L’industria alimentare si conferma la voce manifatturiera più performante.
Secondo le statistiche ISTAT del mese di novembre 2024, i volumi di produzione registrano, a parità di giornate di calendario, un aumento tendenziale del +4,5%, in accelerazione dopo il +3,7% di ottobre.
Il passo del settore riprende dunque slancio e si consolida, generando una crescita tendenziale sugli undici mesi del +2,0%, dopo il +1,7% dei dieci mesi e il +1,5% dei nove mesi.
Il comparto alimentare che mostra la crescita tendenziale più marcata è quello dei “gelati” (+18,9%), seguito dai “piatti preparati” (+11,6%), dalla “lavorazione e conservazione dei pesci e dei crostacei” (+9,2%), dal “cacao, cioccolato, caramelle e confetterie” (+6,5%).
L’alimentare amplifica il rimbalzo rispetto al 2023 – evidenzia il Centro Studi di Federalimentare – sottolineando una dinamica premiante rispetto agli altri asset fondamentali del Paese.
Anche se non mancano le incertezze legate alle misure protezionistiche paventate oltreoceano, l’industria alimentare – simbolo per eccellenza del Made in Italy nel mondo – ha dato prova di riuscire a crescere di fronte a scenari internazionali sfidanti.
Le prospettive per il 2025 rimangono più che positive, anche in relazione alla più volte richiamata capacità di evolvere del settore.
Prof. LUCA PIRETTA
Gastroenterologo e Nutrizionista
Università Campus Biomedico di Roma
Il pensiero del cioccolato, aldilà della piacevolezza del suo consumo, richiama abitualmente un concetto di alimento pericoloso in quanto ipercalorico e ricco di zucchero, ed è spesso oggetto di demonizzazione quando lo si analizza da un punto di vista nutrizionale. Come stanno veramente le cose? Dobbiamo davvero starne alla larga?
Molti alimenti possiedono, oltre ad una azione energetica e nutriente, effetti addizionali potenzialmente utili alla salute e per tale motivo vengono considerati alimenti funzionali. Un alimento è definito funzionale se, oltre alle sue proprietà nutrizionali, è scientificamente dimostrata la sua capacità di influire positivamente su una o più funzioni fisiologiche, contribuendo a migliorare lo stato di salute e a ridurre il rischio di insorgenza delle malattie correlate al regime alimentare. Classici alimenti funzionali possono essere considerati lo yogurt, i broccoli, il pomodoro, i legumi e le noci. Nel concetto classico di alimento funzionale viene sottolineata l’importanza dell’azione benefica sulle funzioni organiche di un individuo, ma viene trascurato l’aspetto positivo legato agli effetti psicologici e gustativi che si possono aggiungere a quelli organici, migliorando di molto la qualità di un alimento rendendolo, anche per questo, funzionale. L’opportunità di valutare anche gli aspetti psicologici e gustativi di un alimento rilancia il ruolo di un alimento particolare, non solo ricco di nutrienti, di energia e di sostanze benefiche per la salute, ma anche fonte di piacere: il cioccolato. Raccomandato fin dall’antichità in caso di astenia, oggi spesso viene bandito, per il suo elevato valore calorico, nei paesi come l’Italia dove l’obesità rappresenta un importante problema sanitario.
In realtà, le proprietà del cioccolato vanno ben oltre il semplice apporto calorico. L’elevato contenuto in ferro, potassio e sostanze nervine (teobromina) offre la possibilità di impiego terapeutico in numerose condizioni morbose. La presenza di flavonoidi e di alcuni grassi vegetali poco aterogenici garantisce un’azione antiossidante e antiaggregante con il conseguente effetto cardioprotettivo. Inoltre, la stimolazione dei recettori cannabinoidi ad opera di alcune sostanze neuroattive conferisce a questo alimento la particolarità di determinare una sensazione di benessere indipendente dal senso di sazietà legato all’assunzione di un cibo calorico.
La scienza medica ha studiato a fondo gli effetti farmacologici del cioccolato in relazione agli effetti sul sistema nervoso centrale e sulla psiche, ma fin dall’antichità, quando il rigore del metodo scientifico ancora non esisteva, veniva impiegato come alimento divino di cura tra le popolazioni Olmec, Azteche e Maya (1) o, nel XVI° secolo, come vera e propria arma terapeutica nel trattamento della fatica (2), della febbre e dell’insufficienza cardiaca (3).
Tra il XVI° e il XX° secolo, il cioccolato più che un farmaco era considerato ciò che oggi chiameremmo uno strumento della medicina naturale, e veniva somministrato in modo empirico da artisti della medicina per curare i pazienti emaciati, per stimolare il sistema nervoso nei soggetti affetti da astenia (4), o per migliorare la digestione e la funzione intestinale (5). Sempre senza particolari motivazioni scientifiche, almeno per le conoscenze dell’epoca, veniva consigliato alle donne con scarsa capacità di allattamento e agli uomini per migliorare la virilità maschile, mentre il burro di cacao, per le sue proprietà emollienti ed isolanti, veniva impiegato nella cura delle ferite e delle irritazioni cutanee (4). Infine, il cioccolato poteva essere utilizzato come via di somministrazione di farmaci sotto forma di bevanda o grazie al burro di cacao per la fabbricazione di supposte.
Successivamente, la conoscenza scientifica ha permesso di capire (ma tuttora in modo non esaustivo) quali sono gli elementi del cioccolato che possono esprimere effetti farmacologici e nutrizionali.
Il cioccolato, inconsapevolmente, è stato forse il primo pilastro di un ponte teso tra scienza e credenza, e per questo potrebbe essere considerato l’anello di congiunzione tra la cultura popolare e la medicina scientifica nonché il simbolo di fusione tra la farmacologia e la terapia empirica.
Il cioccolato è un alimento composto da vari nutrienti alcuni dei quali sono estremamente variabili e questo fatto conferisce ai diversi tipi di cioccolato caratteristiche nutrizionali, caloriche ed organolettiche decisamente differenti.
La pianta del cacao (Theobroma Cacao) è un albero di media grandezza che cresce allo stato selvatico in Amazzonia, e si coltiva in America centro-meridionale e nell’Africa tropicale. I semi amarissimi contenuti nel frutto contengono sostanze grasse (40-50%), amido, zuccheri, proteine e altre sostanze tra le quali teobromina e caffeina. La presenza di questi nutrienti, e in particolari dei grassi come il burro di cacao, fa la differenza tra il potere calorico nutrizionale del cacao rispetto a quello di altre sostanze nervine, spesso equiparate, come il caffè e il tè.
