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LA DIETA ANTINFIAMMATORIA

Prof. LUCA PIRETTA – Gastroenterologo e Nutrizionista Università Campus Biomedico di Roma

Contrariamente a quanto tendiamo a pensare, l’infiammazione è un fenomeno naturale e utile alla difesa dell’organismo in risposta ad agenti nocivi di diversa natura (chimici, fisici, termici, infettivi) che viene messo in atto per creare un ambiente ostile all’agente nocivo e per innescare meccanismi riparativi e rigenerativi dei tessuti od organi aggrediti da infezioni o traumi.  Quando però la risposta infiammatoria è eccessiva oppure viene innescata da agenti non aggressivi ma appartenenti al proprio organismo, come accade con le malattie autoimmuni, oppure quando l’infiammazione dura troppo a lungo o diventa addirittura cronica, allora questa risposta naturale, in origine protettiva, si trasforma essa stessa nel problema responsabile di danno o sintomi. 

Dobbiamo sapere che l’infiammazione (mantenuta nel tempo) è alla base di gran parte delle patologie dei paesi occidentali (obesità, malattie cardiovascolari, metaboliche e tumorali) e che l’alimentazione e lo stile di vita possono modulare in meglio o in peggio lo stato infiammatorio.

Anche gli alimenti, dunque, possono essere in grado di dare origine a risposte infiammatorie, abitualmente transitorie, legate non solo alla loro composizione chimica ma anche alla loro capacità di interazione con il microbiota intestinale e con il sistema immunitario della barriera intestinale.

Ogni pasto può risvegliare una risposta infiammatoria da parte dell’organismo ma che torna immediatamente al livello di base nelle ore successive. Se però il pasto è sempre troppo abbondante o troppo ricco in grassi (soprattutto saturi) o riguarda soggetti obesi allora il ritorno al livello basale non si verifica più e si va instaurando, nel tempo, una condizione di infiammazione cronica pericolosa. L’eccesso di grassi saturi e in minor misura di zuccheri semplici facilita lo sviluppo di uno stato infiammatorio sia attraverso uno sviluppo di un particolare microbiota e di una aumentata permeabilità intestinale e vascolare che attraverso un aumento dello stress ossidativo. Va sottolineato il concetto di “eccesso” di grassi saturi e zuccheri perché questi macronutrienti, di per sé, non sono affatto dannosi, anzi devono far parte di una sana alimentazione ed è soltanto il loro eccesso (oltre i parametri consigliati dai LARN e dalle linee guida per una sana alimentazione) che possono essere dannosi.

Esiste ormai una corposa letteratura scientifica che supporta l’ipotesi che i fattori dietetici possano svolgere un ruolo nell’infiammazione cronica sistemica di basso grado. Infatti, evidenze provenienti da studi clinici randomizzati e controllati hanno dimostrato gli effetti sostanziali di molti alimenti sui biomarcatori dell’infiammazione e, in particolare, è stato osservato come, in seguito all’adozione di diete a base di alimenti di origine vegetale (inclusa la dieta mediterranea), si assista ad una riduzione degli indicatori infiammatori. Nello specifico, i benefici sono stati riportati in seguito ad un maggiore consumo di cereali integrali, frutta e verdura, legumi, frutta secca e olio d’oliva. I markers infiammatori si abbassano, però, non solo in seguito all’assunzione di alimenti di origine vegetale, ma anche di quelli di origine animale come i latticini o i formaggi fermentati mentre la carne rossa e le uova hanno dimostrato di avere effetti neutri. 

La diversa composizione degli alimenti può spiegare i meccanismi alla base della relazione tra fattori dietetici e sistema immunitario, in particolare in relazione alla presenza di alcuni specifici macronutrienti e fitochimici non nutritivi (polifenoli), vitamine, sali minerali e antiossidanti.

Differenze sostanziali all’interno di ciascun gruppo di macronutrienti possono spiegare i risultati contrastanti ottenuti riguardo agli alimenti ricchi di grassi saturi e carboidrati, sottolineando il ruolo di specifici sottotipi

di molecole (ad esempio, acidi grassi a catena corta o fibre rispetto ad acidi grassi a catena lunga o zuccheri aggiunti liberi) nella valutazione della relazione tra dieta e infiammazione.

Si ipotizza che i polifenoli e gli oligopeptidi alimentari esercitino diverse funzioni, tra cui la regolazione della

risposta infiammatoria e gli effetti sul sistema immunitario. Pur rimanendo l’obesità in sé una condizione determinante uno stato infiammatorio cronico di basso grado, recenti evidenze suggeriscono che i fattori dietetici possono influenzare il sistema immunitario indipendentemente dall’infiammazione correlata all’aumento del peso.

Per combattere lo stato infiammatorio cronico la dieta antinfiammatoria risulta essere il primo passo. Dobbiamo scegliere quegli alimenti che non solo siano in grado di stimolare meno la risposta infiammatoria ma anche che riescano a ridurre l’impatto di altri alimenti che invece tendono ad innalzare i markers infiammatori.

