di addormentamento e inoltre l’assorbimento dei nutrienti appena ingeriti mantiene attivo il sistema nervoso. Nel secondo caso, i bassi valori di glicemia possono attivare alcuni meccanismi volti alla ricerca del cibo che ostacolano il sonno.
Oltre alle quantità e agli orari della cena è anche importante scegliere gli alimenti giusti per aiutare il buon sonno. Per esempio, sappiamo che il latte tende a conciliare il sonno. Questo è dovuto al fatto che alcune proteine del latte, in particolare la caseina, vengono digerite dalla pepsina, tripsina e carbossipeptidasi in peptidi dotati di attività biologica come le casomorfine che, stimolando i recettori oppioidi, conciliano il sonno. Il triptofano è un amminoacido precursore della serotonina e della melatonina e quindi gli alimenti che lo contengono (uova, nocciole, arachidi, legumi, carne e pesce) sono indicati nei soggetti che soffrono di insonnia. Sono anche utili a questo scopo gli alimenti ricchi di melatonina come l’avena, l’orzo e le mandorle.
Bisogna evitare invece vino, formaggio, cioccolato e cavoli, perché contengono tiramina, una ammina che inducendo la sintesi dell’adrenalina rende il sonno più difficile. Sono anche sconsigliati gli alimenti e le bevande ricche di sostanze nervine come il cioccolato, il caffè, il tè e le bevande energizzanti. Molte sostanze contenute in questi alimenti
possono esercitare un effetto eccitatorio sul sistema nervoso centrale anche se è importante sottolineare la grande differenza esercitata dal loro consumo saltuario rispetto a quello abituale, in quanto un consumatore occasionale può avere difficoltà a dormire dopo un solo caffè mentre un bevitore abituale può non notare alcun effetto. Anche l’alcol può interferire con il sonno perché è un inibitore del sistema nervoso centrale e può indurre sonnolenza dopo la prima fase di euforia.
Mangiare frutta e verdura e bere molta acqua durante il giorno può migliorare il sonno soprattutto nei soggetti che soffrono di crampi notturni. Questi tendono a comparire durante la notte perché assumiamo posizioni statiche prolungate che possono rendere più difficile l’irrorazione ai muscoli i quali possono andare in sofferenza soprattutto per la carenza di potassio e magnesio. Ecco che diventa importante assicurarsi , durante il giorno, un corretto apporto di sali minerali e vitamine per riposare meglio.
Infatti, tra i motivi responsabili di un cattivo sonno troviamo stress, ansia, farmaci, oppure fattori legati a sindromi particolari, come apnee notturne influenzate da un irregolare flusso di aria ai polmoni o il cosiddetto mioclono notturno, che consiste in scatti incontrollati delle gambe e nella comparsa di contrazioni muscolari (la sindrome delle gambe senza riposo). Queste sono problematiche per le quali sono necessarie analisi approfondite, come la polisonnografia (che monitora l’andamento del sonno) per accertare le cause dei disturbi.
Oltre ad intervenire con una cura appropriata in caso di disturbi fisiologici veri e propri, la sana alimentazione, in particolare riferita alle pietanze della cena, può essere di grande aiuto soprattutto se ricche di magnesio, e di vitamine del gruppo B, come la B3 (niacina) e la B6, indispensabili per il buon funzionamento del sistema nervoso e la corretta attività muscolare.
Ecco nel dettaglio quali sono gli alimenti più indicati per un buon sonno.
Cereali
Tra gli alimenti che garantiscono un sonno di qualità c’è il riso, da preferire alla pasta e da scegliere nella variante integrale: tra le sue “performance” nutrizionalitroviamo la grande capacità calmante, grazie al maggiore indice glicemico e alla presenza del triptofano e quindi della serotonina. Proprio per il suo indice glicemico, e per il discreto contenuto calorico, è consigliabile mangiarlo comunque con moderazione, preferibilmente con un condimento leggero come un filo d’olio extravergine di oliva e delle verdure. I diabetici dovrebbero invece preferire la pasta alla sera rispetto al riso. Tra i cereali, anche l’avena e l’orzo, ottimi per una gustosa zuppa, possono contribuire a dormire meglio anche grazie al loro contenuto in melatonina. Così come latticini come la ricotta, anch’essi ricchi di triptofano, formaggi non stagionati, e naturalmente latte parzialmente scremato: berne una tazza calda prima di mettersi sotto le coperte è utile.
