“È con profonda commozione che ho appreso della scomparsa di Alessandra Balocco, un’imprenditrice di grande visione e coraggio. Ha saputo guidare con passione e dedizione l’azienda di famiglia, rafforzandone la presenza internazionale e dimostrando la capacità delle imprese italiane di eccellere a livello globale. L’intera filiera agroalimentare si stringe oggi attorno alla famiglia in questo momento di grande dolore”. Così in una nota Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare.
Autore: ital
“Se fosse confermato l’accordo commerciale tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, l’industria alimentare si troverà schiacciata nella morsa tra i dazi al 15%, la svalutazione del dollaro e i costi dei dazi interni alla UE: chiediamo dunque alla UE un intervento urgente a tutela della competitività della sua industria”. Lo dichiara in una nota il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.
“Se da un lato è vero che questo possa essere l’unico compromesso possibile, dall’altro lato è altresì vero che l’intreccio tra l’impatto dei dazi USA al 15% e la svalutazione del dollaro, che oggi vale altri 13 punti percentuali, non sarà sostenibile per diversi settori – continua Mascarino – e a tutela delle imprese chiediamo alla UE un intervento della mano pubblica: così come gli Stati Uniti hanno fatto con i dazi, che di fatto è un intervento pubblico per proteggere la loro industria, anche noi chiediamo urgenti interventi strutturali per rafforzare la nostra capacità competitiva riducendo i dazi interni alla UE: snellire il carico burocratico sulle imprese, riformare i mercati dell’energia per garantire una riduzione dei prezzi, facilitare l’accesso al credito. In tal senso, proseguire con maggior decisione sulla strada del taglio dei tassi di interesse nell’area euro potrebbe aiutare la crescita economica”.
“In questo scenario di forte incertezza auspichiamo che le trattative fra la Commissione UE e gli USA proseguano e che nel tempo si possa arrivare progressivamente a definire un’area di libero scambio euroatlantica a dazi zero. Sarebbe la risposta più logica da adottare sia per le nostre economie fortemente interconnesse, che nei confronti delle altre economie globali che potrebbero approfittare di un Occidente debole e impegnato in una guerra commerciale”, riprende Mascarino.
“L’industria alimentare italiana è fortemente orientata all’export: gli USA sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono (nel 2024) 7,7 miliardi di fatturato, pari al 14% del totale delle nostre esportazioni. Prima degli Stati Uniti abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi. Dunque – conclude Mascarino – gli USA restano un mercato davvero molto importante, e resta prioritario favorire la presenza delle nostre imprese sostenendone la competitività”.
Sulla proposta di dazi al 30% su tutti i prodotti europei in entrata negli Stati Uniti da parte del Presidente Trump, il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, ha dichiarato: “Ogni dazio fa male al commercio e avremmo preferito un’area di libero scambio euroatlantica, a dazi zero: l’imposizione di un dazio al 30% supera ogni soglia di tollerabilità per le imprese, aumentando il rischio di un calo significativo delle esportazioni, anche alla luce dell’attuale svalutazione del dollaro”.
“Il combinato disposto dell’impatto dei dazi USA e della svalutazione del dollaro non sarà sostenibile per diversi settori – continua Mascarino – e a tutela delle imprese chiediamo alla UE un intervento della mano pubblica: così come gli Stati Uniti hanno fatto con i dazi, che di fatto è un intervento pubblico per proteggere la loro industria, anche noi lo chiediamo. Non pensiamo però a sussidi, ma ad urgenti interventi strutturali per rafforzare la nostra capacità competitiva riducendo i dazi interni alla UE: snellire il carico burocratico sulle imprese, riformare i mercati dell’energia per garantire una riduzione dei prezzi, facilitare l’accesso al credito. In tal senso, proseguire con maggior decisione sulla strada del taglio dei tassi di interesse nell’area euro potrebbe aiutare la crescita economica.”
“Resta comprensibile – prosegue il Presidente Mascarino – che la UE voglia dare una risposta politica ai dazi americani, per dignità istituzionale e affinché non sia mortificata da questa decisione dell’amministrazione Trump: ma questa risposta della UE riteniamo debba essere prudente e ancora aperta al negoziato, visto il rischio di un ulteriore 30% in caso di ritorsione. Il Presidente Meloni sta conducendo una complessa azione in Europa per contenere tutti coloro che vorrebbero una risposta muscolare alla minaccia dei dazi USA, una strategia che rischierebbe di essere autolesionista per l’Europa e in particolare per l’Italia.”
“L’industria alimentare italiana è fortemente orientata all’export: gli USA sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono (nel 2024) 7,7 miliardi di fatturato, pari al 14% del totale delle nostre esportazioni. Prima degli Stati Uniti abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi. Dunque – conclude Mascarino – gli USA restano un mercato davvero molto importante, e resta prioritario favorire la presenza delle nostre imprese sostenendone la competitività”.

Sulla proposta di dazi al 10% su tutti i prodotti europei in entrata negli Stati Uniti da parte del Presidente Trump, il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, ha dichiarato: “L’industria italiana è fortemente orientata all’export (circa 50% della produzione industriale viene esportata, e gli USA valgono il 10% del nostro export): questo è vero anche per il settore alimentare: gli USA sono la seconda destinazione del nostro export, e valgono (nel 2024) 7,7 miliardi di fatturato, pari al 14% del totale del nostro export. Prima degli Stati Uniti, abbiamo solo la Germania, che vale 7,9 miliardi. Dunque, gli USA restano un mercato per noi davvero molto importante, e resta prioritario garantirne l’accesso alle nostre imprese, limitando le barriere all’ingresso”.
“Resta comprensibile – prosegue il Presidente Mascarino – che la UE voglia dare una risposta politica ai dazi americani, per dignità istituzionale e affinché non sia mortificata da questa decisione dell’amministrazione Trump: ma questa risposta della UE riteniamo debba essere prudente ed equilibrata, aperta al negoziato, e senza rispondere dazio contro dazio”.