Alcuni alimenti, soprattutto quelli ricchi in antiossidanti, vitamine, acidi grassi omega 3 e fibre solubili da una parte contribuiscono a ridurre lo stress ossidativo cellulare e dall’altra stimolano la selezione di un microbiota fermentativo in grado di produrre alcune sostanze come gli acidi grassi a catena corta (butirrato in particolare) che svolgono u ruolo protettivo sulla barriera intestinale riducendo la permeabilità e l’innesco delle reazioni infiammatorie.

Tra i meccanismi di difesa messi in atto dalla barriera intestinale esiste anche quello che si relaziona il cervello; infatti, migliorare la permeabilità della barriera intestinale aiuta anche a proteggere la barriera emato-encefalica, prevenendo l’attacco delle cellule cerebrali da parte di eventuali sostanze tossiche presenti negli alimenti ingeriti. 

Gli alimenti fermentati yogurt e kefir sono capaci di inibire l’infiammazione più degli alimenti ricchi in fibra, che già abbassano le citochine infiammatorie. L’aggiunta di frutta ricca di antociani o di altri antiossidanti come i polifenoli e le catechine aiuta a neutralizzare anche la stimolazione infiammatoria causata da altri alimenti (quelli ricchi in grassi saturi, per esempio) assunti contemporaneamente. Ecco che diventa importante anche conoscere quali siano gli abbinamenti corretti in modo da poter neutralizzare alcuni effetti pro-infiammatori di alcuni alimenti senza dover mettere in atto diete estremamente restrittive.

Anche le tipologie di cottura sono importanti nella gestione di una dieta antinfiammatoria. Infatti, la cottura ad alte temperatura come, per esempio, quella alla griglia può generare reazioni chimiche pericolose pro-infiammatorie, così come la frittura che può trasformare gli acidi grassi polinsaturi di oli e grassi  in fonte di radicali liberi pericolosi.

Un esempio di dieta antinfiammatoria può essere rappresentato da una colazione che prevede i mirtilli, oppure una spremuta di arancia e due fette di pane tostato con yogurt, kefir o ricotta. In questo modo introduciamo antociani, vitamina C e carotenoidi come antiossidanti. Le fette di pane tostato (meglio se integrali) aggiungono fibre e i betaglucani. 

Per il pranzo sarebbe consigliabile un piatto di pasta integrale condita con pomodoro e olio extravergine a cui potremmo aggiungere del tonno e per contorno una porzione di verdure fresche di stagione come il radicchio e legumi.

La carenza di cereali integrali secondo un importante studio pubblicato su The Lancet e condotto in ben 195 paesi per 20 anni risulta essere una delle più importanti abitudini alimentari negative correlata con la comparsa di molte patologie e quindi è molto importante promuoverne il consumo. L’olio EVO è ricchissimo di polifenoli, vitamina E e grassi buoni monoinsaturi e polinsaturi (soprattutto in autunno e inverno per la recente spremitura). Il radicchio è ricco di antociani e fibre mentre il tonno apporta molti acidi grassi monoinsaturi oltre a zinco e selenio (utile per la sintesi del glutatione). I fagioli apportano proteine fibre e sali minerali importanti come ferro e magnesio.

Per cena può essere indicato un secondo piatto a base di pesce, oppure di carni bianche o rosse (con frequenza bisettimanale) con un contorno di carciofi conditi con olio extra vergine di oliva, a cui si può aggiungere una ratatouille fatta con melanzane, peperoni e pomodori e due fette di pane integrale. I carciofi grazie alla silimarina e alla cinarina aiutano come antiossidanti e facilitano lo smaltimento delle sostanze infiammatorie introdotte con gli alimenti. Il pesce è ricco acidi grassi omega 3. Questi grassi polinsaturi sono coinvolti in vari meccanismi, tra cui il più studiato è la riduzione della sintesi di prostaglandine e leucotrieni, mediatori dell’infiammazione. Per sortire un effetto antinfiammatorio, è necessario, oltre ad introdurne  una quantità adeguata, anche mantenere il rapporto corretto con i grassi omega 6  (il rapporto ottimale omega 3/omega 6 deve essere 4-5/1). 

Bisogna prestare anche molta attenzione al sale. Alcuni studi internazionali di laboratorio hanno dimostrato le potenzialità del sodio, anche in modeste quantità, di infiammare i linfociti T helper 17, ovvero particolari cellule presenti nel sangue dotate di una capacità altamente infiammatoria in contesti predisponenti. Un altro valido motivo, dunque, per limitare l’apporto di sale (sostituendolo con le spezie e in particolare il peperoncino) e di quei cibi che ne sono naturalmente ricchi.

Basta fare queste scelte alimentari per tenere sotto controllo l’infiammazione?

Certamente no. Programmare una dieta antinfiammatoria avrà successo solo se questa viene  inserita in un contesto di stile di vita coretto come può essere quello “mediterraneo” che riguarda non solo la dieta basata 

su tutti quegli alimenti antinfiammatori di cui abbiamo parlato fino ad ora ma anche altri aspetti come l’attività fisica, la frugalità, la convivialità, il riposo e la conoscenza del valore nutrizionale, sociale e culturale degli alimenti.