Infatti, 100gr di polvere di cacao forniscono 355 Kcal, mentre un’equivalente quantità di polvere di caffè o di foglie di tè ne apportano 287 e 108 rispettivamente (6). Va considerato però che una tazzina di caffè contiene in media appena 6 grammi di polvere e una bustina di tè circa 2 grammi di foglie, mentre una tazza di cioccolata contiene circa 50 grammi di cioccolato (che rispetto alla semplice polvere di cacao fornisce 542 Kcal) ai quali vanno aggiunte le calorie di circa 200 ml di latte.
Pare evidente che il cioccolato rappresenta un alimento vero e proprio contenente proteine, grassi e carboidrati e che fornisce una notevole quantità di calorie ed è quindi comprensibile il suo impiego fin dall’antichità come ricostituente nei casi di astenia.
Al contrario, nelle società occidentali di oggi come come quella italiana, dove il problema dell’obesità costituisce uno dei principali problemi sanitari, e la percentuale di soggetti con un indice di massa corporea (IMC) al di sopra del normale è in continua crescita, il cioccolato potrebbe essere additato come cibo da bandire, in particolare tra i bambini e gli adolescenti.
Siccome però la cultura del proibizionismo è risultata quasi sempre perdente, ecco che diventa importante l’educazione alimentare. Sapere quando il cioccolato può essere concesso, o addirittura consigliato, permette di accedere ai benefici di questo alimento limitando al massimo gli inconvenienti che può determinare la sua assunzione, anche perché le proprietà del cioccolato vanno al di là del semplice apporto calorico.
L’elevato contenuto in ferro (5 mg/100g) (quasi il doppio della quantità contenuta nella carne) potassio (300 mg/100g) e calcio (262 mg/100g nel cioccolato al latte) lo rendono un alimento utile (pur tenendo conto della non eccellente biodisponibilità) in corso di anemia, di ipopotassiemia, o nelle fasi della crescita laddove l’eccesso di peso o la presenza di diabete non ne sconsiglino l’utilizzo.
Come è stato detto, il cioccolato contiene, come il caffè e il tè, una di quelle sostanze (la teobromina) che viene annoverata come “nervina” perché esercita effetti sul sistema nervoso centrale stimolando l’attenzione e la vigilanza, e migliorando l’efficienza fisica e mentale.
Gli effetti sul SNC di teobromina e di caffeina contenute nelle quantità abitualmente assunte di cioccolato sono meno evidenti di quelle osservate dopo assunzione di alcune tazzine di caffè. Questi effetti sono rappresentati da una maggiore rapidità e fluidità del pensiero e riduzione del tempo di reazione. I fenomeni di tolleranza a queste azioni osservati dopo il consumo abituale di queste xantine sono difficilmente osservabili con l’assunzione del cioccolato rispetto a quanto accade con il caffè, e lo stesso si può affermare in merito all’azione rebound in seguito all’eccessiva quantità di adenosina endogena liberata dopo brusca sospensione delle sostanze nervine (7).
La ricerca del cioccolato, osservata in modo quasi compulsivo in alcune persone, risulta essere qualcosa di più definito e mirato rispetto alla semplice voglia di cibo come gratificazione. Le etanolamine presenti agirebbero stimolando i recettori cannabinoidi del SNC sia direttamente che indirettamente aumentando i livelli di anandamide (8). Questo fatto potrebbe conferire al cioccolato la particolarità di determinare una sensazione di benessere indipendente dal senso di sazietà legato all’assunzione di un cibo calorico.
Infine, il cioccolato, contenendo anche fenil-etilamine e tiramina, avrebbe in qualche modo un’azione anfetamino-simile riducendo il senso di stanchezza fisica e psichica, oltre ad attenuare i sintomi depressivi grazie all’abbondante presenza di triptofano, precursore della serotonina, uno dei mediatori neurochimici del benessere.
Molto è stato discusso sugli effetti del cioccolato sul sistema cardiovascolare.
La presenza di elevati livelli di grassi che possono raggiungere il 37,6% in quello al latte (6) farebbe presupporre un alto rischio aterogenico. I grassi contenuti nel cioccolato derivano principalmente dal burro di cacao la cui composizione è rappresentata da acidi grassi saturi del tipo palmitico, stearico e laurico. Il laurico e il palmitico sono acidi grassi con un elevato potere aterogenico mentre l’acido stearico, per la sua veloce desaturazione ad acido oleico svolge un ruolo protettivo sui vasi (9). Invece, l’assenza di colesterolo e la notevole quantità di flavonoidi, sostanze con effetto antiossidante, inclinano la bilancia degli effetti cardiovascolari sul lato della protezione, anche perché i flavonoidi mostrano effetti antiaggreganti equivalenti all’aspirina (10). Altri studi hanno peraltro dimostrato l’effetto vasodilatatore positivo del cioccolato amaro sulle coronarie (11).
Gli aspetti negativi del cioccolato sulla salute riguardano come già detto i pazienti obesi o quelli diabetici per il valore calorico di questo alimento e per la presenza di zuccheri semplici. Va inoltre considerato il rischio che l’assunzione del cioccolato possa dare origine ai sintomi della malattia da reflusso gastroesofageo e alla cefalea in alcune forme di emicrania.
In conclusione, possiamo affermare che consumato nelle giuste (moderate) quantità, il cioccolato costituisce una fonte preziosa di nutrienti e rappresenta una sorta di alimento funzionale per i benefici che può esercitare sulla psiche e sul sistema nervoso.
BIBLIOGRAFIA
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“Federalimentare esprime apprezzamento e rivolge i suoi complimenti a Barbara Cimmino, Giuseppe Ferro, Riccardo Garosci, Annalisa Sassi e Matteo Zoppas per essere stati nominati componenti del CdA dell’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, su proposta del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani”. Lo dichiara in una nota il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.