Verdure e semi
Contro insonnia e cattivo riposo intervengono anche alcune verdure come spinaci e bietole, fonti di magnesio ma anche di clorofilla, che migliora l’apporto di ossigeno al sangue, oltre che di vitamine del gruppo B che favoriscono il rilassamento muscolare. Meglio mangiarli crudi, appena scottati o cotti al vapore, per non disperdere questi preziosi nutrienti.
Anche alcuni semi si rivelano grandi alleati del sonno, come quelli di zucca, piccoli forzieri di triptofano e magnesio, ma anche ricchi di fitoestrogeni naturali, carotenoidi, vitamina E. Ricordiamo che ananas e zenzero contengono melatonina. Anche i semi di sesamo aiutano a riposare bene grazie al loro contenuto di magnesio, triptofano, vitamina B3.
Legumi e pesce azzurro
Ricchi di niacina sono anche i fagioli, in particolare quelli secchi, che possono contare su una buona percentuale di magnesio, sono molto proteici e sazianti. Importante anche la frutta secca, che riveste un ruolo fondamentale per l’armonia del ritmo sonno-veglia, soprattutto le mandorle (ma anche noci e nocciole), particolarmente ricche di magnesio e triptofano. Di quest’ultimo sono ottime fonti anche le sardine (così come gli altri pesci azzurri), che ne contengono ben 250 mg in un etto, insieme a una generosa percentuale di vitamina B6 e ai grassi buoni Omega 3, il tutto in 113 kcal per 100 grammi, che ben si conciliano con l’esigenza di stare leggeri a cena.
Cosa evitare se si soffre di insonnia.
Così come uno stomaco vuoto, uno stomaco troppo pieno non concilia il sonno, quindi meglio fare una cena non troppo abbondante e non abusare di alimenti molto ricchi di grassi, pesanti, ipercalorici, che ostacolerebbe la digestione e quindi il riposo. Evitate anche di abusare del sale, sostituendolo con spezie come basilico, origano, maggiorana, dagli effetti sedativi. No anche ad alcolici e super-alcolici, tè e caffè, dolci, che è meglio evitare di consumare a cena.

Lorenzo M Donini
“Sapienza” Università di Roma
La declaratoria dell’UNESCO, che definisce la Dieta Mediterranea come patrimonio intangibile dell’Umanità, la descrive come “molto più di un semplice elenco di alimenti o una tabella nutrizionale” considerandola “uno stile di vita che comprende una serie di competenze, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni concernenti la coltivazione, la raccolta, la pesca, l’allevamento, la conservazione, la cucina e soprattutto la condivisione e il consumo di cibo”.
L’arte culinaria è quindi un elemento caratterizzante la Dieta Mediterranea perché (continua la declaratoria) “mangiare insieme è la base dell’identità culturale e della continuità delle comunità nel bacino Mediterraneo, dove i valori dell’ospitalità, del vicinato, del dialogo interculturale e della creatività, si coniugano con il rispetto del territorio e dellabiodiversità”.
Le pratiche gastronomiche e la convivialità, nel bacino Mediterraneo, vanno di pari passo svolgendo “un ruolo vitale nei riti, nei festival, nelle celebrazioni, negli eventi culturali, riunendo persone di tutte le età e classi sociali”.
L’arte culinaria, implicita nella Dieta Mediterranea, è non solo l’amalgama di una vita comunitaria, ma è in grado di valorizzare anche “l’artigianato e le vocazioni locali, come la produzione di contenitori per la conservazione e il consumo di cibo, le manifatture artistiche di piatti e bicchieri di ceramica e vetro, l’arte del ricamo e della tessitura”.
Sempre secondo la declaratoria dell’UNESCO, la Dieta Mediterranea e l’arte culinaria sono valorizzate dalle donne che “giocano un ruolo fondamentale nella trasmissione delle conoscenze della Dieta Mediterranea in quanto si prendono cura dei famigliari e dei conoscenti preparando sia il cibo quotidiano che quello festivo e tramandano i loro segreti culinari a figli e nipoti, facendo dei banchetti festivi un’autentica celebrazione della vita”.
Tutti questi elementi di cultura e civiltà sono declinati nella grande varietà di tradizioni gastronomiche, che,probabilmente unico esempio al mondo, sono lo specchio di una storia che ha visto arrivare in Italia, stabilirsi e attraversarla popoli provenienti da tutti i punti cardinali, con il loro bagaglio di conoscenze, storia, alimenti, ricette. Una cucina, che si è radicata e si è evoluta nei diversi territori, valorizzando questi e le professioni dell’intera filiera agroalimentare, e che è stata interpretata in tanti modi diversi anche se con un minimo comun denominatore rappresentato dalla Dieta Mediterranea.
