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Plastic e Sugar Tax, Federalimentare: “Rinvio ottima notizia per imprese e famiglie italiane”

Il Presidente Mascarino ringrazia il Governo: “Non ha ceduto a pressioni ideologiche

“Il nuovo rinvio di Plastic Tax e Sugar Tax è un’ottima notizia per le imprese italiane e in particolare per il settore agroalimentare”. Lo afferma in una nota stampa il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, secondo il quale “di questo rinvio si avvantaggeranno anche le famiglie italiane, che non dovranno far fronte all’aumento di prezzo di numerosi beni di consumo”. 

“È molto significativo – continua Mascarino – che il Governo abbia deciso di rinviare l’avvento di queste tasse fino alla fine del 2026, invece che di soli sei mesi com’era avvenuto in precedenza. Ciò dà respiro alle nostre imprese, che per tutto l’anno avevano dovuto lavorare con questa spada di Damocle sopra la testa. Auspichiamo che i prossimi dodici mesi diano modo di lavorare per giungere finalmente all’eliminazione di questi provvedimenti decisi parecchio tempo fa da un altro Governo. A questo proposito, la nostra federazione è pronta a collaborare con le istituzioni al fine di individuare soluzioni idonee a trovare le necessarie coperture finanziarie”. 

“Va sottolineato – aggiunge il Presidente di Federalimentare – che questa decisione non è opportuna solo per ragioni prettamente economiche, ma anche perché si tratta di due tasse profondamente ingiuste, la cui applicazione non migliorerebbe né la protezione dell’ambiente, né la salute dei consumatori. La Plastic Tax, infatti, non garantirebbe la sostituzione della plastica con materiali più sostenibili e non incentiverebbe attività di riciclaggio, di cui l’Italia è peraltro già leader in Europa. La Sugar Tax, invece, ridurrebbe il consumo di calorie pro capite in quantità irrisoria, dando un contributo del tutto irrilevante alla lotta contro l’obesità e le malattie non trasmissibili. La sua adozione darebbe inoltre credito all’antiscientifica teoria che la soluzione per ridurre tali patologie, sempre avversata dal nostro Paese a livello internazionale, consista nella demonizzazione di singoli nutrienti. L’evidenza scientifica mostra invece che è necessario un approccio onnicomprensivo volto a incoraggiare stili di vita corretti, che associno una dieta varia e bilanciata ad un adeguato livello di attività fisica”.

“Ringraziamo pertanto il Governo – conclude Mascarino – per non aver ceduto a pressioni di ordine ideologico e per aver compreso come gli interessi delle imprese coincidano con quelli del Paese”.

Obesità, Federalimentare: “Ottima legge, Italia all’avanguardia nel mondo su diete sane”

“Federalimentare saluta con soddisfazione l’approvazione parlamentare in via definitiva della Legge Pella, la prima al mondo che riconosce l’obesità come una patologia progressiva e recidivante”. Lo scrive in un comunicato stampa il Presidente della Federazione degli alimenti e delle bevande, Paolo Mascarino. “Si tratta di un’ottima legge”, prosegue Mascarino, “che oltre a consentire cure adeguate nell’ambito del servizio sanitario nazionale, mette a punto importanti iniziative volte alla prevenzione di questo fenomeno, che è in forte crescita in tutto il mondo”.

Secondo il Presidente di Federalimentare, “è molto importante che l’Italia si confermi all’avanguardia nella promozione di diete sane ed equilibrate attraverso l’insegnamento dei principi fondamentali della nutrizione sin dalla scuola primaria”. Un insegnamento che non può che ispirarsi alle tradizioni della Dieta Mediterranea”, sottolinea Mascarino, “grazie alla quale il nostro Paese ha saputo coniugare il gusto del mangiare con alti livelli di salute e di longevità”. 

“Come il nostro Governo ha saputo recentemente affermare anche in sede ONU nel corso del Meeting di alto livello sulle malattie non trasmissibili, non è demonizzando questo o quel cibo che si ottiene una dieta sana, ma bilanciando opportunamente porzioni e frequenze di consumo di ogni gruppo di alimenti”. “È inoltre molto apprezzabile – conclude Mascarino – che la legge preveda grandi campagne di informazione volte alla promozione di stili di vita corretti, con particolare riferimento alla necessità di aumentare l’attività fisico-motoria. Troppe volte, infatti, si lega il problemadell’obesità esclusivamente all’alimentazione, dimenticando che la sedentarietà gioca un ruolo enorme nello sviluppo di questa patologia. La decisione di rilanciare lo sport nelle scuole, e in generale nell’educazione dei minori, è pertanto una scelta molto condivisibile per favorire una crescita più salutare delle nuove generazioni”.

