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Sicurezza alimentare, una priorità per l’industria alimentare italiana e per i consumatori

La sicurezza alimentare da sempre è al vertice delle priorità dei consumatori che, soprattutto nell’era del post Covid, si dimostrano più attenti a ciò che consumano, alla qualità dei prodotti e agli impatti del processo produttivo. Accanto a questo requisito preliminare e irrinunciabile, viene riconosciuta crescente importanza alla sostenibilità e alla capacità delle scelte alimentari di contribuire al benessere nell’ambito di una dieta equilibrata e di stili di vita corretti: si tratta di aspetti al centro delle politiche nazionali e comunitarie dedicate al settore agroalimentare rilanciate dalla strategia Farm to Fork dell’UE, che andrà declinata e implementata con un approccio equilibrato e realistico, nel rispetto dei tre pilastri della sostenibilità: ambientale, economico e sociale.  

Fra i 27 Stati membri dell’Ue, l’Italia è la Nazione che maggiormente ha investito e investe nella “sicurezza alimentare”, tanto che le industrie del food & beverage applicano standard elevatissimi in materia, dedicando capitoli di spesa specifici proprio per garantire la sicurezza dei prodotti. Risorse economiche e know-how ma anche ricerca e innovazione, controlli, tracciabilità degli alimenti e dei loro ingredienti e dei materiali a contatto, informazione al consumatore e comunicazione sono i driver per promuovere e garantire la sicurezza dei prodotti alimentari in risposta alle esigenze dei consumatori.  

Secondo i dati più recenti, più di 3 miliardi di euro, pari a oltre il 2% del fatturato dell’industria alimentare è stato dedicato nel 2021 alla sicurezza dei prodotti, mentre ammontano a 10 miliardi di euro (8% del fatturato) gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo, in buona parte destinati a sicurezza, qualità e continuo miglioramento delle caratteristiche nutrizionali dei prodotti. Accanto all’aspetto finanziario, c’è il capitale umano: oltre 85.000 persone che l’industria alimentare impegna ogni giorno in attività di analisi e controllo sicurezza e qualità; le stime sui dati delle imprese del Sistema Associativo Federalimentare, quantificano in circa 2,8 milioni al giorno le analisi realizzate in autocontrollo, per 1 miliardo di analisi all’anno, cui si aggiungono 700.000 controlli ufficiali da parte delle Autorità competenti.

In materia di controlli pubblici finalizzati a garantire la sicurezza alimentare, poi, l’Italia può contare su un sistema all’avanguardia e strutturato, che vede lavorare in sinergia le Autorità centrali, a partire dal Ministero della Salute insieme agli altri Organismi e Amministrazioni funzionalmente competenti – con il sistema delle Regioni e delle Autorità sanitarie dislocate sul territorio e con gli operatori del settore alimentare, per garantire una filiera produttiva sicura, e conforme al rigido quadro delle norme UE e nazionali. 

Il consumatore, in qualità di destinatario finale del prodotto, diventa parte integrante della filiera, con un ruolo centrale per l’efficace funzionamento del sistema di sicurezza alimentare. Tale funzione si esplica nelle fasi di acquisto, conservazione, manipolazione, preparazione e consumo di un prodotto alimentare. È infatti nella responsabilità individuale del consumatore verificare le informazioni in etichetta, come ad esempio la data di scadenza e la presenza di allergeni, conservare correttamente gli alimenti, nonché segnalare eventuali anomalie alle aziende produttrici oppure alle autorità competenti. E sono proprio i consumatori i giudici più attenti del prodotto finale, e i beneficiari ultimi dei grandi investimenti realizzati dall’Industria degli alimenti e delle bevande in sicurezza, qualità e sostenibilità per fornire loro prodotti eccellenti e guadagnarsi la loro fiducia.

Autore: Comitato di Redazione

Il ruolo delle etichette alimentari quali veicolo del consumo consapevole

In un panorama dove è sempre più vasta e diversificata la scelta di quello che possiamo mettere sulle nostre tavole, la necessità di un’informazione trasparente, chiara, completa, rappresenta una delle aspettative più importanti del consumatore, che non si presenta più come un soggetto passivo che subisce il mercato, ma anzi chiede di essere messo in condizione di fare scelte sempre più consapevoli.

Il veicolo principale di questo tipo di comunicazione, che mette insieme informazioni e immagine del brand adeguandosi di volta in volta alle normative, al mercato e alla società, è l’etichetta alimentare. 