Questa esperienza interculturale, in una società che è sempre stata cosmopolita, ha favorito il dialogo tra i popoli e La contaminazione delle diverse tradizioni. Da qui nascono le mille ricette dell’arte culinaria Italiana, molto spesso caratterizzata dall’uso di prodotti dell’orto (verdure, ma anche erbe odorose) insieme a spezie e prodotti di altre tradizioni, che combinano i tanti diversi influssi e che riescono a stimolare in maniera così penetrante i nostri sensi (Capatti A, 2005).
Non solo, ma i continui contatti tra popoli e le conseguenti continue nuove esperienze di cibi nuovi, hanno portato alla coltivazione di tante diverse specie di frutta e ortaggi, al recupero e all’allevamento di tante diverse razze autoctone di animali fino a rappresentare, l’Italia, e la Cultura Gastronomica un importante baluardo della biodiversità sempre più minacciata in tante altre parti del Mondo da una sempre maggiore omogeneità dei consumi alimentari e dei sapori dei cibi.
Il concetto di biodiversità, valorizzato dall’Arte Culinaria Italiana, è uno degli elementi determinanti la sostenibilità di una filiera agroalimentare alla cui base sono presenti cereali, frutta, ortaggi, e olio di oliva, ma che considera tutti gli altri alimenti, nessuno escluso (carni, pesci, latte e derivati, dolci) come testimoniato dalla Piramide Alimentare Mediterranea in cui anche il vino, in dosi moderate e nell’ambito di uno stile di vita sano, può trovare spazio (Donini LM, 2024). Il concetto di sostenibilità, declinato nelle sue caratterizzazioni socio-culturale, economica, ambientale e nutrizionale, è ben valorizzato nel nostro Paese grazie proprio alla Cucina Italiana. Gli aspetti socioculturali (convivialità, consumo di produzioni prevalentemente locali, pratiche gastronomiche), la componente economica(valorizzazione dei territori e delle professionalità), la tutela dell’ambiente (minor consumo di acqua, terreno e energia, oltre a minor produzione di gas serra, tipici di una dieta basata prevalentemente su alimenti d’origine vegetale che non disdegna anche gli alimenti d’origine animale) e il valore nutrizionale (per la prevenzione della maggior parte delle malattie cronico-degenerative) rappresentano le caratteristiche della Dieta Mediterranea valorizzate dalle pratiche gastronomichedella Cucina Italiana (Dernini S, 2017; Serra-Majem LL, 2020).
Di non secondaria importanza, nell’ambito della promozione di una sempre maggior sostenibilità della filiera agroalimentare, il ricettario della tradizione gastronomica Italiana, che è caratterizzato da preparazioni dettate dalla necessità di utilizzare tutti gli alimenti, di non generare scarti, di non sprecare un bene prezioso quale è il cibo. La non sempre facile reperibilità, nella storia Italiana, di cibo ha trasformato l’ansia per la carenza di questo in un potente motore di lavoro e fantasia, con la conseguente valorizzazione di conoscenze e competenze, per rendere commestibile e appetibile qualsiasi prodotto del territorio. La grande tradizione nella conservazione degli alimenti (con la produzione, tra gli altri, di una grande varietà di formaggi e carni conservate di grande pregio) e il grande valore dell’industria conserviera Italiana sono il frutto anche della necessità di ridurre lo spreco alimentare rendendo disponibili gli alimenti in qualsiasi momento dell’anno, indipendentemente dalla stagionalità delle colture.
La cucina Italiana, pur avendo la capacità di rappresentare “l’alta cucina”, come testimoniato dai tanti chef stellati Italiani con la loro inventiva e intraprendenza, è soprattutto una cucina che viene dal basso, dal popolo che, anche nei momenti di difficoltà, ha dimostrato di saper affrontare queste con fantasia e immaginazione. La distinzione tra cucina d’élite e il mangiare del popolo è, d’altro canto, molto meno marcata nella tradizione Italiana con frequenti contaminazioni che testimoniano una qualche trasversalità sociale nella preparazione di cibi.