“Esprimo il sentito cordoglio di Federalimentare, a nome di tutta l’industria alimentare italiana, per la scomparsa di Giuseppe Adolfo De Cecco. L’Italia perde un capitano d’industria, un uomo che con la sua visione ha saputo valorizzare nel mondo uno dei nostri prodotti più identitari: la pasta. La sua professionalità e il suo impegno rimangono un punto di riferimento per l’industria agroalimentare. Alla famiglia e al Gruppo De Cecco le più sincere condoglianze”. È quanto dichiara Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare

ALIMENTAZIONE DEL BUON UMORE

Prof. LUCA PIRETTA – Gastroenterologo e Nutrizionista  Università Campus Biomedico di Roma

Il rapporto tra alimentazione e buon umore sembra essere correlato esclusivamente all’azione edonistica del cibo, vale a dire al piacere del gusto che proviamo nel consumare un alimento che ci sia particolarmente gradito oppure alla gioia della convivialità attribuibile alla compagnia e al significato sociale di un pasto. Questo è sicuramente vero, ma il rapporto tra umore e alimentazione è molto più profondo e riguarda anche aspetti biochimici ben definiti.

Una sostanza chiave nel favorire il buon umore è rappresentata dal triptofano. Questo aminoacido è il precursore della serotonina, il neurotrasmettitore del buon umore che insieme alla dopamina e all’ossicitocina stimola la componente affettiva positiva del nostro cervello dando anche origine a emozioni e sentimenti come l’amore e il senso di felicità. L’assunzione corretta e regolare del triptofano costituisce il primo passo essenziale per l’apporto di quei mattoni necessari alla sintesi di queste sostanze nel sistema nervoso centrale.

Ecco perché l’alimentazione può pertanto giocare un ruolo positivo sugli stati depressivi lievi. Siccome alcuni alimenti sono particolarmente ricchi in triptofano come formaggi, uova, nocciole, arachidi, legumi, carne e pesce la loro assunzione potrebbe essere d’aiuto proprio perché la serotonina sembra essere deficitaria nei soggetti depressi. Infatti, i farmaci attualmente maggiormente impiegati nel trattamento della depressione agiscono aumentando la durata d’azione della serotonina a livello cerebrale.

Nella tabella 1 possiamo osservare quali sono gli alimenti più ricchi di triptofano e che sarebbe pertanto importante inserire in una corretta dieta, basata sempre sul modello mediterraneo, per aiutare il nostro umore. Può essere utile sottolineare che un piatto di pasta al tonno può garantire la copertura del fabbisogno di triptofano giornaliero che è di 3,5mg/kg/die ovvero 245 mg per un adulto di 70kg. (80g di spaghetti = 104mg + 50 g di tonno = 140mg, TOTALE=  244 mg).

Può sembrare strano che il cioccolato non occupi i primi posti nella quantità di triptofano presente considerando quanto piacere e buon umore possa offrire il suo consumo. In realtà il cioccolato è tra gli alimenti che maggiormente conferisce benessere psicologico perché i suoi effetti non sono legati esclusivamente alla presenza del triptofano. Infatti, il cioccolato, come tutte le sostanze nervine, tra cui il caffè e il tè, svolge un’azione sul sistema nervoso centrale grazie ad altre molecole come la theobromina che aumenta lo stato di allerta e di eccitazione. Ma tra le sostanze nervine il cioccolato è l’unica che contiene anche feniletilamina, che ha un effetto euforizzante, provoca un senso di soddisfazione e piacere che può giovare negli stati di lieve depressione. Senza contare che contiene anche l’anandamide, l’ormone della “felicità”, un neurotrasmettitore che placa l’ansia e anche l’appetito.

