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ECOMONDO: Giansanti (Confagricoltura) e Pierini (Federalimentare) sulla necessità di rafforzare la competitività dell’agroalimentare europeo

Si è tenuta oggi a Ecomondo, nell’ambito dell’iniziativa “I Driver per una filiera agricola più forte e competitiva: tra tradizione e innovazione, circolarità, transizione energetica”, organizzata da Confagricoltura con Federalimentare, Enea e il Comitato Scientifico di Ecomondo, la tavola di confronto che ha visto intervenire Pierre Bascou, rappresentante della Dg Agri della Commissione europea, Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, Giangiacomo Pierini, vicepresidente con delega all’ambiente di Federalimentare e Elena Sgaravatti, vice presidente di Assobiotech. Il dibattito si è focalizzato sulla necessità di rafforzare il sistema cibo in Europa, anche alla luce degli scenari che si delineeranno con la nuova presidenza americana, facendo leva sull’innovazione per ridurre l’impronta ecologica.

“Siamo chiamati a costruire nuovi modelli produttivi, in uno scenario in cui l’Europa pone obiettivi di sviluppo sostenibile molto sfidanti. L’ecosistema europeo, tuttavia, deve essere in grado di confrontarsi e competere con attori di grandi dimensioni come gli Stati Uniti e la Cina. Certamente i nuovi paradigmi devono continuare a tutelare l’ambiente ma dobbiamo chiederci dove portano le transizioni che stiamo mettendo in atto. Serve una direzione decisa, orientata alla competitività. Confagricoltura ha un’idea chiara: quella di un’agricoltura sempre più produttiva, grazie al digitale, alla scienza, alla ricerca e alle tecnologie applicate. Siamo di fronte a stravolgimenti epocali. Il cambiamento climatico è innegabile.  Abbiamo bisogno di un’agricoltura europea che torni in prima linea nel mercato globale. Il modello italiano, ad esempio, a livello ecologico è uno dei più virtuosi. Restituiamo all’ambiente oltre il 92% dell’acqua che utilizziamo. Ora dobbiamo mettere gli agricoltori nelle condizioni di produrre di più e sempre meglio, in linea con gli ottimi standard di qualità e sicurezza che già garantiamo” così ha dichiarato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura.

Giangiacomo Pierini, vice presidente di Federalimentare: “Nel quadro al centro del dibattito di oggi sono molte le sfide aperte: a partire dalla tecnologia che sostiene la Green economy e che richiede un cambio di visione.  Come settore agroalimentare abbiamo la consapevolezza di avere un ruolo importante nel raggiungimento di obiettivi strategici per il futuro dell’economia globale. A partire dalla produzione di cibo di qualità per una popolazione mondiale in esplosione, alla protezione degli ecosistemi, ma c’è un tema fondamentale che non possiamo sottovalutare ed è quello della competitività, una precondizione vitale per le nostre imprese con la necessità di una maggiore visione sia a livello europeo sia a livello nazionale, anche alla luce delle nuove sfide che dovremmo aspettarci dalla nuova amministrazione Trump e dai mercati asiatici”.

Dai formaggi ai dolci, dal vino ai salumi, il nostro Paese continua a conquistare i palati di tutto il mondo. Se sarà confermato infatti il trend dei primi sette mesi dell’anno (+9,3%), l’export di settore raggiungerà a fine 2024 un nuovo record assoluto.  

L’export dell’industria alimentare, dopo un 2023 in cui ha raggiunto quota 52,2 miliardi, raddoppiando in dieci anni il suo valore, conferma quindi una spinta vigorosa per l’intera economia nazionale, con una crescita che a fine 2024 può toccare i 57,0 miliardi, con una quota aggiuntiva di 4,8 miliardi.

Un risultato straordinario in un contesto internazionale debole, in cui il commercio esprime un modesto +1,6% sull’anno precedente.

Se le stime saranno confermate dall’andamento di fine anno, sommando ai 57,0 miliardi dell’industria alimentare gli 11 miliardi prevedibili per il settore primario, l’export agroalimentare 2024 potrebbe raggiungere la quota complessiva di 68 miliardiavvicinando il grande traguardo di 70 miliardi.

Sul gennaio-luglio 2024, fra i prodotti più ricercati all’estero, emergono quelli appartenenti all’enologico, con 5,0 miliardi di euro di export; al dolciario, con 4,3 miliardi; al lattiero caseario, con 3,4 miliardi; all’oleario, con 2,6 miliardi; al pastaio, con 2,5 miliardi; alla trasformazione degli ortaggi, con 2,5 miliardi.  

Mangiare italiano è sinonimo di qualità, raffinatezza, gusto. Sono doti che mettono d’accordo i Paesi più importanti del mondo. Tra i mercati che amano in modo speciale i nostri prodotti, svettano gli Stati Uniti. La crescita di questo mercato nei primi sette mesi dell’anno è molto significativa, con un valore export di oltre 4,4 miliardi di euro, un + 19,7% sullo stesso periodo 2023 e una quota del mercato estero di settore pari al 13,5 %. Primeggia ancora comunque la Germania, che continua ad essere leader in classifica, con 4,6 miliardi (+5,3% sui primi sette mesi 2023) e una quota di mercato del 14,2%. Le esportazioni di settore 2024 si consolidano anche nei paesi a ridosso dei primi due, e cioè in Spagna (+9,2%), nel Regno Unito (+7,0%), e in Francia (+4,0%).  