“Nel negoziato tra UE e Stati Uniti, auspichiamo il rilancio dell’idea di un’area di libero scambio euroatlantica, a dazi zero, che dia alle nostre imprese accesso al più grande e moderno mercato mondiale”.
“Premesso che ogni dazio fa male al commercio e in definitiva alle economie dei paesi coinvolti, se questo scenario non sarà percorribile – conclude il Presidente di Federalimentare – riteniamo che un dazio al 10% sia comunque un compromesso sostenibile, in quanto potrebbe essere assorbito, in tutto o in parte, da produttori e importatori, ovvero essere ribaltato, in tutto o in parte, sui consumatori americani limitando i rischi di riduzione della domanda rispetto alla minaccia di dazi al 20%”.

Roma, 24 giugno 2025 – Si è conclusa con successo la 15ª edizione di Ecotrophelia Italia, la competizione nazionale dedicata all’eco-innovazione nel settore alimentare, organizzata da Federalimentare. L’evento, tenutosi oggi presso il centro congressi di Eataly a Roma, ha visto giovani talenti da Università e ITS di tutta Italia sfidarsi con prodotti innovativi e sostenibili, capaci di coniugare gusto, innovazione e consapevolezza ambientale.
La giornata è stata un’occasione per promuovere l’economia circolare e presentare idee e soluzioni originali per il mondo industriale. Le cinque squadre finaliste – l’ITS di Teramo con “Biscotart”, l’Università Cattolica del Sacro Cuore con “Brewffles”, l’ITS E.A.T. Eccellenza Agroalimentare Toscana con “Pasta Chips”, l’Università di Parma con i “Trebbini”, e l’Università Campus Bio-medico di Roma UCBM con “Vegetalium” – hanno dimostrato grande creatività e profonda attenzione all’impatto ambientale dei processi produttivi.
La giuria di esperti, composta da rappresentanti delle Istituzioni, del mondo della nutrizione, della ricerca in campo energia e ambiente e dell’impresa, ha valutato i prototipi in base a criteri di innovazione ed eco-sostenibilità. Dopo un’attenta analisi, il primo premio è stato assegnato ai “Trebbini”, realizzati dal team dell’Università di Parma.
Il team vincitore si è aggiudicato un premio di € 2.000 e avrà l’onore di rappresentare l’Italia alla finale internazionale ECOTROPHELIA EUROPE 2025, che si terrà a Colonia il 7 e 8 ottobre prossimi, nell’ambito della manifestazione fieristica Anuga. Il culmine della competizione europea, inclusa la cerimonia di premiazione, avrà luogo sul palco della Trend Zone di Anuga.
Ecotrophelia Italia, che anche quest’anno ha beneficiato del patrocinio scientifico di ENEA – Agenzia Nazionale per le nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile, e del patrocinio di Food Edu – Fondazione Italiana Educazione alimentare, CLAN – Cluster Agrifood Nazionale e OTAN – Ordine Nazionale Tecnologi Alimentari, si conferma un’iniziativa fondamentale per coltivare i talenti del futuro e contribuire a un sistema alimentare più sostenibile. L’impegno dei giovani partecipanti è un elemento cruciale per affrontare le sfide globali legate alla produzione e al consumo alimentare.
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Dichiarazione di Guglielmo Gennaro Auricchio, Presidente Giovani Imprenditori di Federalimentare e Presidente di Giuria:
“Investire nell’eco-innovazione significa investire in un modello di sviluppo che coniuga progresso, responsabilità e visione. Sono estremamente orgoglioso di quanto abbiamo visto oggi a Ecotrophelia Italia 2025. Questa competizione dimostra che la nuova generazione di professionisti del settore alimentare è profondamente consapevole dell’importanza della sostenibilità e ha una visione lungimirante del futuro della nostra industria”.
“Il prodotto vincitore, i ‘Trebbini’ e anche gli altri 4 finalisti sono un chiaro esempio di come sia possibile unire gusto eccellente, innovazione e un’attenzione scrupolosa all’impatto ambientale – prosegue il Presidente dei Giovani Imprenditori, Auricchio -.
È un onore per Federalimentare sostenere questi giovani talenti e offrire loro la possibilità di esprimere tutto il loro potenziale. Siamo fiduciosi che il team dell’Università di Parma rappresenterà l’Italia al meglio nella finale europea di Colonia, portando avanti i valori di qualità e sostenibilità che caratterizzano il nostro Made in Italy. Ecotrophelia è un tassello fondamentale in questo percorso, poiché stimola la ricerca e lo sviluppo di soluzioni che renderanno la nostra industria alimentare sempre più sostenibile, circolare ed efficiente”.

Prof. LUCA PIRETTA – Gastroenterologo e Nutrizionista Università Campus Biomedico di Roma
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un crescente boom dei prodotti iperproteici e delle diete iperproteiche e frequentemente questi due elementi risultano intrecciati in modo indissolubile in quanto una dieta iperproteica viene spesso integrata da prodotti industriali molto ricchi in proteine. Il crescente interesse per le proteine influenza gli acquisti di milioni di consumatori in tutto il mondo coinvolgendo non solo gli sportivi, ma anche coloro che apparentemente vogliono migliorare il proprio benessere e la propria salute. Secondo i dati dell’ultimo Osservatorio Immagino GS1 Italy, riferiti all’anno che va da giugno 2022 a giugno 2023, il giro d’affari dei prodotti proteici è aumentato del 20%, con una crescita sia della domanda (+8%) sia dell’offerta (+11%).
Quello che dobbiamo chiederci è se la dieta iperproteica rappresenta una buona scelta nutrizionale e quali potrebbero essere i rischi di una alimentazione squilibrata in questa direzione perché è superfluo dire che una corretta alimentazione parte dall’educazione, e che fare buona educazione per un periodo limitato di tempo per poi tornare ad essere “maleducati” il resto dell’anno è un controsenso. Ma perché le diete iperproteiche hanno riscosso tanto successo?