Esistono evidenze scientifiche che dimostrano come la depressione sia in qualche modo collegata a bassi livelli circolanti di omega 3 e maggiori di omega 6 (1). Inoltre, la supplementazione con omega 3 sembra migliorare l’umore nei pazienti con gravi disturbi dell’umore e ridurre il rischio di depressione come evidenziato in una recente metanalisi (2). Negli animali di laboratorio si è osservato come diete carenti di omega 3 alterino i livelli di serotonina e dopamina, due neurotrasmettitori che come abbiamo visto sono molto importanti nel mantenimento del buon umore e del benessere (3). Nei bambini una carenza di acidi grassi a catena lunga può compromettere le funzioni cognitive (4) mentre gli omega 3 migliorano il flusso ionico di membrana e la trasmissione delle informazioni intercellulari (5) e sopprimono la produzione di alcune citochine infiammatorie coinvolte nei meccanismi della depressione e delle affettività negative (6)

Un recente studio (7) ha osservato come sia sufficiente un moderato consumo di pesce per ridurre il rischio di depressione, mentre una sua assunzione eccessiva potrebbe avere addirittura un effetto controproducente (figura 1 e 2)

È stato anche studiato come la prima colazione possa condizionare il buon umore. Un lavoro pubblicato nel 2019 (8) ha valutato l’associazione tra la frequenza del consumo della colazione e il rischio di sintomi depressivi nei dipendenti giapponesi. In un gruppo di 716 dipendenti, privi di sintomi depressivi e disturbi mentali al momento dell’arruolamento nello studio, sono stati seguiti per tre anni durante i quali è stata valutata l’eventuale comparsa di sintomi depressivi correlandola con la frequenza del consumo della prima colazione. I partecipanti che consumavano la colazione ≤1 volta a settimana presentavano un rischio maggiore di sintomi depressivi rispetto a coloro che facevano colazione ogni giorno, anche dopo aver corretto per altri fattori dietetici, dimostrando così che il rischio di sintomi depressivi tendeva ad aumentare con la diminuzione della frequenza del consumo della colazione.

Per quanto sia difficile e si voglia sempre cercare un capro espiatorio oppure, al contrario, un alimento che costituisca la panacea di tutti i mali, non si può attribuire ad un singolo alimento difetti o virtù relativi allo stato di salute. Bisogna sempre considerare il contesto complessivo di un corretto stile di vita che tenga conto non solo dei singoli alimenti ma anche della qualità di un pasto inteso come tempi e modalità di assunzione, del piacere gustativo di un alimento, dei ricordi piacevoli ai quali può essere associato, le reminiscenze culturali e familiari alle quali riporta e la convivialità legata al suo consumo. Certamente, la scelta dei giusti alimenti è importante se si vuole migliorare il buon umore come osservato in un recente studio (9) dove si è evidenziato che un modello alimentare caratterizzato da un elevato consumo di frutta, verdura, cereali integrali, pesce, olio d’oliva, latticini magri e antiossidanti è stato apparentemente associato a un ridotto rischio di depressione. Ma, come abbiamo detto,  non può essere solo la giusta scelta degli alimenti il fattore decisivo per far sì che l’alimentazione favorisca il buon umore.

“È con profonda commozione che ho appreso della scomparsa di Alessandra Balocco, un’imprenditrice di grande visione e coraggio. Ha saputo guidare con passione e dedizione l’azienda di famiglia, rafforzandone la presenza internazionale e dimostrando la capacità delle imprese italiane di eccellere a livello globale. L’intera filiera agroalimentare si stringe oggi attorno alla famiglia in questo momento di grande dolore”. Così in una nota Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare.

“Se fosse confermato l’accordo commerciale tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, l’industria alimentare si troverà schiacciata nella morsa tra i dazi al 15%, la svalutazione del dollaro e i costi dei dazi interni alla UE: chiediamo dunque alla UE un intervento urgente a tutela della competitività della sua industria”. Lo dichiara in una nota il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.

“Se da un lato è vero che questo possa essere l’unico compromesso possibile, dall’altro lato è altresì vero che l’intreccio tra l’impatto dei dazi USA al 15% e la svalutazione del dollaro, che oggi vale altri 13 punti percentuali, non sarà sostenibile per diversi settori – continua Mascarino – e a tutela delle imprese chiediamo alla UE un intervento della mano pubblica: così come gli Stati Uniti hanno fatto con i dazi, che di fatto è un intervento pubblico per proteggere la loro industria, anche noi chiediamo urgenti interventi strutturali per rafforzare la nostra capacità competitiva riducendo i dazi interni alla UE: snellire il carico burocratico sulle imprese, riformare i mercati dell’energia per garantire una riduzione dei prezzi, facilitare l’accesso al credito. In tal senso, proseguire con maggior decisione sulla strada del taglio dei tassi di interesse nell’area euro potrebbe aiutare la crescita economica”. 