“La riconferma dell’amico e collega Matteo Zoppas alla presidenza dell’Ice e la nomina di Barbara Cimmino vice presidente di Confindustria con delega all’internazionalizzazione sono un ottimo segnale per il settore agroalimentare, così come la nomina dei colleghi del food Annalisa Sassi, già Presidente del Gruppo Giovani nazionale di Federalimentare e di Giuseppe Ferro che per la Federazione sono certamente motivo di grande fiducia soprattutto in considerazione delle sfide che il settore dell’industria alimentare italiana dovrà affrontare nei prossimi anni”.
“Federalimentare – prosegue Mascarino – è convinta che la crescita della nostra industria passi dalla promozione di una maggiore internazionalizzazione delle aziende e delle imprese nei mercati mondiali, ma anche dalla capacità che avremo a livello nazionale ed europeo di favorire una rinnovata e più forte competitività nei confronti dei nostri diretti competitor”.
“Certamente – aggiunge il Presidente di Federalimentare – il dato dell’export che ha segnato fra gennaio e agosto 2024 un +8,2% proiettando di arrivare a fine anno a quota 53 miliardi, un nuovo record assoluto, è un ottimo segnale per il percorso in atto e siamo assolutamente convinti che questi numeri, grazie alla sinergia virtuosa fra tutti gli attori della filiera, con il supporto delle Istituzioni e da una Commissione europea rinnovata, potranno favorire maggiormente la competitività dell’industria italiana ed europea nelle sfide globali”, conclude Mascarino.
Prof. LUCA PIRETTA
Gastroenterologo e Nutrizionista
Università Campus Biomedico di Roma
L’insonnia, o il semplice dormire male, è causa importante di malessere diurno, non solo per il fatto che spesso può comportare problemi di umore come irritabilità e nervosismo, cosa che tutti abbiamo sperimentato, ma secondo alcuni studi dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno pare che la mancanza di sonno provochi disturbi cardiovascolari e depressivi.
Il sonno gioca anche un ruolo importante nel funzionamento metabolico dell’organismo. Durante il sonno, infatti, il metabolismo si rallenta e di conseguenza l’organismo “consuma” di meno (sempre che il sonno sia tranquillo), ma è anche vero che il sonno prolungato equivale ad un digiuno, e in questa condizione si attivano alcune vie cataboliche al fine di mantenere costante il livello di glucosio nel sangue (unico nutriente utilizzato dal nostro cervello oltre ai corpi chetonici utilizzati in situazioni emergenziali) che portano al trasferimento del grasso contenuto nel tessuto adiposo verso il fegato per ottenere energia. Quindi l bilanciamento di questi due effetti contrari può portare conseguenze diverse da un individuo a un altro secondo la sua capacità metabolica di adattamento. Inoltre, il sonno di breve durata, o frequentemente interrotto, aumenta i livelli nel sangue della grelina (ormone con effetti antagonisti della leptina) e questo porterebbe ad un aumento dell’appetito diurno e, conseguentemente, del peso corporeo.
La durata ideale del sonno dovrebbe essere di circa otto ore, tempo necessario all’organismo per il recupero dei meccanismi cellulari ma questo è un dato puramente teorico. Si sa che alcune persone riescono a svolgere la propria vita in modo efficiente anche dormendo poco e viceversa. È importante ricordare però che non tutti i sonni sono ristoratori. Non basta “rimanere incoscienti” per otto ore, è necessario che siano rispettati i ritmi e le profondità del sonno. Per esempio, la comparsa delle apnee notturne negli obesi o nei bronchitici cronici che frequentemente comportano una uscita dal sonno REM anche senza risveglio, sono la principale causa della sonnolenza diurna, della stanchezza al risveglio e dei colpi di sonno al volante.
Come può aiutare l’alimentazione a garantire un buon sonno? Esistono dei cibi della buona notte?
Sicuramente si. Innanzitutto, bisogna evitare di andare a dormire subito dopo una cena abbondante o a digiuno, perché entrambe le condizioni possono ostacolare il sonno. Nel primo caso, con la posizione orizzontale, lo stomaco disteso può sollevare il diaframma rendendo più difficoltosa la respirazione nella fase di addormentamento e inoltre l’assorbimento dei nutrienti appena ingeriti mantiene attivo il sistema nervoso. Nel secondo caso, i bassi valori di glicemia possono attivare alcuni meccanismi volti alla ricerca del cibo che ostacolano il sonno.
Oltre alle quantità e agli orari della cena è anche importante scegliere gli alimenti giusti per aiutare il buon sonno. Per esempio, sappiamo che il latte tende a conciliare il sonno. Questo è dovuto al fatto che alcune proteine del latte, in particolare la caseina, vengono digerite dalla pepsina, tripsina e carbossipeptidasi in peptidi dotati di attività biologica come le casomorfine che, stimolando i recettori oppioidi, conciliano il sonno. Il triptofano è un amminoacido precursore della serotonina e della melatonina e quindi gli alimenti che lo contengono (uova, nocciole, arachidi, legumi, carne e pesce) sono indicati nei soggetti che soffrono di insonnia. Sono anche utili a questo scopo gli alimenti ricchi di melatonina come l’avena, l’orzo e le mandorle.
Bisogna evitare invece vino, formaggio, cioccolato e cavoli, perché contengono tiramina, una ammina che inducendo la sintesi dell’adrenalina rende il sonno più difficile. Sono anche sconsigliati gli alimenti e le bevande ricche di sostanze nervine come il cioccolato, il caffè, il tè e le bevande energizzanti. Molte sostanze contenute in questi alimenti
possono esercitare un effetto eccitatorio sul sistema nervoso centrale anche se è importante sottolineare la grande differenza esercitata dal loro consumo saltuario rispetto a quello abituale, in quanto un consumatore occasionale può avere difficoltà a dormire dopo un solo caffè mentre un bevitore abituale può non notare alcun effetto. Anche l’alcol può interferire con il sonno perché è un inibitore del sistema nervoso centrale e può indurre sonnolenza dopo la prima fase di euforia.
Mangiare frutta e verdura e bere molta acqua durante il giorno può migliorare il sonno soprattutto nei soggetti che soffrono di crampi notturni. Questi tendono a comparire durante la notte perché assumiamo posizioni statiche prolungate che possono rendere più difficile l’irrorazione ai muscoli i quali possono andare in sofferenza soprattutto per la carenza di potassio e magnesio. Ecco che diventa importante assicurarsi , durante il giorno, un corretto apporto di sali minerali e vitamine per riposare meglio.