UE-MERCOSUR: L’appello del Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino: “Subito sicurezza contro l’incertezza USA”

Federalimentare chiede all’UE di accelerare l’iter di ratifica dell’Accordo di Partenariato UE-Mercosur

Roma, 7 Novembre 2025 – “L’attualità ci impone di agire con prontezza. Pochi giorni fa, l’udienza sulla legittimità di dazi, presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, non ha offerto alcuna garanzia immediata. Al contrario, ha aperto un prolungato orizzonte di rischio sistemico per il nostro export”, evidenzia il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino. 

“L’attesa per la sentenza definitiva del massimo tribunale americano – che potrebbe impiegare molto tempo per raggiungere il verdetto – equivale a una paralisi insostenibile per il nostro settore. Per l’Italia, l’Accordo UE Mercosur rappresenta, in questo scenario, un imperativo strategico. È l’unica manovra disponibile a breve termine per costruire un canale vitale di diversificazione del rischio, con cui delineare un futuro di stabilità e crescita. 

L’esperienza dell’accordo CETA con il Canada ne è la prova lampante. L’eliminazione dei dazi ha portato il nostro export a registrare una crescita superiore al 96% a regime. Se con il Mercosur replicassimo questo successo, potremmo aumentare l’export alimentare di 400 milioni, passando dagli oltre 500 attuali a 800 milioni di euro.  I numeri sono decisivi, ma l’accordo con Mercosur non significa solo espandere il mercato. Significa mettere in sicurezza i prodotti italiani verso 300 milioni di consumatori in un’area in forte crescita. L’intesa garantisce la protezione di 57 nostre DOP e IGP e ci assicura un accesso preferenziale a materie prime fondamentali, di cui il nostro Paese non è autosufficiente. Solide clausole di salvaguardia, su richiesta del Governo Meloni a tutela del settore agroalimentare, scatterebbero in qualsiasi paese dell’UE qualora prodotti del Mercosur venissero venduti sotto costo. Inoltre, i prodotti importati devono essere pienamente conformi alle regole fitosanitarie europee.

Per creare una nuova vitale arteria commerciale, alla luce di queste considerazioni – conclude il Presidente Paolo Mascarino – chiediamo al Governo e ai ministri Tajani, Lollobrigida e Urso di agire con la massima celerità. È essenziale finalizzare l’accordo nel minor tempo possibile, nel primario interesse della difesa e della stabilità economica dell’Italia e dell’Europa”.

ECOMONDO: Le sfide per il futuro della filiera nel convegno di Confagricoltura, ENEA, Cl.uster A.grifood N.azionale e Federalimentare

Rimini, 5 novembre 2025 – La sfida di allineare sostenibilità e competitività del settore agroalimentare è stata al centro dei lavori promossi a Ecomondo 2025 da ConfagricolturaFederalimentareCl.uster A.grifood N.azionale ed ENEA. 

Il convegno sul “Sistema agroalimentare sostenibile e nuova visione europea: crescita economica, attrattività e decarbonizzazione” ha riunito i principali attori della filiera, in un confronto moderato da Daniele Rossi (Vicepresidente CL.A.N) e Fabio Iraldo (Prorettore della Scuola Superiore Sant’Anna), evidenziando la necessità di un quadro normativo europeo che sostenga gli sforzi compiuti dalle imprese italiane. I vertici di produzione, industria, distribuzione e finanza hanno poi lanciato un messaggio chiaro dalla tavola rotonda dedicata alla sostenibilità: il percorso “green” è fondamentale.

“Sostenibilità e competitività devono procedere insieme – ha evidenziato Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura -. Non si può chiedere agli agricoltori di essere più sostenibili senza garantire loro condizioni economiche e normative adeguate. La sostenibilità non deve trasformarsi in un costo, ma diventare un fattore di crescita per l’intera filiera. Serve una nuova visione europea che riconosca il valore strategico dell’agricoltura e della filiera agroalimentare, unendo tutti gli attori ‘dal campo alla tavola’”.

Gabriele Cardia, Vice Direttore di Federalimentare, ha messo in luce i rischi legati ai costi energetici per la tenuta del sistema produttivo: “Le nostre imprese stanno compiendo passi concreti per la sostenibilità dei processi produttivi, investendo in eco-progettazione degli imballaggi e in impianti fotovoltaici per l’autoconsumo. Tuttavia, paghiamo l’energia fino al doppio dei concorrenti internazionali. Per competere, serve una vera neutralità tecnologica che ci consenta di usare tutte le possibili fonti energetiche alternative, inclusi nucleare e mini-nucleare, biocarburanti e idrogeno. Senza un piano per ridurre i costi, si rischia di far uscire dal Paese investimenti e aziende”.