“In questo scenario di forte incertezza auspichiamo che le trattative fra la Commissione UE e gli USA proseguano e che nel tempo si possa arrivare progressivamente a definire un’area di libero scambio euroatlantica a dazi zero. Sarebbe la risposta più logica da adottare sia per le nostre economie fortemente interconnesse, che nei confronti delle altre economie globali che potrebbero approfittare di un Occidente debole e impegnato in una guerra commerciale”, riprende Mascarino.

“L’industria alimentare italiana è fortemente orientata all’export: gli USA sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono (nel 2024) 7,7 miliardi di fatturato, pari al 14% del totale delle nostre esportazioni. Prima degli Stati Uniti abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi. Dunque – conclude Mascarino – gli USA restano un mercato davvero molto importante, e resta prioritario favorire la presenza delle nostre imprese sostenendone la competitività”. 

Sulla proposta di dazi al 30% su tutti i prodotti europei in entrata negli Stati Uniti da parte del Presidente Trump, il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, ha dichiarato: “Ogni dazio fa male al commercio e avremmo preferito un’area di libero scambio euroatlantica, a dazi zero: l’imposizione di un dazio al 30% supera ogni soglia di tollerabilità per le imprese, aumentando il rischio di un calo significativo delle esportazioni, anche alla luce dell’attuale svalutazione del dollaro”.

“Il combinato disposto dell’impatto dei dazi USA e della svalutazione del dollaro non sarà sostenibile per diversi settori – continua Mascarino – e a tutela delle imprese chiediamo alla UE un intervento della mano pubblica: così come gli Stati Uniti hanno fatto con i dazi, che di fatto è un intervento pubblico per proteggere la loro industria, anche noi lo chiediamo. Non pensiamo però a sussidi, ma ad urgenti interventi strutturali per rafforzare la nostra capacità competitiva riducendo i dazi interni alla UE: snellire il carico burocratico sulle imprese, riformare i mercati dell’energia per garantire una riduzione dei prezzi, facilitare l’accesso al credito. In tal senso, proseguire con maggior decisione sulla strada del taglio dei tassi di interesse nell’area euro potrebbe aiutare la crescita economica.” 

“Resta comprensibile – prosegue il Presidente Mascarino – che la UE voglia dare una risposta politica ai dazi americani, per dignità istituzionale e affinché non sia mortificata da questa decisione dell’amministrazione Trump: ma questa risposta della UE riteniamo debba essere prudente e ancora aperta al negoziato, visto il rischio di un ulteriore 30% in caso di ritorsione. Il Presidente Meloni sta conducendo una complessa azione in Europa per contenere tutti coloro che vorrebbero una risposta muscolare alla minaccia dei dazi USA, una strategia che rischierebbe di essere autolesionista per l’Europa e in particolare per l’Italia.” 

“L’industria alimentare italiana è fortemente orientata all’export: gli USA sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono (nel 2024) 7,7 miliardi di fatturato, pari al 14% del totale delle nostre esportazioni. Prima degli Stati Uniti abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi. Dunque – conclude Mascarino – gli USA restano un mercato davvero molto importante, e resta prioritario favorire la presenza delle nostre imprese sostenendone la competitività”.

DAZI USA AL 10%, PAOLO MASCARINO PRESIDENTE DI FEDERALIMENTARE: “UN COMPROMESSO SOSTENIBILE PUR DI GARANTIRE L’ACCESSO AL MERCATO AMERICANO ALLE NOSTRE IMPRESE”

Sulla proposta di dazi al 10% su tutti i prodotti europei in entrata negli Stati Uniti da parte del Presidente Trump, il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, ha dichiarato: “L’industria italiana è fortemente orientata all’export (circa 50% della produzione industriale viene esportata, e gli USA valgono il 10% del nostro export): questo è vero anche per il settore alimentare: gli USA sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono (nel 2024) 7,7 miliardi di fatturato, pari al 14% del totale del nostro export. Prima degli Stati Uniti, abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi. Dunque, gli USA restano un mercato per noi davvero molto importante, e resta prioritario garantirne l’accesso alle nostre imprese, limitando le barriere all’ingresso”. 