Negli ultimi anni ha iniziato a diffondersi una falsa, o comunque sopravvalutata, opinione sulla nocività di grassi e zuccheri nella dieta. Siccome i macronutrienti presenti nella dieta sono tre zuccheri, grassi e proteine, escludendo i primi due, rimangono le proteine. Di conseguenza questa convinzione di dover ridurre la quantità di zuccheri e grassi nella dieta ha portato inevitabilmente ad aumentare le proteine nell’alimentazione.
Inoltre, tutte le diete dimagranti sono diete iperproteiche: un po’ perché sono meno caloriche, un po’ perché l’organismo necessita di un dispendio energetico maggiore per metabolizzarle; quindi, si bruciano più calorie per metabolizzare le proteine che per metabolizzare grassi e zuccheri. Ma un conto è fare una dieta leggermente iperproteica per dimagrire, un altro è fare una dieta fortemente iperproteica senza che ce ne sia la reale necessità. Perché negli ultimi anni ha iniziato a diffondersi l’idea che la dieta iperproteica sia salutare, cosa che invece non è vera: tutti i corretti regimi alimentari necessitano di una giusta proporzione tra zuccheri, grassi e proteine. Quindi la demonizzazione di zuccheri e grassi è un concetto sbagliato, perché ha confuso la mera presenza di zuccheri e grassi di una sana alimentazione con una dieta dove questi sono presenti in eccesso.
Ma perché la dieta iperproteica aiuta a dimagrire? Il primo motivo è che l’organismo non riesce ad essere molto elastico nella gestione delle proteine come fonte di energia in quanto non riesce ad immagazzinarle, e pertanto si vede costretto a metabolizzarle indirizzandole verso la sintesi di altre proteine, di glucosio o di urea, e per fare questo produce un notevole dispendio energetico. Il secondo motivo è che un elevato apporto di proteine serve a mantenere la massa muscolare grazie allo stimolo della sintesi proteica e questo determina un maggiore metabolismo basale con il conseguente consumo di calorie. Questo stimolo alla sintesi di altre proteine è particolarmente valido in seguito all’assunzione di proteine di origine animale. Il terzo motivo si basa sull’evidenza portata da alcuni studi secondo i quali l’aumento di proteine nella dieta aumenta l’utilizzo dei grassi come fonte energetica (1). L’assunzione di una maggiore quota proteica determina maggiori livelli di termogenesi indotta dalla dieta rispetto all’apporto proteico più basso, specie nei soggetti normopeso rispetto a quelli in sovrappeso o obesi. Il più elevato contenuto proteico dei pasti si riflette anche sull’ossidazione postprandiale dei substrati energetici, in particolare con una minore ossidazione dei carboidrati e una maggiore ossidazione dei grassi, suggerendo una selettività del metabolismo a favore dell’utilizzo dei grassi come fonte energetica. Infine, alcuni aminoacidi (i mattoni che compongono le proteine) hanno un effetto anoressizzante andando a stimolare il centro della sazietà. Questo vale soprattutto per le sieroproteine del latte e derivati.
Le diete iperproteiche, oltre a favorire la perdita di peso, può essere d’aiuto in alcune condizioni specifiche. È utile, per esempio, a chi ha la necessità di aumentare la massa muscolare: adolescenti, sportivi, anziani in sarcopenia (perdita di massa muscolare), convalescenti che devono recuperare la massa muscolare persa in seguito a un allettamento o ad un lungo periodo di riposo forzato. Queste persone possono beneficiare di un regime iperproteico perché devono costruire, oltre alla massa muscolare, anche massa magra e massa ossea, ma devono seguire tale regime con estrema attenzione e soprattutto per un periodo limitato di tempo. Se si continua ad aumentare l’apporto proteico, la massa muscolare non aumenta all’infinito: a un certo punto si ferma. Quindi l’eccesso di proteine non serve più a costruire tessuti, ma viene utilizzato solo a scopo energetico, risvolto non certo positivo. Tutte le diete iperproteiche devono essere perciò valutate nella loro reale necessità, calibrate secondo il bisogno e finalizzate a uno scopo ben preciso con una scadenza temporale.
Queste precauzioni sono dovute al fatto che ci possono essere dei rischi nell’assunzione di una quantità eccessiva di proteine. Lo smaltimento metabolico delle proteine implica l’eliminazione di una molecola tossica per l’organismo: l’azoto, che viene escreto sotto forma di ammoniaca, richiedendo un lavoro non indifferente al fegato e ai reni. Un altro rischio è rappresentato dall’inevitabile squilibrio nutrizionale come conseguenza della riduzione di carboidrati e lipidi che andrà a penalizzare pertanto l’apporto di frutta e verdura dato che non contengono proteine. Bombardati dalla disinformazione, siamo ormai convinti che zucchero e grasso facciano male, ma non è così: fanno male se consumati in quantità esagerate. Quindi se noi li riduciamo al di sotto dei nostri fabbisogni, la carenza può essere nociva tanto quanto l’eccesso.
I soggetti più a rischio di subire conseguenze negative di una dieta iperproteica sono quelli che soffrono di insufficienza epatica, insufficienza renale e gli anziani. Potrebbe sembrare un po’ un paradosso, perché gli anziani sono anche tra quelli che potrebbero avere più bisogno di una dieta iperproteica, ma devono prestare molta attenzione, perché fegato e reni non hanno più gli standard di efficienza come in gioventù.
Inoltre, gli anziani fanno spesso uso di farmaci e in questo caso le interazioni proteiche con alcuni prodotti farmacologici – come quelli per il Parkinson – possono peggiorare la situazione. Ultimo punto non irrilevante, è quello di ricordare che in ogni caso la dieta iperproteica può essere fatta con alimenti naturali, che contengono una quantità di proteine più o meno importante, senza dover necessariamente ricorrere agli integratori iperproteici presenti in commercio.