Infatti, tra i motivi responsabili di un cattivo sonno troviamo stress, ansia, farmaci, oppure fattori legati a sindromi particolari, come apnee notturne influenzate da un irregolare flusso di aria ai polmoni o il cosiddetto mioclono notturno, che consiste in scatti incontrollati delle gambe e nella comparsa di contrazioni muscolari (la sindrome delle gambe senza riposo). Queste sono problematiche per le quali sono necessarie analisi approfondite, come la polisonnografia (che monitora l’andamento del sonno) per accertare le cause dei disturbi.
Oltre ad intervenire con una cura appropriata in caso di disturbi fisiologici veri e propri, la sana alimentazione, in particolare riferita alle pietanze della cena, può essere di grande aiuto soprattutto se ricche di magnesio, e di vitamine del gruppo B, come la B3 (niacina) e la B6, indispensabili per il buon funzionamento del sistema nervoso e la corretta attività muscolare.
Ecco nel dettaglio quali sono gli alimenti più indicati per un buon sonno.
Cereali
Tra gli alimenti che garantiscono un sonno di qualità c’è il riso, da preferire alla pasta e da scegliere nella variante integrale: tra le sue “performance” nutrizionalitroviamo la grande capacità calmante, grazie al maggiore indice glicemico e alla presenza del triptofano e quindi della serotonina. Proprio per il suo indice glicemico, e per il discreto contenuto calorico, è consigliabile mangiarlo comunque con moderazione, preferibilmente con un condimento leggero come un filo d’olio extravergine di oliva e delle verdure. I diabetici dovrebbero invece preferire la pasta alla sera rispetto al riso. Tra i cereali, anche l’avena e l’orzo, ottimi per una gustosa zuppa, possono contribuire a dormire meglio anche grazie al loro contenuto in melatonina. Così come latticini come la ricotta, anch’essi ricchi di triptofano, formaggi non stagionati, e naturalmente latte parzialmente scremato: berne una tazza calda prima di mettersi sotto le coperte è utile.
Verdure e semi
Contro insonnia e cattivo riposo intervengono anche alcune verdure come spinaci e bietole, fonti di magnesio ma anche di clorofilla, che migliora l’apporto di ossigeno al sangue, oltre che di vitamine del gruppo B che favoriscono il rilassamento muscolare. Meglio mangiarli crudi, appena scottati o cotti al vapore, per non disperdere questi preziosi nutrienti.
Anche alcuni semi si rivelano grandi alleati del sonno, come quelli di zucca, piccoli forzieri di triptofano e magnesio, ma anche ricchi di fitoestrogeni naturali, carotenoidi, vitamina E. Ricordiamo che ananas e zenzero contengono melatonina. Anche i semi di sesamo aiutano a riposare bene grazie al loro contenuto di magnesio, triptofano, vitamina B3.
Legumi e pesce azzurro
Ricchi di niacina sono anche i fagioli, in particolare quelli secchi, che possono contare su una buona percentuale di magnesio, sono molto proteici e sazianti. Importante anche la frutta secca, che riveste un ruolo fondamentale per l’armonia del ritmo sonno-veglia, soprattutto le mandorle (ma anche noci e nocciole), particolarmente ricche di magnesio e triptofano. Di quest’ultimo sono ottime fonti anche le sardine (così come gli altri pesci azzurri), che ne contengono ben 250 mg in un etto, insieme a una generosa percentuale di vitamina B6 e ai grassi buoni Omega 3, il tutto in 113 kcal per 100 grammi, che ben si conciliano con l’esigenza di stare leggeri a cena.
Cosa evitare se si soffre di insonnia.
Così come uno stomaco vuoto, uno stomaco troppo pieno non concilia il sonno, quindi meglio fare una cena non troppo abbondante e non abusare di alimenti molto ricchi di grassi, pesanti, ipercalorici, che ostacolerebbe la digestione e quindi il riposo. Evitate anche di abusare del sale, sostituendolo con spezie come basilico, origano, maggiorana, dagli effetti sedativi. No anche ad alcolici e super-alcolici, tè e caffè, dolci, che è meglio evitare di consumare a cena.
Lorenzo M Donini
“Sapienza” Università di Roma
La declaratoria dell’UNESCO, che definisce la Dieta Mediterranea come patrimonio intangibile dell’Umanità, la descrive come “molto più di un semplice elenco di alimenti o una tabella nutrizionale” considerandola “uno stile di vita che comprende una serie di competenze, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni concernenti la coltivazione, la raccolta, la pesca, l’allevamento, la conservazione, la cucina e soprattutto la condivisione e il consumo di cibo”.
L’arte culinaria è quindi un elemento caratterizzante la Dieta Mediterranea perché (continua la declaratoria) “mangiare insieme è la base dell’identità culturale e della continuità delle comunità nel bacino Mediterraneo, dove i valori dell’ospitalità, del vicinato, del dialogo interculturale e della creatività, si coniugano con il rispetto del territorio e dellabiodiversità”.
Le pratiche gastronomiche e la convivialità, nel bacino Mediterraneo, vanno di pari passo svolgendo “un ruolo vitale nei riti, nei festival, nelle celebrazioni, negli eventi culturali, riunendo persone di tutte le età e classi sociali”.
L’arte culinaria, implicita nella Dieta Mediterranea, è non solo l’amalgama di una vita comunitaria, ma è in grado di valorizzare anche “l’artigianato e le vocazioni locali, come la produzione di contenitori per la conservazione e il consumo di cibo, le manifatture artistiche di piatti e bicchieri di ceramica e vetro, l’arte del ricamo e della tessitura”.
Sempre secondo la declaratoria dell’UNESCO, la Dieta Mediterranea e l’arte culinaria sono valorizzate dalle donne che “giocano un ruolo fondamentale nella trasmissione delle conoscenze della Dieta Mediterranea in quanto si prendono cura dei famigliari e dei conoscenti preparando sia il cibo quotidiano che quello festivo e tramandano i loro segreti culinari a figli e nipoti, facendo dei banchetti festivi un’autentica celebrazione della vita”.