“Resta comprensibile – prosegue il Presidente Mascarino – che la UE voglia dare una risposta politica ai dazi americani, per dignità istituzionale e affinché non sia mortificata da questa decisione dell’amministrazione Trump: ma questa risposta della UE riteniamo debba essere prudente ed equilibrata, aperta al negoziato, e senza rispondere dazio contro dazio”. 

“Nel negoziato tra UE e Stati Uniti, auspichiamo il rilancio dell’idea di un’area di libero scambio euroatlantica, a dazi zero, che dia alle nostre imprese accesso al più grande e moderno mercato mondiale”. 

“Premesso che ogni dazio fa male al commercio e in definitiva alle economie dei paesi coinvolti, se questo scenario non sarà percorribile – conclude il Presidente di Federalimentare – riteniamo che un dazio al 10% sia comunque un compromesso sostenibile, in quanto potrebbe essere assorbito, in tutto o in parte, da produttori e importatori, ovvero essere ribaltato, in tutto o in parte, sui consumatori americani limitando i rischi di riduzione della domanda rispetto alla minaccia di dazi al 20%”.

Ecotrophelia Italia 2025: I “Trebbini” trionfano all’Insegna della sostenibilità e dell’innovazione alimentare

Roma, 24 giugno 2025 – Si è conclusa con successo la 15ª edizione di Ecotrophelia Italia, la competizione nazionale dedicata all’eco-innovazione nel settore alimentare, organizzata da Federalimentare. L’evento, tenutosi oggi presso il centro congressi di Eataly a Roma, ha visto giovani talenti da Università e ITS di tutta Italia sfidarsi con prodotti innovativi e sostenibili, capaci di coniugare gusto, innovazione e consapevolezza ambientale. 

La giornata è stata un’occasione per promuovere l’economia circolare e presentare idee e soluzioni originali per il mondo industriale. Le cinque squadre finaliste – l’ITS di Teramo con “Biscotart”, l’Università Cattolica del Sacro Cuore con “Brewffles”, l’ITS E.A.T. Eccellenza Agroalimentare Toscana con “Pasta Chips”, l’Università di Parma con i “Trebbini”, e l’Università Campus Bio-medico di Roma UCBM con “Vegetalium” – hanno dimostrato grande creatività e profonda attenzione all’impatto ambientale dei processi produttivi. 

La giuria di esperti, composta da rappresentanti delle Istituzioni, del mondo della nutrizione, della ricerca in campo energia e ambiente e dell’impresa, ha valutato i prototipi in base a criteri di innovazione ed eco-sostenibilità. Dopo un’attenta analisi, il primo premio è stato assegnato ai “Trebbini”, realizzati dal team dell’Università di Parma. 

Il team vincitore si è aggiudicato un premio di € 2.000 e avrà l’onore di rappresentare l’Italia alla finale internazionale ECOTROPHELIA EUROPE 2025, che si terrà a Colonia il 7 e 8 ottobre prossimi, nell’ambito della manifestazione fieristica Anuga. Il culmine della competizione europea, inclusa la cerimonia di premiazione, avrà luogo sul palco della Trend Zone di Anuga. 

Ecotrophelia Italia, che anche quest’anno ha beneficiato del patrocinio scientifico di ENEA – Agenzia Nazionale per le nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile, e del patrocinio di Food Edu – Fondazione Italiana Educazione alimentare, CLAN – Cluster Agrifood Nazionale e OTAN – Ordine Nazionale Tecnologi Alimentari, si conferma un’iniziativa fondamentale per coltivare i talenti del futuro e contribuire a un sistema alimentare più sostenibile. L’impegno dei giovani partecipanti è un elemento cruciale per affrontare le sfide globali legate alla produzione e al consumo alimentare. 

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Dichiarazione di Guglielmo Gennaro Auricchio, Presidente Giovani Imprenditori di Federalimentare e Presidente di Giuria:

“Investire nell’eco-innovazione significa investire in un modello di sviluppo che coniuga progresso, responsabilità e visione. Sono estremamente orgoglioso di quanto abbiamo visto oggi a Ecotrophelia Italia 2025. Questa competizione dimostra che la nuova generazione di professionisti del settore alimentare è profondamente consapevole dell’importanza della sostenibilità e ha una visione lungimirante del futuro della nostra industria”. 

“Il prodotto vincitore, i ‘Trebbini’ e anche gli altri 4 finalisti sono un chiaro esempio di come sia possibile unire gusto eccellente, innovazione e un’attenzione scrupolosa all’impatto ambientale – prosegue il Presidente dei Giovani Imprenditori, Auricchio -. 