In conclusione, possiamo affermare che la dieta iperproteica rappresenta un regime squilibrato, che può essere utilizzato per periodi limitati di tempo per ottenere benefici specifici in alcune categorie di persone (obesi, sportivi, adolescenti). Non deve mai trattarsi di una dieta fortemente iperproteica perché altrimenti non solo si obbliga l’organismo a lavorare in eccesso per smaltire alcune molecole tossiche come l’azoto, ma soprattutto si rischia una carenza nutrizionale di altri macronutrienti come zuccheri e grassi.
Bibliografia
- Effects of Varying Protein Amounts and Types on Diet Induced Thermogenesis: A Systematic Review and Meta-Analysis. Guarneiri LL, Adams CG, Garcia-Jackson B, Koecher K, Wilcox ML, Maki KC. Adv Nutr. 2024.

Martedì 24 giugno si svolge la 15ª Edizione del concorso organizzato da Federalimentare che coinvolge Università e ITS di tutta Italia
Roma – Martedì 24 giugno, il centro congressi di Eataly a Roma, ospiterà la 15ª edizione di Ecotrophelia Italia, la competizione dedicata all’eco-innovazione nello sviluppo di nuovi prodotti alimentari industriali organizzata da Federalimentare. Nata con l’intento di limitare l’impatto ambientale dei processi produttivi e favorire il riciclo dei prodotti industriali, Ecotrophelia è un appuntamento molto atteso dagli studenti universitari e degli ITS del settore alimentare ed offre l’opportunità di promuovere l’economia circolare con idee e soluzioni originali per il mondo industriale.
Negli anni, il concorso ha visto il coinvolgimento di 20 Università, 8 ITS, oltre 80 squadre e più di 500 studenti. Quest’anno a contendersi il podio saranno 5 squadre con i loro prodotti innovativi: l’ITS di Teramo con “Biscotart”, le ferratelle sostenibili con Carote IGP del Fucino, l’Università Cattolica del Sacro Cuore con Brewffles, lo snack sostenibile con trebbie di birra ricco di fibre e proteine, l’ITS E.A.T. Eccellenza Agroalimentare Toscana, che porterà in gara “Pasta Chips”, lo snack croccante, nutriente e innovativo a base di pasta, l’Università di Parma con i “Trebbini”, biscotti di pasta frolla a base di trebbie, grano saraceno e miele con ripieno di mele, l’Università Campus Bio-medico di Roma UCBM con “Vegetalium”, lo snack a base di fibre vegetali e nutrienti essenziali derivanti da carote, zucchine, funghi e finocchio, aromatizzato con sommacco.
I prototipi saranno valutati da un panel di esperti giurati, selezionati tra rappresentanti delle Istituzioni, del mondo della nutrizione, della ricerca in campo energia e ambiente e dell’impresa. Sarà premiato il prodotto considerato più rispondente ai criteri di innovazione ed eco-sostenibilità, che riceverà un premio di € 2.000. Il team vincitore parteciperà alla finale internazionale ECOTROPHELIA EUROPE 2025, che si svolgerà in autunno.
Patrocini della Competizione
Anche quest’anno, Ecotrophelia Italia vanta il patrocinio scientifico di ENEA – Agenzia Nazionale per le nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile. Inoltre, l’edizione 2025 beneficia del patrocinio di Food Edu – Fondazione Italiana Educazione alimentare, CLAN – Cluster Agrifood Nazionale e OTAN – Ordine Nazionale Tecnologi Alimentari.
Ecotrophelia Italia è un’iniziativa che contribuisce a creare un futuro alimentare più sostenibile. L’impegno dei giovani partecipanti è considerato un elemento per affrontare le sfide globali legate alla produzione e al consumo alimentare.


Prof. LUCA PIRETTA, Gastroenterologo e Nutrizionista, Università Campus Biomedico di Roma
Colesterolo, una parola che solo a sentirla mette paura. E giustamente, perché quando il suo livello nel sangue è troppo alto, la salute del nostro cuore è a rischio. In realtà questo grasso, in gran parte auto-prodotto dal nostro organismo e in minima parte introdotto con la dieta, non nasce cattivo. Si tratta infatti, di una molecola essenziale per l’organismo in quanto è parte integrante delle pareti cellulari, partecipa alla produzione di vitamina D, importante per la salute delle ossa, è il precursore di alcuni ormoni (estrogeni, testosterone, progesterone), è coinvolto nel processo di digestione grazie al suo ruolo nella sintesi dei sali biliari e infine è la molecola a partire dalla quale viene sintetizzato il cortisone endogeno. È quindi comprensibile immaginare che le nostre cellule siano dotate di un apparato enzimatico in grado di produrre il colesterolo senza il quale non sarebbe possibile vivere in salute. Ci sono però alcune persone che con il passare degli anni tendono a produrlo in eccesso e quindi lo si trova in grandi quantità nel sangue, in aggiunta a quello che arriva con l’alimentazione. Questa tendenza all’iperproduzione è determinata geneticamente e si trova più frequentemente in gruppi di persone imparentate, e per questo viene chiamata in questi casi “ipercolesterolemia famigliare”.
Ecco, dunque, che il colesterolo diventa pericoloso soltanto quando circola in eccesso nel torrente sanguigno, quando cioè la sua presenza nel sangue supera i valori considerati normali e configura il quadro della ipercolesterolemia, una condizione pericolosa perché favorisce il suo deposito nelle pareti delle arterie, restringendole e causando patologie da ostruzione vascolare come ictus e infarto.
Purtroppo, l’ipercolesterolemia è una condizione molto diffusa, con incidenza sia sulla popolazione maschile sia femminile, e rappresenta un fattore di rischio importante per le malattie cardiovascolari che si va sommare ad altri come il tabagismo, il diabete mellito, l’obesità, l’ipertensione arteriosa e la sedentarietà. A differenza di altri, l’ipercolesterolemia rappresenta un fattore di rischio correggibile con un corretto stile di vita (alimentazione e attività fisica) ed eventualmente con l’aggiunta di una terapia farmacologica.