Tutti questi elementi di cultura e civiltà sono declinati nella grande varietà di tradizioni gastronomiche, che,probabilmente unico esempio al mondo, sono lo specchio di una storia che ha visto arrivare in Italia, stabilirsi e attraversarla popoli provenienti da tutti i punti cardinali, con il loro bagaglio di conoscenze, storia, alimenti, ricette. Una cucina, che si è radicata e si è evoluta nei diversi territori, valorizzando questi e le professioni dell’intera filiera agroalimentare, e che è stata interpretata in tanti modi diversi anche se con un minimo comun denominatore rappresentato dalla Dieta Mediterranea.
Questa esperienza interculturale, in una società che è sempre stata cosmopolita, ha favorito il dialogo tra i popoli e La contaminazione delle diverse tradizioni. Da qui nascono le mille ricette dell’arte culinaria Italiana, molto spesso caratterizzata dall’uso di prodotti dell’orto (verdure, ma anche erbe odorose) insieme a spezie e prodotti di altre tradizioni, che combinano i tanti diversi influssi e che riescono a stimolare in maniera così penetrante i nostri sensi (Capatti A, 2005).
Non solo, ma i continui contatti tra popoli e le conseguenti continue nuove esperienze di cibi nuovi, hanno portato alla coltivazione di tante diverse specie di frutta e ortaggi, al recupero e all’allevamento di tante diverse razze autoctone di animali fino a rappresentare, l’Italia, e la Cultura Gastronomica un importante baluardo della biodiversità sempre più minacciata in tante altre parti del Mondo da una sempre maggiore omogeneità dei consumi alimentari e dei sapori dei cibi.
Il concetto di biodiversità, valorizzato dall’Arte Culinaria Italiana, è uno degli elementi determinanti la sostenibilità di una filiera agroalimentare alla cui base sono presenti cereali, frutta, ortaggi, e olio di oliva, ma che considera tutti gli altri alimenti, nessuno escluso (carni, pesci, latte e derivati, dolci) come testimoniato dalla Piramide Alimentare Mediterranea in cui anche il vino, in dosi moderate e nell’ambito di uno stile di vita sano, può trovare spazio (Donini LM, 2024). Il concetto di sostenibilità, declinato nelle sue caratterizzazioni socio-culturale, economica, ambientale e nutrizionale, è ben valorizzato nel nostro Paese grazie proprio alla Cucina Italiana. Gli aspetti socioculturali (convivialità, consumo di produzioni prevalentemente locali, pratiche gastronomiche), la componente economica(valorizzazione dei territori e delle professionalità), la tutela dell’ambiente (minor consumo di acqua, terreno e energia, oltre a minor produzione di gas serra, tipici di una dieta basata prevalentemente su alimenti d’origine vegetale che non disdegna anche gli alimenti d’origine animale) e il valore nutrizionale (per la prevenzione della maggior parte delle malattie cronico-degenerative) rappresentano le caratteristiche della Dieta Mediterranea valorizzate dalle pratiche gastronomichedella Cucina Italiana (Dernini S, 2017; Serra-Majem LL, 2020).
Di non secondaria importanza, nell’ambito della promozione di una sempre maggior sostenibilità della filiera agroalimentare, il ricettario della tradizione gastronomica Italiana, che è caratterizzato da preparazioni dettate dalla necessità di utilizzare tutti gli alimenti, di non generare scarti, di non sprecare un bene prezioso quale è il cibo. La non sempre facile reperibilità, nella storia Italiana, di cibo ha trasformato l’ansia per la carenza di questo in un potente motore di lavoro e fantasia, con la conseguente valorizzazione di conoscenze e competenze, per rendere commestibile e appetibile qualsiasi prodotto del territorio. La grande tradizione nella conservazione degli alimenti (con la produzione, tra gli altri, di una grande varietà di formaggi e carni conservate di grande pregio) e il grande valore dell’industria conserviera Italiana sono il frutto anche della necessità di ridurre lo spreco alimentare rendendo disponibili gli alimenti in qualsiasi momento dell’anno, indipendentemente dalla stagionalità delle colture.
La cucina Italiana, pur avendo la capacità di rappresentare “l’alta cucina”, come testimoniato dai tanti chef stellati Italiani con la loro inventiva e intraprendenza, è soprattutto una cucina che viene dal basso, dal popolo che, anche nei momenti di difficoltà, ha dimostrato di saper affrontare queste con fantasia e immaginazione. La distinzione tra cucina d’élite e il mangiare del popolo è, d’altro canto, molto meno marcata nella tradizione Italiana con frequenti contaminazioni che testimoniano una qualche trasversalità sociale nella preparazione di cibi.
Tutto il percorso che è stato fatto dall’evoluzione della Filiera Agroalimentare e dalla valorizzazione della Cultura Gastronomica Italiana rappresenta un esempio per il Mondo. Nel momento in cui si teme l’impatto dell’ingresso in un periodo storico denominato Antropocene, si fa riferimento alla Dieta Mediterranea come modello alimentare in grado di contribuire a contrastare questo impatto. Non a caso buona parte delle Linee Guida nazionali per un’alimentazione sana e sostenibile prendono a modello i principi della Dieta Mediterranea declinandoli, correttamente, nelle proprie tradizioni e filiere agroalimentari (Willett W, 2019).
Non ultimo, la filiera agroalimentare e la cucina Italiane rappresentano un determinante motore dello sviluppo economico del Paese, non solo valorizzando conoscenze e competenze dei territori, ma anche esportando prodotti, ricette e, auspicabilmente, cultura. Non a caso, in Europa, è il nostro Paese a detenere il primato per il numero di denominazioni protette (DOC, IGT, DOCG), quale riconoscimento alle tradizioni gastronomiche e al patrimonio agroalimentare Italiano. La Cucina Italiana contribuisce a valorizzare le eccellenze del territorio, dei borghi rurali, dei siti Unesco, dei parchi naturali – archeologici, con la creazione di veri e propri itinerari in cui storia, cultura, tradizioni, filiere agroalimentari e arte culinaria si combinano. Un contributo importante alla valorizzazione della filiera agroalimentare e alla cucina Italiane è stato fornito anche dai tanti emigrati che hanno contribuito a diffondere la cultura e l’identità in ambito gastronomico, oltre che i prodotti, del nostro Paese.
Il sistema agroalimentare ha di fronte sfide importanti che dovranno affrontare le problematiche attuali (sanitarie e ambientali in primis), tener conto di come l’intera filiera del sistema agroalimentare (produzione, trasformazione, conservazione, distribuzione) sta evolvendo, per arrivare ad avere un’alimentazione sana e sostenibile a beneficio dell’essere umano e del pianeta.