Non è un risultato casuale: premia un settore che salvaguarda e riunisce in sé i valori iconici di un patrimonio inestimabile di cultura, qualità e bontà del Made in Italy.

Roma, 24 ottobre 2024

Informativa ex art.13 Reg.UE 679/2016: http://www.italcommunications.it/wp-content/uploads/2024/06/Informativa-privacy-clienti-rev_00_2024.pdf

IL CAFFE’: FORSE NON TUTTI SANNO CHE…

Prof. LUCA PIRETTA

Gastroenterologo e Nutrizionista

 Università Campus Biomedico di Roma

Il caffè, la bevanda nazionale italiana per eccellenza, secondo un’indagine condotta da AstraRicerche risulta essere la bevanda più diffusa in Italia. Tra i 18-65enni ben il 96,6% consuma, almeno saltuariamente, caffè o bevande a base di caffè o che lo contengono; nessuna variazione rispetto alla rilevazione precedente del 2014 che riscontrava il 96,5%.

I comportamenti più diffusi sono bere 2-3 caffè al giorno (38.2%) o 3-4 al dì (38.3%) con una media di poco inferiore ai tre (2,75: il consumo è lo stesso per uomini e donne mentre cresce al crescere dell’età, è più elevato nel Sud e nelle grandi città.

Il caffè continua ad essere consumato prevalentemente a casa propria (90,3% ed era 89,4% nel 2014), ma sono molteplici i luoghi in cui lo si beve. 

Il caffè contiene oltre 900 sostanze, la più studiata delle quali è la caffeina. Sono però presenti anche proteine, lipidi, carboidrati (solubili ed insolubili), minerali, vitamine e soprattutto polifenoli con importanti proprietà antiossidanti. La tostatura cui il caffè è sottoposto può ridurre la presenza o l’attività di molte di queste sostanze. Tra i principali antiossidanti presenti nel caffè si trovano i polifenoli, presenti oltre che nel caffè anche in una grande varietà di alimenti, in particolare nella frutta e nella verdura. I polifenoli sembrano agire non solo come antiossidanti ma anche come attivatori di meccanismi protettivi endogeni dell’organismo.

Tra le azioni attribuibili ai polifenoli del caffè va ricordato l’effetto antinfiammatorio, ritenuto oggi essenziale per la prevenzione cardiometabolica (aterosclerosi, diabete), ma anche nei confronti di patologie degenerative di natura oncologica e neurologica (demenze). Sembra che ai polifenoli del caffè si possa attribuire anche una riduzione della capacità digestiva dei carboidrati complessi, come gli amidi, in di- e mono-saccaridi, che ridurrebbe i picchi glicemici e insulinemici post-prandiali: l’effetto sarebbe mediato dall’inibizione dell’alfa-amilasi, enzima intestinale che digerisce gli amidi di pasta, pane e patate. I polifenoli del caffè influenzerebbero infine la composizione del microbiota intestinale con effetti positivi da un punto di vista prebiotico a favore dello sviluppo di batteri utili all’organismo. 

La sostanza che a tutti viene subito in mente appena si parla di caffè è la caffeina. La caffeina (presente anche nel tè, nel cacao ed aggiunta ad alcune bibite) ha effetti noti sul sistema nervoso centrale, con aumento dello stato di allerta e riduzione della tendenza al sonno; migliora l’efficienza muscolare, induce un transitorio aumento della frequenza cardiaca ed il rilassamento di bronchi e bronchioli. Inoltre, la caffeina sembra avere un ruolo importante nella salvaguardia della memoria come si evidenzia in uno studio pubblicato su Scientific Reports in collaborazione tra l’Istituto di Medicina Molecolare di Lisbona e l’Inserm di Lille (Francia) che dimostra che la caffeina antagonizza specifici recettori adenosinici, gli A2A, iperespressi in presenza di decadimento cognitivo.

Per la presenza di importanti quantità di caffeina i pediatri raccomandano di non dare caffè ai bimbi sotto i 12 anni, nei quali può provocare comportamenti iperattivi, diminuzione dell’appetito, difficoltà ad addormentarsi, palpitazioni, tachicardia ed enuresi notturna. Dopo i 12 anni è permessa una tazzina al giorno, ma non di sera perché potrebbe provocare disturbi del sonno.

Il contenuto di caffeina nella tazza varia in funzione della modalità di preparazione. Ma, come si vede dalla tabella, questa differenza può essere azzerata o addirittura invertita dalla quantità di bevanda ingerita. 

CONTENUTO DI CAFFEINA PER DOSE DI BEVANDA
Espresso o moka40-80mg per tazzina
Caffè americano115-120 mg per tazza
Caffè istantaneo65-100 mg per tazza
Decaffeinato< 5mg per tazzina
Cappuccino70-80 mg per tazza
Cioccolata30-40 mg per barretta da 60gr.
40-50 mg per tazza
Bevande tipo cola35-50 mg per lattina
Bibite energetiche con caffeina o guaranà50-100 mg per lattina

Sebbene nel caffè americano la caffeina sia meno concentrata che nell’espresso, data la maggior quantità di bevanda che si ingerisce, alla fine la quantità assunta è maggiore nel primo. 