Massimo Iannetta, Resp. Divisione Sistemi Agroalimentari Sostenibili ENEA nonché membro del Consiglio di Presidenza del Cl.uster A.grifood N.azionale, ha auspicato che “le sfide che attendono il settore agroalimentare si traducano in altrettante opportunità visto che i principali dati macroeconomici restituiscono la fotografia di una filiera in crescita e sempre più vocata all’export. Risulta quindi essenziale, anche tramite iniziative come la Rete italiana della ricerca, dell’innovazione e del trasferimento tecnologico, valorizzare il dialogo fra agroindustria e ricerca a facendo leva anche sul ricambio generazionale e rafforzando il Patto per le Competenze nel settore, sostenendo il reskilling e upskilling della forza lavoro anche grazie ai progetti europei come AgriFoodSkills finanziato dal Programma Erasmus Plus”.

Il dialogo con Raffaele Rinaldi (Direttore centrale ABI) e Carlo Alberto Buttarelli (Presidente Federdistribuzione) ha allargato il confronto all’intera catena del valore e al ruolo cruciale della finanza. L’appello unanime della filiera è quello di ottenere regole comuni eque. L’Europa può restare competitiva e garantire sicurezza alimentare solo se la sostenibilità viene promossa come vantaggio strategico, non come un onere, garantendo parità di condizioni normative e un sostegno concreto alla transizione energetica.

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Ai lavori ad Ecomondo hanno partecipato anche Ricard Ramon (Capo Unità Sostenibilità – DG AGRI), Rosalinda Scalia (Vice-Capo Unità Bioeconomia & sistemi alimentari – DG RTD), Giulia Listorti (Team leader JRC – Joint Research Centre), Michele Costabile (Direttore LUISS-X.ITE), Mauro Fontana (Presidente Mutti s.p.a.) e Giovanni de Marco (Presidente OP Patto Pomodoro Piemonte).

ALIMENTAZIONE E SPORT

Prof. LUCA PIRETTA – Gastroenterologo e Nutrizionista Università Campus Biomedico di Roma

L’attività sportiva richiede una corretta preparazione fisica e mentale per poter essere svolta nel modo più efficiente e sicuro possibile al fine di offrire non solo adeguate prestazioni atletiche ma anche per garantire lo stato di salute del soggetto. Non si può però prescindere da un corretto stato nutrizionale, frutto non solo di adeguate razioni alimentari mirate alle singole attività sportive, ma più genericamente legate ad un corretto stile di vita e alimentare quotidiano. Un fisico malnutrito non può garantire una risposta dell’organismo adeguata alle esigenze di stress fisico e mentale che si verificano durante un’attività sportiva che sia questa amatoriale o agonistica. In quest’ottica l’apparato gastrointestinale gioca un ruolo fondamentale.

L’apparato gastrointestinale sebbene possa sembrare giocare soltanto un ruolo secondario in relazione alla prestazione sportiva risulta invece determinante nel consentire un regolare svolgimento delle attività fisiche e nel condizionare i livelli di performance degli atleti. L’intestino infatti costituisce il tramite tra i nutrienti, fattori determinanti per una ottimale attività sportiva, e i tessuti più direttamente coinvolti nello svolgimento del lavoro fisico. Una inadeguata capacità di digerire, assorbire e metabolizzare i nutrienti si traduce inevitabilmente in una prestazione sportiva deficitaria per l’impossibilità di fornire il carburante necessario al momento opportuno. Non solo, nelle fasi di allenamento l’alterata funzione gastrointestinale potrebbe inficiare anche una corretta alimentazione e rendere difficile, se non impossibile, strutturare muscoli e ossa in modo consono alle necessità sportive. Inoltre, eventuali patologie digestive possono creare problematiche sintomatologiche in corso di gara o di allenamento. L’attività sportiva, in particolar modo se intensa o prolungata, comporta una ridistribuzione dei flussi ematici, una diversa secrezione ormonale e una stimolazione nervosa adattata allo sforzo che può condizionare la funzionalità dell’apparato gastrointestinale sia in condizioni fisiologiche che, a maggior ragione, in quelle patologiche. A questo scopo è importante una corretta funzionalità dello svuotamento gastrico. Lo svuotamento gastrico rappresenta un momento fondamentale della digestione. L’arrivo del cibo nello stomaco prevede una fase di rilasciamento adattativo nella quale le pareti dello stomaco, e in particolare del fondo gastrico, si distendono lentamente per accogliere il bolo deglutito e convogliato attraverso l’esofago. La porzione antrale dello stomaco grazie a vigorose contrazioni progressive verso il piloro si incarica della triturazione dei cibi solidi in un continuo movimento di va e vieni tra antro e piloro. Il fondo dello stomaco invece si incarica dello svuotamento dei cibi liquidi. 

In seguito a tutte queste considerazioni come deve essere svolto un corretto regime alimentare per lo sportivo?

La dieta dello sportivo è un momento fondamentale per garantire la sua preparazione e le sue prestazioni. La dieta deve essere personalizzata e deve tenere conto delle esigenze individuali della persona prima ancora che dell’atleta. La dieta dello sportivo può variare in funzione della fase di preparazione (per esempio in corso di potenziamento muscolare la crescita della massa muscolare potrebbe richiedere un apporto iperproteico ma sempre bilanciato correlato anche al tipo di sport praticato) e della fase di gara (considerando il momento pre-gara e quello post-gara che devono essere adeguatamente integrati con carboidrati a medio e rapido rilascio). Fondamentale è il bilancio idrico ed elettrolitico, soprattutto nelle gare di lunga durata e intense che si svolgono in condizioni climatiche con temperature elevate.