Non è la prima volta che il sistema agroalimentare si trova ad affrontare rivoluzioni sostanziali e l’esempio italiano è emblematico (basti pensare, ad esempio, alle invasioni «barbariche» alla fine dell’Impero Romano d’Occidente o alla prima rivoluzione industriale). La stessa Dieta Mediterranea è il frutto delle continue mutazioni dovute agli alimenti e alle culture gastronomiche che, di volta in volta, si sono affacciate sulle sponde delMediterraneo portando cibi dall’Oriente e dalle Americhe, dal Nord Europa e dall’Africa.
Nella tradizione Italiana, si è sempre trovata, in maniera più o meno spontanea, una sintesi tra il «vecchio» e il «nuovo». Anche ora è necessario che, per affrontare le sfide che si profilano, si trovi una sintesi senza rifarsi unicamente a modelli passati (che mantengono la loro validità) e senza affrontare il futuro con atteggiamento o di accettazione passiva o di condanna preconcetta.
Riferimenti bibliografici
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STILE DI VITA SANO. chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://clusteragrifood.it/wp-content/uploads/2023/12/POSITION-PAPER-CLAN_ASSUNZIONE-VINO-IN-MODO-RESPONSABILE.pdf
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Federalimentare si augura che vengano superate le perplessità che finora hanno impedito la nomina ufficiale del Commissario designato italiano alle Politiche di coesione e alla Vice Presidenza della Commissione Europea, Raffaele Fitto. Lo riferisce in una nota la stessa Federazione dell’industria degli alimenti e delle bevande.
“Riteniamo molto importante che il Ministro per gli Affari Europei possa insediarsi a pieno titolo a Bruxelles – dichiara il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino – soprattutto in considerazione del grande lavoro che, in collaborazione con il Commissario all’Agricoltura Christophe Hansen, potrebbe svolgere a sostegno della filiera agroalimentare nel corso dei prossimi cinque anni. Auspichiamo anche che all’onorevole Fitto venga confermato il ruolo di Vice Presidente Esecutivo della Commissione, così da garantire la piena considerazione delle istanze del nostro Paese da parte dell’esecutivo comunitario”.
“L’agrifood italiano – conclude Mascarino – costituisce un interesse nazionale di primaria rilevanza, non solo per il ruolo fondamentale dell’alimentazione nella società, ma anche perché vero e proprio traino dell’economia del Paese, di cui costituisce il primo settore manifatturiero. Auspichiamo pertanto che si riesca a trovare una convergenza politica capace di scongiurare un ridimensionamento del ruolo cruciale che il candidato italiano potrebbe rivestire nella nascente Commissione Europea”.
Si è tenuta oggi a Ecomondo, nell’ambito dell’iniziativa “I Driver per una filiera agricola più forte e competitiva: tra tradizione e innovazione, circolarità, transizione energetica”, organizzata da Confagricoltura con Federalimentare, Enea e il Comitato Scientifico di Ecomondo, la tavola di confronto che ha visto intervenire Pierre Bascou, rappresentante della Dg Agri della Commissione europea, Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, Giangiacomo Pierini, vicepresidente con delega all’ambiente di Federalimentare e Elena Sgaravatti, vice presidente di Assobiotech. Il dibattito si è focalizzato sulla necessità di rafforzare il sistema cibo in Europa, anche alla luce degli scenari che si delineeranno con la nuova presidenza americana, facendo leva sull’innovazione per ridurre l’impronta ecologica.
“Siamo chiamati a costruire nuovi modelli produttivi, in uno scenario in cui l’Europa pone obiettivi di sviluppo sostenibile molto sfidanti. L’ecosistema europeo, tuttavia, deve essere in grado di confrontarsi e competere con attori di grandi dimensioni come gli Stati Uniti e la Cina. Certamente i nuovi paradigmi devono continuare a tutelare l’ambiente ma dobbiamo chiederci dove portano le transizioni che stiamo mettendo in atto. Serve una direzione decisa, orientata alla competitività. Confagricoltura ha un’idea chiara: quella di un’agricoltura sempre più produttiva, grazie al digitale, alla scienza, alla ricerca e alle tecnologie applicate. Siamo di fronte a stravolgimenti epocali. Il cambiamento climatico è innegabile. Abbiamo bisogno di un’agricoltura europea che torni in prima linea nel mercato globale. Il modello italiano, ad esempio, a livello ecologico è uno dei più virtuosi. Restituiamo all’ambiente oltre il 92% dell’acqua che utilizziamo. Ora dobbiamo mettere gli agricoltori nelle condizioni di produrre di più e sempre meglio, in linea con gli ottimi standard di qualità e sicurezza che già garantiamo” così ha dichiarato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura.
Giangiacomo Pierini, vice presidente di Federalimentare: “Nel quadro al centro del dibattito di oggi sono molte le sfide aperte: a partire dalla tecnologia che sostiene la Green economy e che richiede un cambio di visione. Come settore agroalimentare abbiamo la consapevolezza di avere un ruolo importante nel raggiungimento di obiettivi strategici per il futuro dell’economia globale. A partire dalla produzione di cibo di qualità per una popolazione mondiale in esplosione, alla protezione degli ecosistemi, ma c’è un tema fondamentale che non possiamo sottovalutare ed è quello della competitività, una precondizione vitale per le nostre imprese con la necessità di una maggiore visione sia a livello europeo sia a livello nazionale, anche alla luce delle nuove sfide che dovremmo aspettarci dalla nuova amministrazione Trump e dai mercati asiatici”.
Dai formaggi ai dolci, dal vino ai salumi, il nostro Paese continua a conquistare i palati di tutto il mondo. Se sarà confermato infatti il trend dei primi sette mesi dell’anno (+9,3%), l’export di settore raggiungerà a fine 2024 un nuovo record assoluto.
L’export dell’industria alimentare, dopoun 2023 in cui ha raggiunto quota 52,2 miliardi,raddoppiando in dieci anni il suo valore, conferma quindi una spinta vigorosa per l’intera economia nazionale, con una crescita che a fine 2024 può toccare i 57,0 miliardi, con una quota aggiuntiva di 4,8 miliardi.