Nel caffè decaffeinato gli effetti benefici dei polifenoli rimangono, si perdono però gli effetti stimolanti sul SNC della caffeina.

Da notare che la capacità di metabolizzare la caffeina e regolata geneticamente e inoltre, essendo questa un induttore enzimatico, i suoi effetti siano sono molto differenti tra consumatori occasionali (maggiore frequenza di tremori, insonnia, nervosismo, insonnia) e abituali (dove gli effetti collaterali sono quasi assenti) perché la sua possibilità di essere eliminata dall’organismo aumenta con la frequenza del consumo.

Vediamo quali sono gli effetti del caffè sull’organismo:

1. Caffè e rischio patologie cardio-vascolari

Il caffè esercita un effetto protettivo non lineare rispetto al rischio di malattie cardiovascolari. In dettaglio, il rischio di patologie cardiovascolari è inferiore nei soggetti che consumano 3-5 tazze al giorno, rispetto ai non consumatori; il consumo di 6-10 tazze non aumenta il rischio cardiovascolare, ma oltre le 10 tazze giornaliere questo rischio aumenta.

Attenzione: il caffè fa aumentare la pressione arteriosa. Pertanto, gli ipertesi devono usarlo con parsimonia

2. Caffè e apparato gastro-intestinale

Le xantine contenute nel caffè hanno un effetto irritante sulla mucosa gastrica ed effetti inibitori sullo sfintere inferiore dell’esofago, il che accentua il reflusso gastroesofageo. Tuttavia, in positivo, il caffè esercita un ruolo protettivo sulla permeabilità della barriera intestinale grazie all’azione positiva sul microbiota, soprattutto nel caso di una dieta ricca in grassi. 

3. Caffè e salute del fegato

Contrariamente a quanto si crede, il caffè nero protegge il fegato. Bere due tazze supplementari di caffè al giorno comporta una riduzione del 44% del rischio di sviluppare cirrosi epatica di qualsiasi natura (da virus, alcol, steatosi, ecc.). 

4. Caffè e diabete mellito

L’analisi di numerosi studi sul rapporto tra caffè e diabete pubblicata come review dal titolo “Coffee consumption and reduced risk of developing type 2 diabetes: a systematic review with meta-analysisha evidenziato che il consumo di caffè – sia decaffeinato che con caffeina – riduce il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 di circa il 30%. Una relazione di notevole interesse, vista la crescente diffusione mondiale della malattia, associata a numerose complicanze ad alto impatto economico e sociale sia sull’individuo che sul sistema sanitario. In questa pubblicazione sono stati analizzati 30 studi scientifici su una popolazione complessiva di oltre 1,2 milioni di persone per meglio comprendere come il consumo di caffè influisca sullo sviluppo del diabete di tipo 2 e delle complicanze ad esso associate. L’associazione risulta essere dose-dipendente: il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 diminuirebbe, rispettivamente, del 7% (in caso di caffè con caffeina) e del 6% (in caso di caffè decaffeinato) per tazza al giorno. In particolare, la riduzione del rischio di diabete di tipo 2 di nuova insorgenza sembra essere leggermente maggiore con il caffè non decaffeinato. I meccanismi biochimici della bevanda che intervengono sul rischio di diabete di tipo 2 sembrano essere legati alle sostanze antiossidanti contenute nel caffè in grado di ridurre lo stress ossidativo, associato, oltre che a numerosi effetti avversi sulle funzioni cardiovascolari, metaboliche e renali, anche all’insorgenza di diabete di tipo 2.

5. Caffè, demenze (Alzheimer) e malattie neurodegenerative

Già in passato alcuni lavori avevano dimostrato le proprietà del caffè nel potenziare la memoria a lungo termine (ad esempio una ricerca pubblicata su Nature Neuroscience nel 2014). Più recentemente, i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista The Journal of Gerontology, suggeriscono che circa tre caffè (espresso) al giorno (pari a un consumo di circa 261 milligrammi di caffeina) potrebbero proteggere dalla demenza. Rispetto a chi consuma non più di 64 milligrammi di caffeina al giorno (che grosso modo è pari a un espresso – il cui contenuto in caffeina varia da 47 a 75 mg – o a metà di una caffettiera da due tazzine di moka) – coloro che ne consumano 261 milligrammi al giorno presentano un rischio di ammalarsi di demenza o di deficit cognitivo ridotto del 36%.

Un consumo moderato di caffè in età adulta sembra incidere positivamente sulle demenze, tra cui l’Alzheimer. 

6. Caffè, salute mentale e disordini psichiatrici

Il caffè sembra influire positivamente anche su salute mentale e disordini psichiatrici, diminuendo i sintomi depressivi e il rischio di suicidi, in particolare nelle donne. Effetto che sembra attribuibile alla caffeina.