È un onore per Federalimentare sostenere questi giovani talenti e offrire loro la possibilità di esprimere tutto il loro potenziale. Siamo fiduciosi che il team dell’Università di Parma rappresenterà l’Italia al meglio nella finale europea di Colonia, portando avanti i valori di qualità e sostenibilità che caratterizzano il nostro Made in Italy. Ecotrophelia è un tassello fondamentale in questo percorso, poiché stimola la ricerca e lo sviluppo di soluzioni che renderanno la nostra industria alimentare sempre più sostenibile, circolare ed efficiente”. 

LA MODA DELLE DIETE IPERPROTEICHE

Prof. LUCA PIRETTA – Gastroenterologo e Nutrizionista Università Campus Biomedico di Roma

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un crescente boom dei prodotti iperproteici e delle diete iperproteiche e frequentemente questi due elementi risultano intrecciati in modo indissolubile in quanto una dieta iperproteica viene spesso integrata da prodotti industriali molto ricchi in proteine. Il crescente interesse per le proteine influenza gli acquisti di milioni di consumatori in tutto il mondo coinvolgendo non solo gli sportivi, ma anche coloro che apparentemente vogliono migliorare il proprio benessere e la propria salute. Secondo i dati dell’ultimo Osservatorio Immagino GS1 Italy, riferiti all’anno che va da giugno 2022 a giugno 2023, il giro d’affari dei prodotti proteici è aumentato del 20%, con una crescita sia della domanda (+8%) sia dell’offerta (+11%). 

Quello che dobbiamo chiederci è se la dieta iperproteica rappresenta una buona scelta nutrizionale e quali potrebbero essere i rischi di una alimentazione squilibrata in questa direzione perché è superfluo dire che una corretta alimentazione parte dall’educazione, e che fare buona educazione per un periodo limitato di tempo per poi tornare ad essere “maleducati” il resto dell’anno è un controsenso. Ma perché le diete iperproteiche hanno riscosso tanto successo?

Negli ultimi anni ha iniziato a diffondersi una falsa, o comunque sopravvalutata, opinione sulla nocività di grassi e zuccheri nella dieta. Siccome i macronutrienti presenti nella dieta sono tre zuccheri, grassi e proteine, escludendo i primi due, rimangono le proteine. Di conseguenza questa convinzione di dover ridurre la quantità di zuccheri e grassi nella dieta ha portato inevitabilmente ad aumentare le proteine nell’alimentazione.

Inoltre, tutte le diete dimagranti sono diete iperproteiche: un po’ perché sono meno caloriche, un po’ perché l’organismo necessita di un dispendio energetico maggiore per metabolizzarle; quindi, si bruciano più calorie per metabolizzare le proteine che per metabolizzare grassi e zuccheri. Ma un conto è fare una dieta leggermente iperproteica per dimagrire, un altro è fare una dieta fortemente iperproteica senza che ce ne sia la reale necessità. Perché negli ultimi anni ha iniziato a diffondersi l’idea che la dieta iperproteica sia salutare, cosa che invece non è vera: tutti i corretti regimi alimentari necessitano di una giusta proporzione tra zuccheri, grassi e proteine. Quindi la demonizzazione di zuccheri e grassi è un concetto sbagliato, perché ha confuso la mera presenza di zuccheri e grassi di una sana alimentazione con una dieta dove questi sono presenti in eccesso.

Ma perché la dieta iperproteica aiuta a dimagrire? Il primo motivo è che l’organismo non riesce ad essere molto elastico nella gestione delle proteine come fonte di energia in quanto non riesce ad immagazzinarle, e pertanto si vede costretto a metabolizzarle indirizzandole verso la sintesi di altre proteine, di glucosio o di urea, e per fare questo produce un notevole dispendio energetico. Il secondo motivo è che un elevato apporto di proteine serve a mantenere la massa muscolare grazie allo stimolo della sintesi proteica e questo determina un maggiore metabolismo basale con il conseguente consumo di calorie. Questo stimolo alla sintesi di altre proteine è particolarmente valido in seguito all’assunzione di proteine di origine animale. Il terzo motivo si basa sull’evidenza portata da alcuni studi secondo i quali l’aumento di proteine nella dieta aumenta l’utilizzo dei grassi come fonte energetica (1). L’assunzione di una maggiore quota proteica determina maggiori livelli di termogenesi indotta dalla dieta rispetto all’apporto proteico più basso, specie nei soggetti normopeso rispetto a quelli in sovrappeso o obesi. Il più elevato contenuto proteico dei pasti si riflette anche sull’ossidazione postprandiale dei substrati energetici, in particolare con una minore ossidazione dei carboidrati e una maggiore ossidazione dei grassi, suggerendo una selettività del metabolismo a favore dell’utilizzo dei grassi come fonte energetica. Infine, alcuni aminoacidi (i mattoni che compongono le proteine) hanno un effetto anoressizzante andando a stimolare il centro della sazietà. Questo vale soprattutto per le sieroproteine del latte e derivati.