Il colesterolo viene distinto in base alle lipoproteine che lo trasportano nel sangue: avremo quindi quello LDL (legato alle lipoproteine a bassa densità), cosiddetto “cattivo” perché identifica quello che può depositarsi nelle arterie, e quello HDL (legato alle lipoproteine ad alta densità), detto “buono” perché non provoca danni ai vasi, ma anzi rappresenta quello che si allontana dalle arterie e viene trasportato al fegato grazie al legame con quelle lipoproteine “buone” che agiscono come uno “spazzino” rimuovendo il colesterolo depositato.
Il colesterolo che invece rimane aderito alle pareti vascolari sotto forma di “placca” diventa particolarmente pericoloso quando subisce il processo di ossidazione, dando origine a processi infiammatori che destabilizzano la placca stessa, la fanno crescere e favoriscono la comparsa di trombi responsabili dell’interruzione del flusso ematico causando ictus e infarto. Ecco, quindi, che la prevenzione dell’ossidazione, grazie all’assunzione di nutrienti antinfiammatori come vitamine, polifenoli e antiossidanti in genere, risulta determinante nella prevenzione delle malattie cardiovascolari che non è quindi rappresentata esclusivamente dall’assunzione di alimenti poveri di colesterolo ma anche da quelli ricchi in sostanze antiossidanti e antinfiammatorie.
L’Istituto Superiore di Sanità indica come desiderabili i seguenti valori:
- Colesterolo totale: fino a 200mg/dl
- Colesterolo LDL: fino a 100mg/dl
- Colesterolo HDL: non inferiore a 50mg/dl
In alcune categorie a rischio (pazienti con pregresso infarto, ictus o affetti da diabete) questi parametri di normalità possono essere più stringenti e i target considerati ottimali devono essere più bassi.
Molto può essere fatto nella nostra vita quotidiana per prevenire l’ipercolesterolemia, partendo dal praticare regolare attività fisica, mangiare in modo sano, smettere di fumare, controllare il peso e moderare il consumo di alcol.
Una gran parte della battaglia contro il colesterolo alto si svolge a tavola e non si vince eliminando del tutto i grassi, perché in realtà la colesterolemia è influenzata dal tipo di grassi che si assumono: quelli saturi, sia di origine animale che vegetale, provocano l’aumento del colesterolo LDL, mentre quelli insaturi (che si trovano prevalentemente nel pesce, noci e olio di oliva) possono abbassarlo o contribuire a far alzare quello HDL che, come abbiamo detto, contribuisce alla pulizia della arterie.
In quest’ottica, la dieta Mediterranea è la miglior arma che abbiamo: seguire le sue linee guida vuol dire favorire i livelli ottimali di colesterolo nel sangue perché ricca in grassi polinsaturi e povera di grassi saturi e colesterolo.
Seguendo i principi della dieta Mediterranea, scopriamo quali sono gli alimenti ideali per contrastare l’innalzamento del colesterolo.
Frutta e verdura sono due categorie con cui si casca sempre in piedi, perché contengono vitamine, sali minerali e soprattutto fibra, che interferisce con l’assorbimento dei lipidi e tiene bassi i parametri del colesterolo. Gli ortaggi anticolesterolo ideali sono pomodori (grazie al licopene),finocchi, carciofi, carote, broccoli, cavolfiori e verdure a foglia verde, che possiedono anche elevati livelli di acido folico, importante per abbassare i valori di omocisteina, sostanza che favorisce l’ossidazione del colesterolo cattivo e che danneggia l’endotelio vascolare. Tra la frutta, per la quantità di fibra, spiccano le mele, ma sono di aiuto anche uva, mirtilli e tutti i frutti ricchi di vitamina C, come kiwi, agrumi e fragole. L’avocado invece, può avere un effetto benefico sul colesterolo per la presenza di acidi grassi monoinsaturi, ma essendo più calorico di altra frutta va consumato con moderazione.
I cereali integrali assicurano più fibre rispetto a quelli raffinati: avena e orzo sono particolarmente ricchi di betaglucano, fibra in grado di formare una sorta di gel che ostacola l’assorbimento del colesterolo alimentare.
Tutti i legumi (fagioli, lenticchie, ceci e piselli) aiutano a mantenere adeguati i livelli di colesterolo grazie alla presenza di fibre e di steroli vegetali. Ottima anche la soia, che contiene fitosteroli in grado di “mimare” il colesterolo, quindi di essere assorbiti dall’intestino al suo posto e la lecitina, un grasso che esterifica il colesterolo nelle cellule epatiche ostacolando la sua uscita, mentre a livello periferico l’esterificazione con gli acidi grassi della lecitina ne facilita l’incorporazione nelle lipoproteine HDL che lo tolgono dalle arterie e lo riportano al fegato.
Per la particolare composizione dei suoi grassi, il pesce può essere consumato con grande beneficio da chi deve tenere sotto controllo il colesterolo. In particolare, quello azzurro, come sgombro, alici, sardine e tonno, contiene acidi grassi omega 3, in grado di alzare i livelli di colesterolo buono.
Nella guerra al colesterolo alto, abbiamo un alleato incredibile, l’olio extravergine di oliva, ricco di grassi monoinsaturi, protettori della salute del sistema cardiovascolare. Ottimi anche quelli di semi, come soia, girasole, mais e arachidi o quello di riso che, grazie al contenuto in fitosteroli e acidi grassi polinsaturi, svolge un’azione di controllo sul colesterolo. Usarli a crudo permette di ottimizzare l’assunzione di tutti i loro preziosi nutrienti.