Sia prima delle sessioni di allenamento che quelle di gara è opportuna una buona idratazione e l’assunzione di carboidrati a medio rilascio come le maltodestrine contenute nelle fette biscottate o nel pane tostato. Due o tre ore prima della gara o dell’allenamento potrebbe essere indicata la pasta come alimento di preparazione.

Possiamo valutare l’attività sportiva analizzando sia il dispendio energetico che la capacità di aumentare la massa muscolare che questa determina. L’alimentazione può incidere su entrambi questi due obiettivi.

L’attività aerobica prolungata per almeno un’ora è quella più indicata per bruciare i grassi di deposito visto che dopo la prima mezz’ora (nella quale si utilizzano gli zuccheri di deposito come il glucogeno) è proprio il grasso la principale fonte energetica. La massa muscolare invece aumenta soprattutto con esercizi di potenziamento. Per questo nelle prime fasi di preparazione atletica è necessario un regime calorico moderatamente iperproteico.

Ma l’alimentazione dello sportivo non deve basarsi esclusivamente su zuccheri e proteine. Anche i grassi hanno la loro importanza. Gli acidi grassi omega 3 sono molecole contenute in grassi animali come il pesce o in quelli vegetali come olio, noci e mandorle. Sono molecole antinfiammatorie e sono molto utili nel contrastare l’azione infiammatoria di alcuni radicali liberi. Sono anche utili nella protezione cardiovascolare proteggendo i vasi, migliorando le aritmie e abbassando i livelli di colesterolo e trigliceridi circolanti. Possono svolgere anche un ruolo protettivo sulle guaine mieliniche del sistema nervoso prevenendo l’azione neurodegenerativa di alcune patologie.

Anche il microbiota intestinale e la barriera intestinale giocano un ruolo importante nell’interazione tra alimentazione e attività sportiva.

Una considerevole mole di documentazione scientifica ha dimostrato come un microbiota in salute sia un fattore chiave nella prevenzione delle malattie e nel mantenimento dello stato di benessere in generale. Il microbiota interagisce con la barriera intestinale in modo molto intelligente. Stimola il sistema immunitario gastrointestinale (ricchissimo di cellule deputate alle difese dell’organismo come linfociti, macrofagi, cellule dendritiche, ecc.) mantenendolo in stato di piena efficienza e pronto a reagire ad aggressioni esterne. Inoltre, compete con i batteri patogeni impedendone l’insediamento e quindi diventa lui stesso il primo “antibiotico” del nostro corpo. Altrettanto importante risulta il ruolo della barriera intestinale. Quando viene meno la sua integrità, e di conseguenza aumenta la sua permeabilità, molte sostanze non idonee e antigenicamente pericolose, così come molti batteri, la possono attraversare dando origine ad una condizione di infiammazione cronica anche in altri organi a distanza. 

L’integrità di barriera risulta essere determinante anche per garantire una corretta risposta all’alimentazione. In caso di alterazione della barriera si produce una risposta infiammatoria locale con liberazione di citochine in grado di attivare le cellule dendritiche in modo patologico. Infatti, invece di stimolare una reazione di tolleranza la condizione di infiammazione dà origine a una risposta aggressiva che determina la comparsa di intolleranze alimentari e allergie. Una crescente quantità di studi pubblicati ha messo in relazione l’attività fisica con una possibile modifica della composizione del microbiota intestinale. L’esercizio fisico moderato è stato correlato con una maggiore salute dell’intestino grazie all’azione favorente lo sviluppo di alcune specie batteriche produttrici di butirrato, molecola essenziale al mantenimento dell’integrità di barriera, all’equilibrio della permeabilità intestinale e alla salute delle stesse cellule intestinali. Non solo, il miglioramento dell’ecosistema batterico nel suo insieme, espresso principalmente da un ottimale rapporto tra i più importanti phyla e soprattutto dalla biodiversità delle specie batteriche, sembra essere conseguenza di un regolare esercizio fisico. Questo miglioramento della composizione del microbiota sembra essere correlato anche al BMI dell’individuo.

Allo stesso tempo però, un esercizio fisico troppo intenso e soprattutto molto duraturo, rischia di compromettere seriamente l’equilibrio dell’asse microbiota-barriera intestinale. 

 Le manifestazioni cliniche che possono comparire durante lo sport variano dal 30 -70%  fino al 93% in condizioni estreme. Sono abitualmente transitorie, talvolta gravi con sanguinamenti intestinali importanti (erosioni , coliti ischemiche) che possono richiedere il ricovero. Sono correlate al vigore dell’esercizio fisico e inducono l’atleta a ridurre l’intensità dell’esercizio o a sospendere l’attività fisica. 