Le diete iperproteiche, oltre a favorire la perdita di peso, può essere d’aiuto in alcune condizioni specifiche. È utile, per esempio, a chi ha la necessità di aumentare la massa muscolare: adolescenti, sportivi, anziani in sarcopenia (perdita di massa muscolare), convalescenti che devono recuperare la massa muscolare persa in seguito a un allettamento o ad un lungo periodo di riposo forzato. Queste persone possono beneficiare di un regime iperproteico perché devono costruire, oltre alla massa muscolare, anche massa magra e massa ossea, ma devono seguire tale regime con estrema attenzione e soprattutto per un periodo limitato di tempo. Se si continua ad aumentare l’apporto proteico, la massa muscolare non aumenta all’infinito: a un certo punto si ferma. Quindi l’eccesso di proteine non serve più a costruire tessuti, ma viene utilizzato solo a scopo energetico, risvolto non certo positivo. Tutte le diete iperproteiche devono essere perciò valutate nella loro reale necessità, calibrate secondo il bisogno e finalizzate a uno scopo ben preciso con una scadenza temporale. 

Queste precauzioni sono dovute al fatto che ci possono essere dei rischi nell’assunzione di una quantità eccessiva di proteine. Lo smaltimento metabolico delle proteine implica l’eliminazione di una molecola tossica per l’organismo: l’azoto, che viene escreto sotto forma di ammoniaca, richiedendo un lavoro non indifferente al fegato e ai reni. Un altro rischio è rappresentato dall’inevitabile squilibrio nutrizionale come conseguenza della riduzione di carboidrati e lipidi che andrà a penalizzare pertanto l’apporto di frutta e verdura dato che non contengono proteine. Bombardati dalla disinformazione, siamo ormai convinti che zucchero e grasso facciano male, ma non è così: fanno male se consumati in quantità esagerate. Quindi se noi li riduciamo al di sotto dei nostri fabbisogni, la carenza può essere nociva tanto quanto l’eccesso.

I soggetti più a rischio di subire conseguenze negative di una dieta iperproteica sono quelli che soffrono di insufficienza epatica, insufficienza renale e gli anziani. Potrebbe sembrare un po’ un paradosso, perché gli anziani sono anche tra quelli che potrebbero avere più bisogno di una dieta iperproteica, ma devono prestare molta attenzione, perché fegato e reni non hanno più gli standard di efficienza come in gioventù.

Inoltre, gli anziani fanno spesso uso di farmaci e in questo caso le interazioni proteiche con alcuni prodotti farmacologici – come quelli per il Parkinson – possono peggiorare la situazione. Ultimo punto non irrilevante, è quello di ricordare che in ogni caso la dieta iperproteica può essere fatta con alimenti naturali, che contengono una quantità di proteine più o meno importante, senza dover necessariamente ricorrere agli integratori iperproteici presenti in commercio.

In conclusione, possiamo affermare che la dieta iperproteica rappresenta un regime squilibrato, che può essere utilizzato per periodi limitati di tempo per ottenere benefici specifici in alcune categorie di persone (obesi, sportivi, adolescenti). Non deve mai trattarsi di una dieta fortemente iperproteica perché altrimenti non solo si obbliga l’organismo a lavorare in eccesso per smaltire alcune molecole tossiche come l’azoto, ma soprattutto si rischia  una carenza nutrizionale di altri macronutrienti come zuccheri e grassi.

Bibliografia

  1. Effects of Varying Protein Amounts and Types on Diet Induced Thermogenesis: A Systematic Review and Meta-Analysis. Guarneiri LL, Adams CG, Garcia-Jackson B, Koecher K, Wilcox ML, Maki KC. Adv Nutr. 2024.

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