Un risultato straordinario in un contesto internazionale debole, in cui il commercio esprime un modesto +1,6% sull’anno precedente.
Se le stime saranno confermate dall’andamento di fine anno, sommando ai 57,0 miliardi dell’industria alimentare gli 11miliardi prevedibili per il settore primario, l’export agroalimentare2024 potrebbe raggiungere la quota complessivadi 68 miliardi, avvicinando il grande traguardo di 70 miliardi.
Sul gennaio-luglio 2024, fra i prodotti più ricercati all’estero, emergono quelli appartenenti all’enologico, con 5,0 miliardi di euro di export; al dolciario, con 4,3 miliardi; al lattiero caseario, con 3,4 miliardi; all’oleario, con 2,6 miliardi; al pastaio, con 2,5 miliardi; alla trasformazione degli ortaggi, con 2,5 miliardi.
Mangiare italiano è sinonimo di qualità, raffinatezza, gusto. Sono doti che mettono d’accordo i Paesi più importanti del mondo. Tra i mercati che amano in modo speciale i nostri prodotti, svettano gli Stati Uniti. Lacrescita di questo mercato nei primi sette mesi dell’anno è molto significativa, con un valore export di oltre 4,4 miliardi di euro, un + 19,7% sullo stesso periodo2023 e una quota del mercato estero di settore pari al 13,5 %. Primeggia ancora comunque la Germania, che continua ad essere leader in classifica, con 4,6 miliardi (+5,3% sui primi sette mesi2023) e una quota di mercato del 14,2%.Le esportazioni di settore 2024 si consolidano anche nei paesi a ridosso dei primi due, e cioè in Spagna (+9,2%), nel Regno Unito (+7,0%), e in Francia (+4,0%).
Non è un risultato casuale: premia un settore che salvaguarda e riunisce in sé i valori iconici di un patrimonio inestimabile di cultura, qualità e bontà del Made in Italy.
Il caffè, la bevanda nazionale italiana per eccellenza, secondo un’indagine condotta da AstraRicerche risulta essere la bevanda più diffusa in Italia. Tra i 18-65enni ben il 96,6% consuma, almeno saltuariamente, caffè o bevande a base di caffè o che lo contengono; nessuna variazione rispetto alla rilevazione precedente del 2014 che riscontrava il 96,5%.
I comportamenti più diffusi sono bere 2-3 caffè al giorno (38.2%) o 3-4 al dì (38.3%) con una media di poco inferiore ai tre (2,75: il consumo è lo stesso per uomini e donne mentre cresce al crescere dell’età, è più elevato nel Sud e nelle grandi città.
Il caffè continua ad essere consumato prevalentemente a casa propria (90,3% ed era 89,4% nel 2014), ma sono molteplici i luoghi in cui lo si beve.
Il caffè contiene oltre 900 sostanze, la più studiata delle quali è la caffeina. Sono però presenti anche proteine, lipidi, carboidrati (solubili ed insolubili), minerali, vitamine e soprattutto polifenoli con importanti proprietà antiossidanti. La tostatura cui il caffè è sottoposto può ridurre la presenza o l’attività di molte di queste sostanze. Tra i principali antiossidanti presenti nel caffè si trovano i polifenoli, presenti oltre che nel caffè anche in una grande varietà di alimenti, in particolare nella frutta e nella verdura. I polifenoli sembrano agire non solo come antiossidanti ma anche come attivatori di meccanismi protettivi endogeni dell’organismo.
Tra le azioni attribuibili ai polifenoli del caffè va ricordato l’effetto antinfiammatorio, ritenuto oggi essenziale per la prevenzione cardiometabolica (aterosclerosi, diabete), ma anche nei confronti di patologie degenerative di natura oncologica e neurologica (demenze). Sembra che ai polifenoli del caffè si possa attribuire anche una riduzione della capacità digestiva dei carboidrati complessi, come gli amidi, in di- e mono-saccaridi, che ridurrebbe i picchi glicemici e insulinemici post-prandiali: l’effetto sarebbe mediato dall’inibizione dell’alfa-amilasi, enzima intestinale che digerisce gli amidi di pasta, pane e patate. I polifenoli del caffè influenzerebbero infine la composizione del microbiota intestinale con effetti positivi da un punto di vista prebiotico a favore dello sviluppo di batteri utili all’organismo.
La sostanza che a tutti viene subito in mente appena si parla di caffè è la caffeina. La caffeina (presente anche nel tè, nel cacao ed aggiunta ad alcune bibite) ha effetti noti sul sistema nervoso centrale, con aumento dello stato di allerta e riduzione della tendenza al sonno; migliora l’efficienza muscolare, induce un transitorio aumento della frequenza cardiaca ed il rilassamento di bronchi e bronchioli. Inoltre, la caffeina sembra avere un ruolo importante nella salvaguardia della memoria come si evidenzia in uno studio pubblicato su Scientific Reports in collaborazione tra l’Istituto di Medicina Molecolare di Lisbona e l’Inserm di Lille (Francia) che dimostra che la caffeina antagonizza specifici recettori adenosinici, gli A2A, iperespressi in presenza di decadimento cognitivo.
Per la presenza di importanti quantità di caffeinai pediatri raccomandano di non dare caffè ai bimbi sotto i 12 anni, nei quali può provocare comportamenti iperattivi, diminuzione dell’appetito, difficoltà ad addormentarsi, palpitazioni, tachicardia ed enuresi notturna. Dopo i 12 anni è permessa una tazzina al giorno, ma non di sera perché potrebbe provocare disturbi del sonno.
Il contenuto di caffeina nella tazza varia in funzione della modalità di preparazione. Ma, come si vede dalla tabella, questa differenza può essere azzerata o addirittura invertita dalla quantità di bevanda ingerita.
CONTENUTO DI CAFFEINA PER DOSE DI BEVANDA
Espresso o moka
40-80mg per tazzina
Caffè americano
115-120 mg per tazza
Caffè istantaneo
65-100 mg per tazza
Decaffeinato
< 5mg per tazzina
Cappuccino
70-80 mg per tazza
Cioccolata
30-40 mg per barretta da 60gr.