Lo stato di nutrizione condiziona molto la comparsa dei disturbi gastrointestinali. L’assunzione di fibre, grassi e fruttosio nel pasto pre-gara è stata associata ad una maggiore probabilità di sviluppare disturbi gastrointestinali così come si verifica anche in seguito all’assunzione di soluzioni di carboidrati molto concentrate e con elevata osmolarità. È importante monitorare la situazione sintomatologica già durante le fasi dell’allenamento in modo di conoscere le circostanze e l’intensità dell’attività fisica in grado di generare i sintomi. Il tratto gastrointestinale, infatti, sembra in grado di adattarsi allo sforzo fisico come i muscoli e l’apparato cardio-circolatorio-polmonare. Si deve «allenare». I soggetti che utilizzano cibo e fluidi durante le fasi dell’allenamento accusano meno frequentemente sintomi da distress gastrointestinale durante la gara, confermando la capacità di adattamento del tratto gastroenterico. Infine, bisognerebbe incoraggiare gli atleti ad utilizzare durante la gara gli alimenti e le bevande che preferiscono, in base alle singole individualità, pur rispettando i parametri consigliati dalla letteratura. 

Bibliografia

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Plastic e Sugar Tax, Federalimentare: “Rinvio ottima notizia per imprese e famiglie italiane”

Il Presidente Mascarino ringrazia il Governo: “Non ha ceduto a pressioni ideologiche

“Il nuovo rinvio di Plastic Tax e Sugar Tax è un’ottima notizia per le imprese italiane e in particolare per il settore agroalimentare”. Lo afferma in una nota stampa il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, secondo il quale “di questo rinvio si avvantaggeranno anche le famiglie italiane, che non dovranno far fronte all’aumento di prezzo di numerosi beni di consumo”. 

“È molto significativo – continua Mascarino – che il Governo abbia deciso di rinviare l’avvento di queste tasse fino alla fine del 2026, invece che di soli sei mesi com’era avvenuto in precedenza. Ciò dà respiro alle nostre imprese, che per tutto l’anno avevano dovuto lavorare con questa spada di Damocle sopra la testa. Auspichiamo che i prossimi dodici mesi diano modo di lavorare per giungere finalmente all’eliminazione di questi provvedimenti decisi parecchio tempo fa da un altro Governo. A questo proposito, la nostra federazione è pronta a collaborare con le istituzioni al fine di individuare soluzioni idonee a trovare le necessarie coperture finanziarie”. 

“Va sottolineato – aggiunge il Presidente di Federalimentare – che questa decisione non è opportuna solo per ragioni prettamente economiche, ma anche perché si tratta di due tasse profondamente ingiuste, la cui applicazione non migliorerebbe né la protezione dell’ambiente, né la salute dei consumatori. La Plastic Tax, infatti, non garantirebbe la sostituzione della plastica con materiali più sostenibili e non incentiverebbe attività di riciclaggio, di cui l’Italia è peraltro già leader in Europa. La Sugar Tax, invece, ridurrebbe il consumo di calorie pro capite in quantità irrisoria, dando un contributo del tutto irrilevante alla lotta contro l’obesità e le malattie non trasmissibili. La sua adozione darebbe inoltre credito all’antiscientifica teoria che la soluzione per ridurre tali patologie, sempre avversata dal nostro Paese a livello internazionale, consista nella demonizzazione di singoli nutrienti. L’evidenza scientifica mostra invece che è necessario un approccio onnicomprensivo volto a incoraggiare stili di vita corretti, che associno una dieta varia e bilanciata ad un adeguato livello di attività fisica”.

“Ringraziamo pertanto il Governo – conclude Mascarino – per non aver ceduto a pressioni di ordine ideologico e per aver compreso come gli interessi delle imprese coincidano con quelli del Paese”.

Obesità, Federalimentare: “Ottima legge, Italia all’avanguardia nel mondo su diete sane”

“Federalimentare saluta con soddisfazione l’approvazione parlamentare in via definitiva della Legge Pella, la prima al mondo che riconosce l’obesità come una patologia progressiva e recidivante”. Lo scrive in un comunicato stampa il Presidente della Federazione degli alimenti e delle bevande, Paolo Mascarino. “Si tratta di un’ottima legge”, prosegue Mascarino, “che oltre a consentire cure adeguate nell’ambito del servizio sanitario nazionale, mette a punto importanti iniziative volte alla prevenzione di questo fenomeno, che è in forte crescita in tutto il mondo”.

Secondo il Presidente di Federalimentare, “è molto importante che l’Italia si confermi all’avanguardia nella promozione di diete sane ed equilibrate attraverso l’insegnamento dei principi fondamentali della nutrizione sin dalla scuola primaria”. Un insegnamento che non può che ispirarsi alle tradizioni della Dieta Mediterranea”, sottolinea Mascarino, “grazie alla quale il nostro Paese ha saputo coniugare il gusto del mangiare con alti livelli di salute e di longevità”. 