7. Interazione caffeina-farmaci

La caffeina amplifica l’attività di alcuni farmaci per la cura dell’asma (broncodilatatori). In secondo luogo, provocando un aumento della frequenza cardiaca, interagisce negativamente con alcune terapie antipertensive. Può inoltre interagire negativamente con alcuni farmaci per la cura l’insonnia.

Alcuni antibiotici, poi, incrementano il livello di caffeina in circolo nell’organismo. In questi casi sarebbe opportuno ridurre la quantità ingerita nell’arco della giornata.

La caffeina interagisce anche con alcuni farmaci utilizzati in ambito psichiatrico, aumentando il rischio di effetti collaterali.

Infine, il caffè interferisce con l’assorbimento della levotiroxina

8. Il caffè NON serve per dimagrire

Il caffè non serve per dimagrire. Ad alte dosi, può anche portare perdita di peso ma per una condizione patologica di iperattività e ipermetabolismo, e comporta il rischio di gravi effetti collaterali.

9.Il caffè e lo sport. 

Una review pubblicata nel 2019 suggerisce che l’assunzione di caffeine migliora le performance sportive in un’ampia gamma di attività, sebbene quelle a trarne il maggior beneficio sono quelle aerobiche. Gli effetti ergogenici sono evidenti sulla resistenza e forza muscolare, sulla potenza anaerobica e sull’endurance aerobica.   

Agrifoodtech in Italia enormi potenzialità ma pochi finanziamenti 

Roma, mercoledì 16 ottobre 2024 – Creare nuove opportunità strategiche per la catena del valore agroalimentare del Made in Italy attraverso investimenti nella transizione tecnologica che stimolino un legame virtuoso tra imprese ed ecosistema delle startup e dell’innovazione. È questo l’obiettivo del convegno promosso al Senato in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione da Federalimentare, Riello Investimenti Sgr con il suo fondo Linfa e dal Centro di Ricerca Luiss X.ITE, dal titolo “Federalimentare guarda al futuro. La transizione tecnologica dell’agroalimentare Made in Italy”. Il tema chiaveè la transizione tecnologica dell’agroalimentare, un processo ineludibile e non procrastinabile per mantenere la global leadership del nostro Paese, potenziando al contempo sostenibilità e competitività delle imprese italiane.

Filiera del cibo in Italia

Secondo i dati più recenti del Rapporto Federalimentare-Censis, il settore agroalimentare aggregato, che comprende agricoltura, industria, distribuzione e ristorazione, con i settori di beni e servizi interdipendenti in una logica B2B (business-to-business), genera oltre 600 miliardi di euro di fatturato, contribuisce a circa il 32% del PIL, ha 1,3 milioni di imprese e più di 3,6 milioni di occupati, con una crescita di tutti i principali indicatori di performance confermata anche nel 2023 (+7,1% del fatturato, + 6,6% dell’export). Inoltre, la catena del valore dell’agroalimentare italiano non è solo rappresentata dall’eccellenza dei prodotti alimentari e dai suoi marchi Doc, Igp e Docg, ma anche dalla tecnologia manifatturiera (primo comparto del manifatturiero italiano), dalla leadership nella produzione di impianti di trasformazione e di packaging, dalla capacità logistica e, non ultimo, da brevetti e innovazioni esportati in tutto il mondo.

Il G7 e il contributo della Scienza e dell’Innovazione alla sostenibilità

Al recente “G7 – Agricoltura e Pesca” è stata, ancora una volta, sottolineata la necessità di investire responsabilmente in agricoltura sostenibile e in sistemi alimentari in grado di fornire cibo sicuro, e di qualità per tutti, riducendo le perdite e gli sprechi alimentari, dalla produzione al consumo. La filiera globale del cibo, infatti, produce circa il 32% dei gas serra totali (fonte FAO 2024), non può quindi esserci una lotta al riscaldamento globale che non passi per la trasformazione della filiera agroalimentare. In questo scenario, il documento finale del G7 ribadisce il contributo che la scienza e l’innovazione possono dare per mitigare il cambiamento climatico e per rispondere alla domanda di cibo sicuro a livello globale. Il ruolo dell’innovazione tecnologica nell’accompagnare la transizione dell’agroalimentare, insomma, è una indiscussa priorità per mantenere la leadership globale della filiera del cibo italiano.

Ecosistema Agrifoodtech in Italia

A fronte di queste enormi opportunità, l’ecosistema dell’innovazione Agrifoodtech in Italia è ancora in una fase embrionale. Il 2023 ha visto investimenti complessivi per circa 250 milioni di euro (Fonte: AGfunder), significativamente inferiori agli investimenti in startup innovative del settore Agrifoodtech nei principali paesi europei, e incomparabile rispetto alla Silicon Valley. Inoltre, un’analisi di Forward Fooding ha indicato che l’Italia è al 4° posto in Europa per numerosità di startup Agrifoodtech, ma solo al 10° per capitali raccolti.