Tè
40-50 mg per tazza
Bevande tipo cola
35-50 mg per lattina
Bibite energetiche con caffeina o guaranà
50-100 mg per lattina
Sebbene nel caffè americano la caffeina sia meno concentrata che nell’espresso, data la maggior quantità di bevanda che si ingerisce, alla fine la quantità assunta è maggiore nel primo.
Nel caffè decaffeinato gli effetti benefici dei polifenoli rimangono, si perdono però gli effetti stimolanti sul SNC della caffeina.
Da notare che la capacità di metabolizzare la caffeina e regolata geneticamente e inoltre, essendo questa un induttore enzimatico, i suoi effetti siano sono molto differenti tra consumatori occasionali (maggiore frequenza di tremori, insonnia, nervosismo, insonnia) e abituali (dove gli effetti collaterali sono quasi assenti) perché la sua possibilità di essere eliminata dall’organismo aumenta con la frequenza del consumo.
Vediamo quali sono gli effetti del caffè sull’organismo:
1. Caffè e rischio patologie cardio-vascolari
Il caffè esercita un effetto protettivo non lineare rispetto al rischio di malattie cardiovascolari. In dettaglio, il rischio di patologie cardiovascolari è inferiore nei soggetti che consumano 3-5 tazze al giorno, rispetto ai non consumatori; il consumo di 6-10 tazze non aumenta il rischio cardiovascolare, ma oltre le 10 tazze giornaliere questo rischio aumenta.
Attenzione: il caffè fa aumentare la pressione arteriosa. Pertanto, gli ipertesi devono usarlo con parsimonia
2. Caffè e apparato gastro-intestinale
Le xantine contenute nel caffè hanno un effetto irritante sulla mucosa gastrica ed effetti inibitori sullo sfintere inferiore dell’esofago, il che accentua il reflusso gastroesofageo. Tuttavia, in positivo, il caffè esercita un ruolo protettivo sulla permeabilità della barriera intestinale grazie all’azione positiva sul microbiota, soprattutto nel caso di una dieta ricca in grassi.
3. Caffè e salute del fegato
Contrariamente a quanto si crede, il caffè nero protegge il fegato. Bere due tazze supplementari di caffè al giorno comporta una riduzione del 44% del rischio di sviluppare cirrosi epatica di qualsiasi natura (da virus, alcol, steatosi, ecc.).
4. Caffè e diabete mellito
L’analisi di numerosi studi sul rapporto tra caffè e diabete pubblicata come review dal titolo “Coffee consumption and reduced risk of developing type 2 diabetes: a systematic review with meta-analysis”1 ha evidenziato che il consumo di caffè – sia decaffeinato che con caffeina – riduce il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 di circa il 30%. Una relazione di notevole interesse, vista la crescente diffusione mondiale della malattia, associata a numerose complicanze ad alto impatto economico e sociale sia sull’individuo che sul sistema sanitario. In questa pubblicazione sono stati analizzati 30 studi scientifici su una popolazione complessiva di oltre 1,2 milioni di persone per meglio comprendere come il consumo di caffè influisca sullo sviluppo del diabete di tipo 2 e delle complicanze ad esso associate. L’associazione risulta essere dose-dipendente: il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 diminuirebbe, rispettivamente, del 7% (in caso di caffè con caffeina) e del 6% (in caso di caffè decaffeinato) per tazza al giorno. In particolare, la riduzione del rischio di diabete di tipo 2 di nuova insorgenza sembra essere leggermente maggiore con il caffè non decaffeinato. I meccanismi biochimici della bevanda che intervengono sul rischio di diabete di tipo 2 sembrano essere legati alle sostanze antiossidanti contenute nel caffè in grado di ridurre lo stress ossidativo, associato, oltre che a numerosi effetti avversi sulle funzioni cardiovascolari, metaboliche e renali, anche all’insorgenza di diabete di tipo 2.
5. Caffè, demenze (Alzheimer) e malattie neurodegenerative
Già in passato alcuni lavori avevano dimostrato le proprietà del caffè nel potenziare la memoria a lungo termine (ad esempio una ricerca pubblicata su Nature Neuroscience nel 2014). Più recentemente, i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista The Journal of Gerontology, suggeriscono che circa tre caffè (espresso) al giorno (pari a un consumo di circa 261 milligrammi di caffeina) potrebbero proteggere dalla demenza. Rispetto a chi consuma non più di 64 milligrammi di caffeina al giorno (che grosso modo è pari a un espresso – il cui contenuto in caffeina varia da 47 a 75 mg – o a metà di una caffettiera da due tazzine di moka) – coloro che ne consumano 261 milligrammi al giorno presentano un rischio di ammalarsi di demenza o di deficit cognitivo ridotto del 36%.
Un consumo moderato di caffè in età adulta sembra incidere positivamente sulle demenze, tra cui l’Alzheimer.
6. Caffè, salute mentale e disordini psichiatrici
Il caffè sembra influire positivamente anche su salute mentale e disordini psichiatrici, diminuendo i sintomi depressivi e il rischio di suicidi, in particolare nelle donne. Effetto che sembra attribuibile alla caffeina.
7. Interazione caffeina-farmaci
La caffeina amplifica l’attività di alcuni farmaci per la cura dell’asma (broncodilatatori). In secondo luogo, provocando un aumento della frequenza cardiaca, interagisce negativamente con alcune terapie antipertensive. Può inoltre interagire negativamente con alcuni farmaci per la cura l’insonnia.
Alcuni antibiotici, poi, incrementano il livello di caffeina in circolo nell’organismo. In questi casi sarebbe opportuno ridurre la quantità ingerita nell’arco della giornata.
La caffeina interagisce anche con alcuni farmaci utilizzati in ambito psichiatrico, aumentando il rischio di effetti collaterali.
Infine, il caffè interferisce con l’assorbimento della levotiroxina
8. Il caffè NON serve per dimagrire
Il caffè non serve per dimagrire. Ad alte dosi, può anche portare perdita di peso ma per una condizione patologica di iperattività e ipermetabolismo, e comporta il rischio di gravi effetti collaterali.
9.Il caffè e lo sport.
Una review pubblicata nel 2019 suggerisce che l’assunzione di caffeine migliora le performance sportive in un’ampia gamma di attività, sebbene quelle a trarne il maggior beneficio sono quelle aerobiche. Gli effetti ergogenici sono evidenti sulla resistenza e forza muscolare, sulla potenza anaerobica e sull’endurance aerobica.
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