“Come il nostro Governo ha saputo recentemente affermare anche in sede ONU nel corso del Meeting di alto livello sulle malattie non trasmissibili, non è demonizzando questo o quel cibo che si ottiene una dieta sana, ma bilanciando opportunamente porzioni e frequenze di consumo di ogni gruppo di alimenti”. “È inoltre molto apprezzabile – conclude Mascarino – che la legge preveda grandi campagne di informazione volte alla promozione di stili di vita corretti, con particolare riferimento alla necessità di aumentare l’attività fisico-motoria. Troppe volte, infatti, si lega il problemadell’obesità esclusivamente all’alimentazione, dimenticando che la sedentarietà gioca un ruolo enorme nello sviluppo di questa patologia. La decisione di rilanciare lo sport nelle scuole, e in generale nell’educazione dei minori, è pertanto una scelta molto condivisibile per favorire una crescita più salutare delle nuove generazioni”.

“Esprimo il sentito cordoglio di Federalimentare, a nome di tutta l’industria alimentare italiana, per la scomparsa di Giuseppe Adolfo De Cecco. L’Italia perde un capitano d’industria, un uomo che con la sua visione ha saputo valorizzare nel mondo uno dei nostri prodotti più identitari: la pasta. La sua professionalità e il suo impegno rimangono un punto di riferimento per l’industria agroalimentare. Alla famiglia e al Gruppo De Cecco le più sincere condoglianze”. È quanto dichiara Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare

ALIMENTAZIONE DEL BUON UMORE

Prof. LUCA PIRETTA – Gastroenterologo e Nutrizionista  Università Campus Biomedico di Roma

Il rapporto tra alimentazione e buon umore sembra essere correlato esclusivamente all’azione edonistica del cibo, vale a dire al piacere del gusto che proviamo nel consumare un alimento che ci sia particolarmente gradito oppure alla gioia della convivialità attribuibile alla compagnia e al significato sociale di un pasto. Questo è sicuramente vero, ma il rapporto tra umore e alimentazione è molto più profondo e riguarda anche aspetti biochimici ben definiti.

Una sostanza chiave nel favorire il buon umore è rappresentata dal triptofano. Questo aminoacido è il precursore della serotonina, il neurotrasmettitore del buon umore che insieme alla dopamina e all’ossicitocina stimola la componente affettiva positiva del nostro cervello dando anche origine a emozioni e sentimenti come l’amore e il senso di felicità. L’assunzione corretta e regolare del triptofano costituisce il primo passo essenziale per l’apporto di quei mattoni necessari alla sintesi di queste sostanze nel sistema nervoso centrale.

Ecco perché l’alimentazione può pertanto giocare un ruolo positivo sugli stati depressivi lievi. Siccome alcuni alimenti sono particolarmente ricchi in triptofano come formaggi, uova, nocciole, arachidi, legumi, carne e pesce la loro assunzione potrebbe essere d’aiuto proprio perché la serotonina sembra essere deficitaria nei soggetti depressi. Infatti, i farmaci attualmente maggiormente impiegati nel trattamento della depressione agiscono aumentando la durata d’azione della serotonina a livello cerebrale.

Nella tabella 1 possiamo osservare quali sono gli alimenti più ricchi di triptofano e che sarebbe pertanto importante inserire in una corretta dieta, basata sempre sul modello mediterraneo, per aiutare il nostro umore. Può essere utile sottolineare che un piatto di pasta al tonno può garantire la copertura del fabbisogno di triptofano giornaliero che è di 3,5mg/kg/die ovvero 245 mg per un adulto di 70kg. (80g di spaghetti = 104mg + 50 g di tonno = 140mg, TOTALE=  244 mg).

Può sembrare strano che il cioccolato non occupi i primi posti nella quantità di triptofano presente considerando quanto piacere e buon umore possa offrire il suo consumo. In realtà il cioccolato è tra gli alimenti che maggiormente conferisce benessere psicologico perché i suoi effetti non sono legati esclusivamente alla presenza del triptofano. Infatti, il cioccolato, come tutte le sostanze nervine, tra cui il caffè e il tè, svolge un’azione sul sistema nervoso centrale grazie ad altre molecole come la theobromina che aumenta lo stato di allerta e di eccitazione. Ma tra le sostanze nervine il cioccolato è l’unica che contiene anche feniletilamina, che ha un effetto euforizzante, provoca un senso di soddisfazione e piacere che può giovare negli stati di lieve depressione. Senza contare che contiene anche l’anandamide, l’ormone della “felicità”, un neurotrasmettitore che placa l’ansia e anche l’appetito.