Noci, mandorle, nocciole o semi di lino, zucca, girasole ecc., sono di aiuto nel mantenere in salute il cuore grazie ad un giusto mix di acidi grassi omega 3 e omega 6, grassi polinsaturi buoni che aiutano a tenere basso il colesterolo LDL e proteggono il sistema cardiovascolare. Bisogna però porre attenzione alle quantità perché, pur essendo grassi buoni sono pur sempre grassi, e quindi la loro assunzione va controllata per il notevole apporto calorico.
Gli zuccheri semplici in eccesso stimolano la produzione di insulina che a sua volta induce la sintesi del colesterolo endogeno. Inoltre, un eccesso della loro assunzione può contribuire ad un innalzamento della glicemia con una sofferenza vascolare ulteriore che si va a sommare al danno che può creare un elevato colesterolo circolante. È importante sempre ricordare che parliamo di zuccheri in eccesso rispetto a quelli raccomandati dai LARN, e che lo zucchero di per sé non crea un danno specifico alle pareti delle arterie.
I grassi saturi vanno evitati o limitati fortemente, e pertanto tutti quei grassi animali che ne sono ricchi, in particolare burro, lardo, strutto, panna, insaccati, frattaglie, molluschi e crostacei devono essere assunti con cautela da chi soffre di ipercolesterolemia. La carne rossa deve essere consumata con estrema moderazione, sostituendola con le carni bianche magre e comunque assumerla al massimo 1 o 2 volte a settimana. Attenzione però, perché alcuni studi hanno dimostrato che eliminare totalmente l’assunzione di colesterolo può favorire una maggiore sintesi del colesterolo endogeno grazie a un sistema di tipo “compensatorio” e di conseguenza gli estremismi alimentari, oltre a portare a derive psicologiche del comportamento alimentare possono determinare un effetto contrario sui valori di colesterolo nel sangue.
Per quanto riguarda latte, yogurt e formaggi meglio prediligere quelli freschi magri come la ricotta vaccina, mentre per le uova, da sempre demonizzate per l’alto contenuto in grassi, si possono consumare controllandone la quantità, che dovrebbe essere limitata a 2 uova a settimana. In questo dosaggio bisogna però sempre tener conto anche delle uova contenute in altri alimenti, come dolci, biscotti o pasta all’uovo.
Quando la correzione alimentare e dello stile vita non porta risultati sufficienti oppure la presenza di altri fattori di rischio importanti come obesità e diabete è necessario ricorrere alla terapia farmacologica. Lo stesso discorso riguarda i pazienti che hanno già delle placche sulle arterie o hanno subito precedenti eventi di infarto o ictus. Oltre alle classiche statine che inibiscono la sintesi endogena del colesterolo e la ezetimibe, sostanza che riduce l’assorbimento intestinale di colesterolo, oggi ci sono nuovi farmaci come gli anticorpi monoclonali. Questi ultimi agiscono inibendo l’attività di una proteina, la PCSK9, la cui funzione, normalmente è quella di distruggere i recettori delle LDL. Questa proteina in pratica, riducendo il numero dei recettori LDL fa circolare più a lungo il colesterolo cattivo. Gli anticorpi monoclonali eliminando questa proteina aumentano il numero dei recettori LDL che possono quindi sottrarre il colesterolo più rapidamente dalla circolazione.

Milano, 15 maggio 2025 – Si è svolto ieri a Milano, nella prestigiosa cornice di Palazzo Lombardia, il primo Forum Nazionale dei Giovani del Made in Italy, dal titolo “Creare Futuro”. L’evento è nato su iniziativa dei presidenti dei Gruppi Giovani di FederlegnoArredo, Confindustria Accessori Moda e Federalimentare che, insieme ad alcuni esponenti del mondo imprenditoriale e accademico, hanno dato vita a un confronto dinamico e costruttivo per tracciare una visione innovativa e proiettata al futuro.
Il Forum ha rappresentato un’importante occasione di riflessione sul ruolo delle nuove generazioni nel guidare il rinnovamento del sistema produttivo italiano, a partire dai tre pilastri dell’eccellenza manifatturiera nazionale: Fashion, Food e Furniture. Settori chiave che, insieme, contribuiscono a circa il 20% del PIL nazionale e che rappresentano al meglio il saper fare italiano nel mondo.
In un contesto globale sempre più dinamico e complesso, è emersa con forza la necessità di fare sistema, valorizzare le competenze e promuovere sinergie tra le diverse filiere. I giovani imprenditori desiderano essere protagonisti di questo cambiamento, portando visione, innovazione e apertura al dialogo, per continuare a rafforzare e promuovere l’identità del Made in Italy su scala internazionale.
Carlo Briccola, presidente Giovani Confindustria Accessori Moda, ha dichiarato: “La moda è un patrimonio straordinario per l’Italia, ma solo attraverso la connessione tra filiere diverse, unite dallo stesso saper fare italiano, possiamo parlare al mondo con una voce coesa. Con questo Forum desideriamo trasmettere fiducia, ottimismo e senso di responsabilità alle generazioni attuali e future, affinché possano proseguire nel solco della tradizione, valorizzando il genio creativo e produttivo che distingue il Made in Italy. Il nostro focus è chiaro: rafforzare la competitività delle nostre imprese. Perché se la qualità, soprattutto nella moda, è spesso considerata un dato acquisito, oggi è necessario confrontarsi con uno scenario europeo complesso, fatto di normative difficili da recepire, che richiedono preparazione, visione strategica e coesione”.
Guglielmo Gennaro Auricchio, Presidente Giovani Federalimentare: “Il confronto trasversale tra settori strategici è fondamentale per condividere esperienze, visioni e affrontare insieme le sfide di un mondo in continua evoluzione. Crediamo fermamente che il futuro del Made in Italy passi attraverso la sinergia e la collaborazione con le altre eccellenze manifatturiere del Paese ed eventi come quello di oggi ci permettono di riflettere sullo straordinario valore del Made in Italy riconosciuto in tutto il mondo grazie alle scelte di milioni di consumatori. Come Giovani di Federalimentare siamo pronti a dare il nostro contributo per crescere e costruire insieme questo futuro nel segno della tradizione, dell’innovazione e della sostenibilità”.