Osservatorio sulla transizione tecnologica dell’agroalimentare

La partnership tra Federalimentare, il fondo Linfa gestito da Riello Investimenti Sgr e il Centro di Ricerca Luiss X.ITE nasce quindi con l’obiettivo di creare un legame virtuoso tra imprese ed ecosistema delle startup e dell’innovazione, al fine di stimolare crescita dell’innovazione e scala economica della nuova imprenditorialità tecnologica. Il tutto, col fine ultimo di accelerare l’adozione di nuove tecnologie e sviluppare un ecosistema che sostenga lo sforzo innovativo che tutte le imprese italiane stanno affrontando. Uno sforzo che dovrà essere gestito con ancora maggiore vigore a partire da una maggiore consapevolezza dell’ecosistema delle startup e delle tecnologie per la trasformazione dell’agroalimentare Made in Italy. Ragione per cui Federalimentare promuove con il Centro di Ricerca Luiss X.ITE e il contributo del fondo Linfa gestito da Riello Investimenti Sgr un “Osservatorio sulla Transizione Tecnologica dell’Agroalimentare Made in Italy”.

Per il Presidente di Federalimentare Paolo Mascarino“Siamo consapevoli che la strada per continuare a essere competitivi sui mercati globali non possa prescindere dall’innovazione tecnologica per continuare a produrre cibo di qualità, sicuro e sostenibile, di gusto unico e inimitabile. La competitività e la concorrenza a livello globale sono le sfide che ci attendono, e l’industria alimentare italiana deve sostenere e far crescere il suo vantaggio competitivo. Il “Rapporto Draghi” sulla competitività europea ha richiamato la responsabilità degli Stati membri a promuovere sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina. Questo messaggio non deve rimanere inascoltato, ma attuato. E per innovare con successo, le imprese hanno bisogno del contributo delle università, dei centri di ricerca, di politiche pubbliche di sostegno alla ricerca e delle istituzioni finanziarie. Per questo Federalimentare ha deciso di avviare e sostenere l’Osservatorio sulla Transizione Tecnologica dell’Agroalimentare Made in Italy, in collaborazione con il Centro Ricerche X.ITE dell’Università Luiss, e anche di collaborare con il Fondo Linfa di Riello Investimenti Sgr, dedicato al sostegno dell’innovazione sostenibile del settore agroalimentare. Queste attività, unite alle altre iniziative in corso con il Cluster CLAN Agrifood, saranno fondamentali per le imprese del nostro settore, per continuare a innovare e restare competitivi sui mercati internazionali”.

Secondo Nicola Riello, Founder e Presidente di Riello Investimenti Sgr: “Il settore agroalimentare ricopre un ruolo di primo piano per l’economia italiana e anche nei nostri investimenti è trasversalmente presente in tutte le asset class che gestiamo. In questo momento storico, in cui 

assumono particolare rilevanza le transizioni tecnologica e ambientale, riteniamo che sia particolarmente importante investire sul tema delle tecnologie nell’agroalimentare ed è su questo 

presupposto che abbiamo deciso di ampliare la gamma dei fondi gestiti con il fondo Linfa, estendendo così il nostro intervento a realtà più giovani, dinamiche e in forte crescita. 

Siamo onorati della collaborazione con Federalimentare. Insieme riusciremo a raggiungere due importanti obiettivi comuni: lo sviluppo e la crescita dell’ecosistema dell’Agrifoodtech in Italia e la mappatura dei progressi attraverso un Osservatorio appositamente formato presso l’università Luiss di Roma. Ciò ci consentirà di contribuire ulteriormente allo sviluppo del Sistema Paese Italia e di offrire ai nostri investitori sempre nuove opportunità di investimento di grande qualità.”

Per Marco Gaiani, Founder & Partner del Fondo Linfa gestito da Riello Investimenti Sgr: “In Italia ci sono tutte le condizioni per la creazione di un ecosistema innovativo nel food di livello europeo: talenti, imprenditorialità diffusa, tradizione e cultura del cibo, know how industriale e Università di ottimo livello. Questa sfida è ancora più importante se si prende in considerazione il ruolo che l’innovazione può giocare per la transizione della filiera agroalimentare italiana verso modelli più sostenibili di produzione e distribuzione.  Come Team di Linfa – primo fondo italiano focalizzato sull’Agrifoodtech a impatto ambientale – intendiamo dare il nostro contributo di competenze e capitali per andare in questa direzione. La partnership con Federalimentare è un tassello fondamentale di questa strategia”.

Michele Costabile, Università Luiss “Guido Carli” di Roma, Direttore del Centro di Ricerca Luiss X.ITE su tecnologie e comportamenti di mercato, ha affermato: “Siamo onorati di essere ancora una volta al fianco di Federalimentare nell’esplorare una delle più importanti transizioni tecnologiche per il nostro Paese. Intendiamo, infatti, servire le migliaia di imprese dell’agroalimentare Made in Italy, fornendo periodici report e outlook sulle dinamiche della trasformazione tecnologica e sull’ecosistema dell’innovazione. E riteniamo che, anche grazie alla partnership con il team del fondo Linfa, potremo produrre risultati connotati da rigore metodologico e rilevanza per il business. L’Osservatorio sostenuto da Federalimentare adotterà diversi modelli di classificazione delle innovazioni agrifoodtech per servire tanto la business community quanto la comunità degli innovatori e quella degli investitori in agrifoodtech. Il tutto rafforzando attraverso conoscenze condivise e momenti di confronto periodico quelle connessioni che servono a rendere l’Agrifoodtech made in Italy un ecosistema di valore globale”.