Tutto il percorso che è stato fatto dall’evoluzione della Filiera Agroalimentare e dalla valorizzazione della Cultura Gastronomica Italiana rappresenta un esempio per il Mondo. Nel momento in cui si teme l’impatto dell’ingresso in un periodo storico denominato Antropocene, si fa riferimento alla Dieta Mediterranea come modello alimentare in grado di contribuire a contrastare questo impatto. Non a caso buona parte delle Linee Guida nazionali per un’alimentazione sana e sostenibile prendono a modello i principi della Dieta Mediterranea declinandoli, correttamente, nelle proprie tradizioni e filiere agroalimentari (Willett W, 2019).
Non ultimo, la filiera agroalimentare e la cucina Italiane rappresentano un determinante motore dello sviluppo economico del Paese, non solo valorizzando conoscenze e competenze dei territori, ma anche esportando prodotti, ricette e, auspicabilmente, cultura. Non a caso, in Europa, è il nostro Paese a detenere il primato per il numero di denominazioni protette (DOC, IGT, DOCG), quale riconoscimento alle tradizioni gastronomiche e al patrimonio agroalimentare Italiano. La Cucina Italiana contribuisce a valorizzare le eccellenze del territorio, dei borghi rurali, dei siti Unesco, dei parchi naturali – archeologici, con la creazione di veri e propri itinerari in cui storia, cultura, tradizioni, filiere agroalimentari e arte culinaria si combinano. Un contributo importante alla valorizzazione della filiera agroalimentare e alla cucina Italiane è stato fornito anche dai tanti emigrati che hanno contribuito a diffondere la cultura e l’identità in ambito gastronomico, oltre che i prodotti, del nostro Paese.
Il sistema agroalimentare ha di fronte sfide importanti che dovranno affrontare le problematiche attuali (sanitarie e ambientali in primis), tener conto di come l’intera filiera del sistema agroalimentare (produzione, trasformazione, conservazione, distribuzione) sta evolvendo, per arrivare ad avere un’alimentazione sana e sostenibile a beneficio dell’essere umano e del pianeta.
Non è la prima volta che il sistema agroalimentare si trova ad affrontare rivoluzioni sostanziali e l’esempio italiano è emblematico (basti pensare, ad esempio, alle invasioni «barbariche» alla fine dell’Impero Romano d’Occidente o alla prima rivoluzione industriale). La stessa Dieta Mediterranea è il frutto delle continue mutazioni dovute agli alimenti e alle culture gastronomiche che, di volta in volta, si sono affacciate sulle sponde delMediterraneo portando cibi dall’Oriente e dalle Americhe, dal Nord Europa e dall’Africa.
Nella tradizione Italiana, si è sempre trovata, in maniera più o meno spontanea, una sintesi tra il «vecchio» e il «nuovo». Anche ora è necessario che, per affrontare le sfide che si profilano, si trovi una sintesi senza rifarsi unicamente a modelli passati (che mantengono la loro validità) e senza affrontare il futuro con atteggiamento o di accettazione passiva o di condanna preconcetta.
Riferimenti bibliografici
- Capatti A, Montanari M. La cucina Italiana. Storia di una cultura. Ed Laterza, 2005 ISBN 9788858102084
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Federalimentare si augura che vengano superate le perplessità che finora hanno impedito la nomina ufficiale del Commissario designato italiano alle Politiche di coesione e alla Vice Presidenza della Commissione Europea, Raffaele Fitto. Lo riferisce in una nota la stessa Federazione dell’industria degli alimenti e delle bevande.
“Riteniamo molto importante che il Ministro per gli Affari Europei possa insediarsi a pieno titolo a Bruxelles – dichiara il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino – soprattutto in considerazione del grande lavoro che, in collaborazione con il Commissario all’Agricoltura Christophe Hansen, potrebbe svolgere a sostegno della filiera agroalimentare nel corso dei prossimi cinque anni. Auspichiamo anche che all’onorevole Fitto venga confermato il ruolo di Vice Presidente Esecutivo della Commissione, così da garantire la piena considerazione delle istanze del nostro Paese da parte dell’esecutivo comunitario”.
“L’agrifood italiano – conclude Mascarino – costituisce un interesse nazionale di primaria rilevanza, non solo per il ruolo fondamentale dell’alimentazione nella società, ma anche perché vero e proprio traino dell’economia del Paese, di cui costituisce il primo settore manifatturiero. Auspichiamo pertanto che si riesca a trovare una convergenza politica capace di scongiurare un ridimensionamento del ruolo cruciale che il candidato italiano potrebbe rivestire nella nascente Commissione Europea”.

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