Filippo Santambrogio, presidente Giovani FederlegnoArredo, aggiunge: “Il forum Creare Futuro va oltre la singola filiera, perché solo facendo sistema tra le eccellenze italiane possiamo costruire un modello di impresa più competitivo, inclusivo e capace di attrarre i talenti di domani. È un’occasione concreta di un confronto trasversale per affrontare sfide comuni e per condividere esperienze e visioni tra settori strategici del Made in Italy che insieme rappresentano il cuore manifatturiero e l’eccellenza del nostro Paese in un mondo sempre più complesso ed in costante evoluzione. Tramite competenze diverse vogliamo rafforzare un’identità imprenditoriale italiana che sia aperta, collaborativa e proiettata al futuro, perché il Made in Italy non è solo un marchio: è un’eredità da innovare, insieme”.
I settori rappresentati costituiscono una colonna portante dell’economia italiana, sia per valore generato che per impatto occupazionale. La filiera legno-arredo registra un fatturato annuo superiore ai 51 miliardi di euro, mentre la filiera pelle supera i 30 miliardi. Il settore alimentare, vero gigante del Made in Italy, raggiunge invece la soglia dei 197 miliardi di euro.
Anche sotto il profilo occupazionale i numeri sono rilevanti: quasi 300mila addetti operano nel legno-arredo, circa 150 mila nella filiera pelle e ben 467 mila nel settore alimentare.
Sul fronte dell’export, il 2024 è stato un anno da record per il comparto alimentare, che ha toccato i 56,8 miliardi di euro, con un incremento dell’8,6% rispetto al 2023. La filiera pelle ha totalizzato 25 miliardi di euro di esportazioni, mentre il settore legno arredo ha raggiunto quota 19,4 miliardi.
Confindustria Accessori Moda
Confindustria Accessori Moda è la Federazione che riunisce le associazioni cui fanno riferimento i comparti chiave della filiera pelle italiana: calzaturiero (Assocalzaturifici), pelletteria (Assopellettieri), abbigliamento in pelle e pellicceria (AIP), concia (Unic concerie italiane). La Federazione tutela quella filiera di eccellenza che ha reso l’industria degli accessori moda Made in Italy grande nel mondo. Il suo ruolo è la difesa e la valorizzazione di tutto quel saper fare, creativo e tecnico, che in Italia produce ricchezza, cultura e crescita sociale.
Federalimentare
Federalimentare è la Federazione italiana dell’industria alimentare e delle bevande. Fondata nel 1982, rappresenta e tutela gli interessi delle imprese del settore, a livello nazionale, europeo e internazionale. La Federazione promuove qualità, sicurezza alimentare e competitività del food and beverage Made in Italy, nonché un modello alimentare equilibrato e sostenibile, nell’ambito di corretti stili di vita. Federalimentare sostiene la vocazione all’export delle aziende e preserva le produzioni alimentari italiane da imitazioni (Italian sounding) e contraffazioni, rispondendo alle esigenze del mercato e dei consumatori e favorendo la ricerca e l’innovazione, nel pieno rispetto della tradizione.
FederlegnoArredo
FederlegnoArredo è la Federazione italiana delle industrie del legno, del sughero, del mobile, dell’illuminazione e dell’arredamento. Dal 1945 difende il saper fare italiano, sostiene lo sviluppo delle imprese, ed è ambasciatrice del gusto italiano dell’abitare in tutto il mondo. All’interno di FederlegnoArredo sussistono varie articolazioni merceologiche, che rappresentano tutte le componenti della filiera legno-arredo, dalla materia prima al prodotto finito. FederlegnoArredo partecipa all’affermazione di un sistema imprenditoriale innovativo, internazionalizzato, sostenibile e capace di promuovere la crescita economica, sociale, civile e culturale del Paese.





Prof. LUCA PIRETTA
Gastroenterologo e Nutrizionista – Università Campus Biomedico di Roma
Insieme a un corretto stile di vita, seguire una dieta sana, varia e bilanciata è fondamentale per poter vivere in salute e prevenire alcune patologie. Questo il risultato a cui sono giunti gli studi scientifici rivolti a comprendere come prevenire le più importanti malattie dei paesi occidentali come l’obesità e le patologie ad essa correlate come diabete, malattie cardiovascolari e tumori.
Il dilagare dell’obesità ha un’origine multifattoriale e vede tra i principali fattori una cattiva educazione alimentare e comportamentale. Purtroppo, e ingiustamente, la risposta dietetica che viene spesso messa in atto è quella di ridurre gli zuccheri o carboidrati (“carbofobia”, paura dei carboidrati) e di aumentare le proteine (diete Atkins e Scarsdale negli anni Settanta e, più di recente, Dukan e Paleolitica).
Una corretta educazione alimentare si basa sul concetto che i nutrienti non sono intercambiabili e ciò spiega perché sia sbagliato sostituire gli zuccheri con le proteine, come sostengono alcune diete poco salutari.
I carboidrati e i lipidi svolgono un ruolo prevalentemente energetico e solo in piccola parte funzionale. Le proteine, al contrario, sono destinate a compiti plastici e di funzionalità, e solo in caso di forzata necessità possono essere utilizzate a fini energetici. Se si segue una dieta eccessivamente iperproteica e, di conseguenza, con pochi carboidrati, succede che l’organismo si vede obbligato a sopperire alla carenza di “benzina” (gli zuccheri, appunto) bruciando le proteine ingerite o, peggio ancora, cannibalizzando le strutture nobili come i muscoli, per produrre quel glucosio mancante ma essenziale, in quanto alimento quasi esclusivo per la sopravvivenza e il buon funzionamento delle cellule cerebrali e dei globuli rossi. I carboidrati, inoltre, rappresentano il combustibile di elezione per i muscoli durante l’attività̀ fisica soprattutto nelle prime fasi dell’attività aerobica e, quindi, sono essenziali per lo sportivo. Un’alimentazione eccessivamente iperproteica è sconsigliabile anche perché affatica fegato e reni, obbligati a lavorare di più per smaltire i composti azotati derivati dalla scomposizione molecolare delle proteine, che sarebbero altrimenti tossici per l’organismo.