Gian Marco Centinaio, Vicepresidente del Senato, ha inviato una lettera al Presidente di Federalimentare Mascarino, rilevando che “Federalimentare guarda al futuro” “non è un titolo programmatico, è già una realtà. L’iniziativa è un passo in più nella giusta direzione, perché mette insieme il mondo delle imprese, quello della finanza e quello della ricerca. In Italia abbiamo eccellenze in tutti e tre i campi. Il quarto soggetto in questo confronto devono essere le Istituzioni. In Parlamento siamo riusciti a dare il via libera alle TEA, abbiamo tutelato la qualità dei nostri prodotti, riconosciuto il principio che l’agricoltore è il primo custode del territorio, allontanato lo spettro della sugar tax. Sono esempi concreti, che dimostrano come sia importante che pubblico e privato continuino a lavorare insieme per valorizzare la filiera agroalimentare made in Italy. Sono certo che Federalimentare saprà mantenere quello sguardo rivolto al futuro, che ha sempre caratterizzato la sua azione”.

Per l’On. Alessandro Morelli, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Coordinamento della Politica Economica e di Programmazione degli Investimenti Pubblici): “Il settore agroalimentare italiano rappresenta una delle eccellenze mondiali e ha la possibilità di guidare una vera rivoluzione produttiva grazie alle nuove tecnologie. Le potenzialità sono immense: 

l’agricoltura di precisione, l’uso dei big data, l’intelligenza artificiale e la blockchain possono migliorare l’efficienza delle aziende agricole, ridurre gli sprechi, e garantire ai consumatori una tracciabilità completa e trasparente dei prodotti. È essenziale investire in formazione e ricerca, collaborando con università, centri di innovazione e imprese private, affinché le soluzioni più avanzate siano applicabili anche alle realtà agricole più tradizionali, senza lasciare indietro nessuno. Questa transizione tecnologica, tuttavia, deve avvenire all’insegna della sostenibilità che sappia coniugare i costi economici con quelli sociali. Non possiamo più permetterci un modello produttivo che ignora l’impatto ambientale e che non vada di pari passo con la tutela del lavoro. Oggi le tecnologie ci offrono strumenti che permettono di conciliare produttività e rispetto per l’ambiente per cui la transizione verso un settore agroalimentare più tecnologico, sostenibile e competitivo è un percorso che dobbiamo affrontare con visione strategica e spirito di collaborazione. La sinergia tra pubblico e privato, sostenuta da politiche istituzionali lungimiranti, è la chiave per garantire che il nostro agroalimentare non solo continui a rappresentare un’eccellenza a livello globale, ma diventi un modello di innovazione e sostenibilità per tutto il mondo”.

Secondo l’On. Massimo Bitonci, Sottosegretario al Ministero delle Imprese e del Made in Italy: “L’agroalimentare è un settore estremamente importante in termini di fatturato per il Made in Italy, comprensivo di tutte le aziende che operano nella produzione e nella trasformazione, ambiti nei quali l’Italia è tra i maggiori Paesi europei e non solo. L’innovazione è uno dei principali fattori di sviluppo delle imprese e l’agroindustria, senza dubbio, rappresenta una delle nostre eccellenze. Il settore purtroppo è colpito da quello che viene chiamato “italian sounding’, cioè il tentativo di copiare i prodotti italiani. Le politiche messe in campo dal Governo vanno nella direzione di contrastare tali pratiche e proteggere le nostre imprese”.

Per Alessio Conforti, Responsabile Origination e Relazioni Istituzionali per l’Italia, Grecia, Malta, Cipro e Turchia del Fondo europeo per gli investimenti (FEI, parte del Gruppo BEI): “La proposta avanzata dal Fondo Linfa ha subito raccolto l’attenzione del Gruppo BEI per via dell’unicità con cui la stessa è stata articolata. Il focus su innovazione e AgriFood, il team dedicato, e la forte capacità di valorizzare le migliori realtà Italiane nell’agroalimentare, ha permesso al FEI di completare positivamente la propria due diligence e divenire l’anchor investor del Fondo. Siamo certi che altri investitori riscontreranno nelle loro valutazioni le stesse caratteristiche che rendono il fondo un’eccellenza Europea”.

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Federalimentare

Fondata nel 1982, all’interno di Confindustria, la federazione ha l’obiettivo di sostenere la crescita e lo sviluppo dell’Industria italiana degli Alimenti e delle Bevande. Alla Federazione oggi aderiscono 13 associazioni di categoria che raggruppano 6.850 imprese produttive impegnate a promuovere l’eccellenza alimentare del Made in Italy. Oggi l’industria alimentare è la prima manifattura del Paese con 195 miliardi di fatturato ed è impegnata al fianco delle Istituzioni italiane nel promuovere un modello alimentare sano, equilibrato e sostenibile, basato sui requisiti di sicurezza e di qualità, ed anche nel sostenere la vocazione all’export delle nostre imprese, per portare sulle tavole del mondo i valori della cultura gastronomica italiana, preservando dalle imitazioni e dalle contraffazioni le eccellenze alimentari Made in Italy.