Anche se cambiano i suoi colori e i suoi formati, che da tabelle possono diventare codici a barre o QR code da leggere tramite gli smartphone, l’etichetta permette di conoscere in modo immediato le caratteristiche dei prodotti che acquistiamo e consumiamo.

La necessità di avere un consumatore più informato e consapevole è particolarmente sentita anche dalle istituzioni, sia a livello nazionale che europeo, soprattutto in tema di etichettatura nutrizionale, laddove il comportamento alimentare è riconosciuto come uno dei fattori di prevenzione di malattie legate precipuamente alla nostra epoca, ovvero le c.d. malattie non trasmissibili quali malattie cardiovascolari, tumori, diabete.

La conoscenza delle qualità e caratteristiche nutrizionali degli alimenti, infatti, diventa uno strumento importante per offrire al consumatore tutti gli elementi utili per seguire diete sane e bilanciate contribuendo in questo modo a garantirgli sia il diritto alla corretta informazione che alla salute. Ed è proprio in funzione di questo nobile scopo che, negli ultimi anni, abbiamo assistito all’accendersi del dibattito intorno alla c.d. etichettatura nutrizionale fronte pacco (detta FOP). 

La fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori è disciplina armonizzata a livello europeo e le sue regole sono stabilite all’interno del Regolamento UE 1169/2011, una vera e propria Bibbia del settore, con lo scopo di garantire pari condizioni agli operatori del mercato unico ma anche coerenza informativa a tutti i consumatori dell’UE.

In ambito di etichettatura nutrizionale, il Regolamento stabilisce che sull’etichetta di tutti gli alimenti pre-imballati vada obbligatoriamente inserita la c.d. dichiarazione nutrizionale (il più delle volte rinvenibile nel retro confezione sotto forma di tabella) di modo che il consumatore possa conoscere le calorie nonché le quantità dei principali nutrienti contenuti nel prodotto che si appresta ad acquistare. Inoltre, il Regolamento stabilisce anche che è possibile riportare in modo volontario alcune di queste info fronte pacco per una più immediata visualizzazione da parte del consumatore.

In quest’ultimo caso parliamo di sistemi di etichettatura FOP, sistemi che la Commissione Europea ritiene possano giocare un ruolo importante nell’aiutare il consumatore a seguire diete più sane ed equilibrate e, per questo, vorrebbe presentare una proposta legislativa che proponga uno schema unico ed armonizzato a livello europeo.

Tale volontà – manifestata all’interno della c.s. Strategia Farm to Fork – ha aperto un acceso dibattito su quale dovesse essere lo schema FOP europeo soprattutto in considerazione del fatto che – negli ultimi anni – diversi schemi si sono diffusi nei i vari stati membri, in alcuni casi anche completamente antitetici gli uni agli altri.

È il caso della ormai nota diatriba fra il NutrInform (lo schema creato e sostenuto dall’Italia) ed il Nutri-Score (lo schema creato e sostenuto dalla Francia), diatriba al centro della quale c’è proprio il diritto del consumatore a ricevere un’informazione corretta che aumenti le proprie conoscenze nutrizionali e lo metta nelle condizioni di seguire diete più salutari.

Dunque, a fronte di una comunicazione semplice ed immediata come quella fornita dal Nutri-Score – che è un sistema che giudica i singoli alimenti attraverso una scala cromatica che va dal verde al rosso sulla base dei quantitativi di alcuni nutrienti ivi contenuti – si contrappone un sistema come il NutrInform– che, invece, è più descrittivo e parte dal presupposto opposto per il quale non sono i singoli alimenti ad essere “buoni” o “cattivi” di per sé ma che a contare siano le quantità e le frequenze di assunzione da valutarsi nell’arco della dieta giornaliera.

Di fatto una delle più importanti e sentite critiche mosse verso lo schema francese è proprio quella di semplificare eccessivamente le informazioni finendo per restituire una comunicazione che più che semplice diventa semplicistica e che, più che offrire uno strumento informativo al consumatore consapevole, gli dice banalmente cosa comprare e consumare relegandolo più a soggetto passivo dell’informazione (ovvero che si limita a reagire allo stimolo visivo del colore senza pensare) piuttosto che renderlo il soggetto attivo e consapevole che ci si aspetterebbe e auspicherebbe avere in una società di diritti matura come quella dell’Unione Europea.

Autore: Comitato di Redazione

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