La fonte privilegiata dei carboidrati è rappresentata dai cereali perché forniscono prevalentemente carboidrati complessi che hanno un impatto minore sull’aumento della glicemia e sulla stimolazione della secrezione insulinica. Sappiamo che i cereali integrali rispetto a quelli raffinati forniscono un plus in termini di fibre, sali minerali e vitamine e hanno un impatto più favorevole sullo stato di salute. Questo concetto ha portato purtroppo alla demonizzazione delle farine “bianche” considerate pericolose per la salute. Fermo restando il concetto che le farine integrali hanno un profilo nutrizionale più completo rispetto a quelle bianche, il reale impatto di queste ultime sullo stato di salute non sembra assolutamente dimostrare una correlazione tra il loro consumo e l’incidenza di patologie.
In una review del 2020 sono stati valutati i rapporti tra consumo di cereali raffinati e impatto sulla salute. Sono stati presi in considerazione un totale di 135 articoli e nella grande maggioranza dei casi non sono state riscontrate associazioni tra il consumo di alimenti a base di cereali raffinati e malattie cardiovascolari, diabete, aumento di peso o mortalità generale. L’insieme delle evidenze dimostra che il consumo dei raffinati, fino al 50% del totale di cereali (senza elevati livelli di grassi, zuccheri o sodio aggiunti), non è associato ad alcun aumento del rischio di malattie, sebbene resti valida la raccomandazione di aumentare il consumo di cereali integrali per raggiungere una quantità superiore alla metà del consumo complessivo di cereali. (1)
Le linee guida dietetiche raccomandano di aumentare il consumo di cereali integrali e allo stesso tempo di limitare il consumo di alimenti a base di cereali raffinati e/o arricchiti ma le ricerche emergenti suggeriscono che alcuni cereali raffinati potrebbero far parte di un modello alimentare sano. Un gruppo di esperti si è riunito per esaminare i dati pubblicati a partire dalla pubblicazione delle linee guida dietetiche americane del 2015 ed elaborare una consensus conclusiva. Sulla base di una tavola rotonda, il gruppo di esperti ha raggiunto un consenso sul fatto che 1) i cereali integrali e quelli raffinati possono fornire un contributo nutritivo significativo ai modelli alimentari, 2) i cereali integrali e raffinati contribuiscono alla densità dei nutrienti, 3) l’arricchimento e il potenziamento dei cereali rimangono vitali per garantire l’adeguatezza dei nutrienti nella dieta americana, 4) non esistono solide prove scientifiche a favore del fatto che i cibi a base di cereali raffinati siano collegati al sovrappeso e all’obesità e 5) esistono lacune nella letteratura scientifica per quanto riguarda i cereali e la salute. (2)
Il comitato che ha definito le linee guida dietetiche americane del 2015 ha raccomandato che per migliorare la qualità della dieta, la popolazione statunitense dovrebbe sostituire la maggior parte dei cereali raffinati con cereali integrali. Questa raccomandazione si basava in gran parte sui risultati di studi che esaminavano modelli dietetici complessivi e non gruppi alimentari separati. Un modello dietetico occidentale in genere include carne rossa processata, cibi e bevande zuccherati, patatine fritte e latticini ad alto contenuto di grassi, nonché cereali raffinati, e questo modello alimentare è stato collegato ad un aumento del rischio di molte malattie croniche. Tuttavia, quando questi cibi sono stati valutati come categorie alimentari distinte, 11 meta-analisi di studi di coorte prospettici, che includevano un totale di 32 pubblicazioni con dati da 24 coorti distinte, hanno dimostrato che l’assunzione di cereali raffinati non è associata ad un aumento della mortalità per tutte le cause, ma neanche per le singole malattie come diabete tipo 2, malattie cardiovascolari, malattia coronarica, ictus, ipertensione o cancro. Il consumo di cereali raffinati fino a 6-7 porzioni/giorno (1 porzione = 30 g) non è stato associato a un rischio più elevato di malattia cardiovascolare, diabete, ipertensione o di morte di qualunque causa. Inoltre, l’assunzione totale di cereali è stata associata a un rischio inferiore di mortalità per tutte le cause. Di conseguenza, la raccomandazione di ridurre l’assunzione di cereali raffinati basata sui risultati di studi che collegano un modello alimentare occidentale a numerosi effetti negativi sulla salute non è suffragata da un corpo sostanziale di prove scientifiche pubblicate. La ricerca futura deve valutare meglio l’impatto dell’assunzione di cereali raffinati separata da altre abitudini alimentari per consentire una corretta definizione dei benefici dei cereali integrali rispetto ai cereali raffinati. (3)
In conclusione, possiamo affermare che quello che sembra essere importante per una dieta sana è consumare una quantità adeguata di cereali. Tra questi, quelli di farina integrale hanno una composizione nutrizionale più ricca e il loro consumo dovrebbe essere incentivato perché attualmente è molto scarso, ma il consumo in quantità adeguata di quelli raffinati non sembra essere correlato in modo evidente ad un maggior rischio di patologia.
Bibliografia
- Papanikolaou Y, Do Refined Grains Have a Place in a Healthy Dietary Pattern: Perspectives from an Expert Panel Consensus Meeting. Curr Dev Nutr 2020;4:nzaa125.
- Williams PG, Evaluation of the evidence between consumption of refined grains and health outcomes doi:10.1111/j.1753-4887.2011.00452.x Nutrition Reviews®
- Gaesser GA, Perspective: Refined Grains and Health: Genuine Risk, or Guilt by Association? AdvNutr 2019;10:361–371.