Esistono evidenze scientifiche che dimostrano come la depressione sia in qualche modo collegata a bassi livelli circolanti di omega 3 e maggiori di omega 6 (1). Inoltre, la supplementazione con omega 3 sembra migliorare l’umore nei pazienti con gravi disturbi dell’umore e ridurre il rischio di depressione come evidenziato in una recente metanalisi (2). Negli animali di laboratorio si è osservato come diete carenti di omega 3 alterino i livelli di serotonina e dopamina, due neurotrasmettitori che come abbiamo visto sono molto importanti nel mantenimento del buon umore e del benessere (3). Nei bambini una carenza di acidi grassi a catena lunga può compromettere le funzioni cognitive (4) mentre gli omega 3 migliorano il flusso ionico di membrana e la trasmissione delle informazioni intercellulari (5) e sopprimono la produzione di alcune citochine infiammatorie coinvolte nei meccanismi della depressione e delle affettività negative (6)

Un recente studio (7) ha osservato come sia sufficiente un moderato consumo di pesce per ridurre il rischio di depressione, mentre una sua assunzione eccessiva potrebbe avere addirittura un effetto controproducente (figura 1 e 2)

È stato anche studiato come la prima colazione possa condizionare il buon umore. Un lavoro pubblicato nel 2019 (8) ha valutato l’associazione tra la frequenza del consumo della colazione e il rischio di sintomi depressivi nei dipendenti giapponesi. In un gruppo di 716 dipendenti, privi di sintomi depressivi e disturbi mentali al momento dell’arruolamento nello studio, sono stati seguiti per tre anni durante i quali è stata valutata l’eventuale comparsa di sintomi depressivi correlandola con la frequenza del consumo della prima colazione. I partecipanti che consumavano la colazione ≤1 volta a settimana presentavano un rischio maggiore di sintomi depressivi rispetto a coloro che facevano colazione ogni giorno, anche dopo aver corretto per altri fattori dietetici, dimostrando così che il rischio di sintomi depressivi tendeva ad aumentare con la diminuzione della frequenza del consumo della colazione.

Per quanto sia difficile e si voglia sempre cercare un capro espiatorio oppure, al contrario, un alimento che costituisca la panacea di tutti i mali, non si può attribuire ad un singolo alimento difetti o virtù relativi allo stato di salute. Bisogna sempre considerare il contesto complessivo di un corretto stile di vita che tenga conto non solo dei singoli alimenti ma anche della qualità di un pasto inteso come tempi e modalità di assunzione, del piacere gustativo di un alimento, dei ricordi piacevoli ai quali può essere associato, le reminiscenze culturali e familiari alle quali riporta e la convivialità legata al suo consumo. Certamente, la scelta dei giusti alimenti è importante se si vuole migliorare il buon umore come osservato in un recente studio (9) dove si è evidenziato che un modello alimentare caratterizzato da un elevato consumo di frutta, verdura, cereali integrali, pesce, olio d’oliva, latticini magri e antiossidanti è stato apparentemente associato a un ridotto rischio di depressione. Ma, come abbiamo detto,  non può essere solo la giusta scelta degli alimenti il fattore decisivo per far sì che l’alimentazione favorisca il buon umore.

“È con profonda commozione che ho appreso della scomparsa di Alessandra Balocco, un’imprenditrice di grande visione e coraggio. Ha saputo guidare con passione e dedizione l’azienda di famiglia, rafforzandone la presenza internazionale e dimostrando la capacità delle imprese italiane di eccellere a livello globale. L’intera filiera agroalimentare si stringe oggi attorno alla famiglia in questo momento di grande dolore”. Così in una nota Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare.

“Se fosse confermato l’accordo commerciale tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, l’industria alimentare si troverà schiacciata nella morsa tra i dazi al 15%, la svalutazione del dollaro e i costi dei dazi interni alla UE: chiediamo dunque alla UE un intervento urgente a tutela della competitività della sua industria”. Lo dichiara in una nota il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.

“Se da un lato è vero che questo possa essere l’unico compromesso possibile, dall’altro lato è altresì vero che l’intreccio tra l’impatto dei dazi USA al 15% e la svalutazione del dollaro, che oggi vale altri 13 punti percentuali, non sarà sostenibile per diversi settori – continua Mascarino – e a tutela delle imprese chiediamo alla UE un intervento della mano pubblica: così come gli Stati Uniti hanno fatto con i dazi, che di fatto è un intervento pubblico per proteggere la loro industria, anche noi chiediamo urgenti interventi strutturali per rafforzare la nostra capacità competitiva riducendo i dazi interni alla UE: snellire il carico burocratico sulle imprese, riformare i mercati dell’energia per garantire una riduzione dei prezzi, facilitare l’accesso al credito. In tal senso, proseguire con maggior decisione sulla strada del taglio dei tassi di interesse nell’area euro potrebbe aiutare la crescita economica”. 

“In questo scenario di forte incertezza auspichiamo che le trattative fra la Commissione UE e gli USA proseguano e che nel tempo si possa arrivare progressivamente a definire un’area di libero scambio euroatlantica a dazi zero. Sarebbe la risposta più logica da adottare sia per le nostre economie fortemente interconnesse, che nei confronti delle altre economie globali che potrebbero approfittare di un Occidente debole e impegnato in una guerra commerciale”, riprende Mascarino.

“L’industria alimentare italiana è fortemente orientata all’export: gli USA sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono (nel 2024) 7,7 miliardi di fatturato, pari al 14% del totale delle nostre esportazioni. Prima degli Stati Uniti abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi. Dunque – conclude Mascarino – gli USA restano un mercato davvero molto importante, e resta prioritario favorire la presenza delle nostre imprese sostenendone la competitività”. 

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