Riello Investimenti SGR

Riello Investimenti SGR è una società di gestione del risparmio indipendente, attiva da 25 anni nel settore degli investimenti di private capital nelle migliori PMI italiane. Offre agli investitori un solido track record e opportunità di investimento multistrategy nelle asset class del private equity, del private debt e più di recente del growth capital. A maggio 2024 ha avviato il fondo Linfa, specializzato sul settore dell’Agrifoodtech, contando su un parterre di investitori di grande rilievo, tra i quali Fondo Europeo degli Investimenti, come anchor Investor, e primari investitori istituzionali, family office e gruppi industriali. Linfa è un Impact Fund e la sua ambizione è quella di supportare soluzioni imprenditoriali che coniugano importanti potenzialità di crescita con un contributo concreto alla mitigazione del cambiamento climatico, all’utilizzo sostenibile delle risorse, alla prevenzione o riduzione dell’inquinamento e alla promozione della transizione verso un’economia circolare. Gli investimenti sosterranno la crescita e lo sviluppo di PMI del settore agroalimentare in fase late stage e growth e con un elevato livello di innovazione di processo, di prodotto e/o di servizio – www.rielloinvestimenti.it

Luiss – X.ITE

È il Centro di Ricerca dell’Università Luiss che interviene sulle dinamiche interazioni fra Tecnologia e Comportamenti di Mercato. Fondato e diretto dal Professor Michele Costabile, fornisce guida e supporto ai leader di imprese e istituzioni attraverso attività di ricerca azionabile e trasformativa (engaged research) su innovazione e cambiamenti di mercato e organizzativi mediati dalle tecnologie. In questa prospettiva opera quale Knowledge Transfer Office in linea con la c.d. terza missione degli Atenei – http://xite.luiss.it/it/

“È con grande piacere che desidero rivolgere i nostri complimenti più sinceri e auguri di buon lavoro a Massimiliano Giansanti eletto presidente del Copa, il Comitato delle organizzazioni professionali agricole che rappresenta oltre 22 milioni di agricoltori in Europa”. È quanto dichiara in una nota il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.

“Questo riconoscimento – prosegue – dimostra la professionalità e la competenza del Presidente Giansanti riconosciuta in questi anni alla guida di Confagricoltura e, al tempo stesso, attribuisce all’Italia un ruolo centrale in Europa per le future scelte che investiranno il comparto in un momento di grandi cambiamenti”.

“Per tutto il settore agroalimentare italiano questa scelta è di assoluto valore, ed è un riconoscimento che premia la nostra capacità di essere uniti, credibili e pragmatici dimostrando ancora una volta che l’agroalimentare è un settore virtuoso che concorre all’agenda di sviluppo del Paese”, conclude Mascarino.

G7 Agricoltura, Mascarino (Pres. Federalimentare): “Sfide globali per accesso a cibo sicuro e di qualità”

“Siamo orgogliosi di rappresentare al G7 Agricoltura e Pesca l’industria alimentare italiana portando al centro del dibattito una sfida comune che ci vede impegnati nel garantire sicurezza alimentare, producendo cibo sicuro e di qualità”. Lo ha dichiarato il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino in occasione del G7 Agricoltura e Pesca di Ortigia.

“Siamo conosciuti nel mondo come dei trasformatori di alimenti sicuri, la nostra industria, in termini di fatturato, è la prima manifattura in Italia e, in un contesto internazionale come il G7 è importante trasmettere un messaggio di fiducia e di responsabilità sociale verso i cittadini e i consumatori che ci chiedono di coniugare alla nostra storia e alle nostre tradizioni, l’innovazione, la scienza e la ricerca tecnologica”. 

“In occasione della Giornata Mondiale della Sicurezza Alimentare da un’indagine elaborata dall’Istituto Piepoli – ha continuato Mascarino – emerse con chiarezza come per gli italiani la scienza, la tecnologia e l’innovazione fossero le soluzioni migliori per contrastare i rischi legati alla sicurezza alimentare e in un appuntamento come il G7, questi temi rivestono un carattere di priorità a livello globale”. 

“Una priorità tracciata dagli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU che prevede lo sviluppo sostenibile del Pianeta e che ci sprona a produrre alimenti sostenibili e per tutti. Come industria siamo consapevoli che gli investimenti nella scienza e nella tecnologia sono gli asset strategici sui quali puntare se vogliamo che la domanda crescente di cibo proveniente dai Paesi in via di sviluppo e dal Sud del Mondo venga soddisfatta. Sono in atto cambiamenti epocali che non riguardano più il singolo Paese ma la nostra capacità di essere competitivi e credibili nei mercati globali. Garantire dunque, alle popolazioni l’accesso al cibo ben fatto, sicuro e di qualità – ha aggiunto – è fra le priorità dell’industria alimentare e come tale sappiamo il ruolo che svolgiamo e che dovremo continuare a svolgere al fianco delle Istituzioni in una sfida di sistema che ci vede da sempre impegnati su questi temi”. 

“Per Federalimentare partecipare al G7 portando il proprio contributo di esperienza e di affidabilità è stato motivo di grande responsabilità e per queste ragioni – conclude Mascarino – desidero ringraziare il ministro Schillaci per la sensibilità mostrata sul tema della sicurezza alimentare e il ministro Lollobrigida per averci offerto l’opportunità di portare all’attenzione dei leader del G7 il contributo dell’industria alimentare italiana sulle sfide globali che ci attendono con una visione pragmatica che per noi è il miglior modo per costruire un’agenda di priorità per lo sviluppo del Paese, per le future generazioni e nelle relazioni internazionali”.

“Federalimentare esprime il suo apprezzamento per la nomina di Raffaele Fitto quale Vicepresidente esecutivo della Commissione Europea, con delega alla Coesione e alle Riforme”. Lo dichiara in una nota il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.

“Per l’Italia, per il mondo delle imprese e dell’industria aver ottenuto una vice presidenza esecutiva di così grande prestigio è certamente motivo di orgoglio. Nelle prossime sfide che la nuova Commissione dovrà affrontare, infatti, quella della coesione europea sarà fondamentale per costruire un’Europa più vicina ai cittadini, colmando le differenze economiche, sociali e territoriali attuali che ne hanno limitato la produttività. Una coesione – prosegue Mascarino – che non può prescindere dall’innovazione e della competitività che saranno le due leve per raggiungere gli obiettivi della transizione verde e digitale sulle quali l’Italia e l’Europa sono chiamati a dare risposte nell’interesse comune e che, siamo certi, sapranno trovare in Raffaele Fitto un ottimo interlocutore”. 

“Aver ottenuto una Vicepresidenze esecutiva alla Commissione Europea – conclude Mascarino – è una vittoria per l’Italia e per il nostro sistema Paese al quale viene riconosciuta autorevolezza, credibilità e affidabilità”.

INTOLLERANZA AL LATTOSIO: LA VERA DIMENSIONE DEL PROBLEMA

Prof. LUCA PIRETTA

Gastroenterologo e Nutrizionista

 Università Campus Biomedico di Roma

L’intolleranza al lattosio viene spesso confusa con l’allergia al latte, ma si tratta di due fenomeni molto diversi tra loro. L’allergia è più frequente in età infantile e la sua frequenza diminuisce con l’età, mentre la maggior parte (~il 70%) della popolazione mondiale non esprime, in età adulta, l’enzima (lattasi) necessario per idrolizzare il lattosio, e quindi digerire questo zucchero nei due monosaccaridi che lo compongono, il glucosio e il galattosio, e questa carenza dà origine all’intolleranza al lattosio.

La lattasi non è un enzima costitutivamente espresso in abbondanza nel piccolo intestino dei mammiferi. Il neonato umano, ad esempio, possiede livelli molto bassi di lattasi. Questo fatto non deve sorprendere: le madri non producono infatti latte a partire dal primo giorno. La sua produzione inizia dal secondo giorno (con circa 50 ml), aumentando gradualmente di 50 ml/die in parallelo con l’aumento dell’espressione di lattasi nell’intestino del neonato (durante i primi 2 giorni il fabbisogno energetico del neonato è coperto dall’autofagia del tessuto embrionale non più necessario).

La maldigestione del lattosio da parte degli adulti, dovuta all’assenza di lattasi è quindi molto frequente, e rappresenta la norma tranne che in Nord Europa o in Nord America, dove il fenotipo mutante della persistenza della lattasi in età adulta è al contrario la situazione più diffusa.

Perché si possa parlare di intolleranza al lattosio, tuttavia, debbono essere presenti sintomi specifici associati al consumo di lattosio, conseguenti alla fermentazione batterica del lattosio non digerito che raggiunge il colon. La carenza di lattasi comporta la “maldigestione” del lattosio, che di conseguenza porta al suo “malassorbimento”. Solo quando il malassorbimento del lattosio dà origine a dei sintomi (dolori addominali, gonfiore, diarrea ecc.) allora siamo in presenza di “intolleranza” al lattosio. Il malassorbimento del lattosio può essere diagnosticato facendo ingerire una dose standard (25 gr) di lattosio a digiuno e misurando poi l’idrogeno espirato (breath test): elevati livelli di idrogeno nel respiro sono causati dalla fermentazione batterica del lattosio non digerito. Altri strumenti di diagnostica includono la misurazione dell’attività della lattasi in un campione di biopsia intestinale o test genetici per il polimorfismo comunemente legato alla non-persistenza della lattasi, ma queste ultime metodiche diagnostiche non hanno un grande valore nella pratica clinica. In ogni caso può essere poco indicativo anche il breath test al lattosio se durante l’esame non vengono valutati i sintomi del paziente ma ci si affida esclusivamente alla comparsa del picco di idrogeno espirato come purtroppo invece accade abitualmente. Questo dato indica un malassorbimento e non necessariamente uno stato di intolleranza. Viceversa, molti pazienti riferiscono comparsa di sintomi durante l’esame in assenza di una evidenza di malassorbimento. Questo a dimostrazione del fatto che la semplice associazione tra ingestione del lattosio e comparsa dei sintomi porta troppo spesso all’erronea autodiagnosi. Infatti, spesso i sintomi sono una conseguenza della presenza di una sindrome dell’intestino irritabile o di una allergia alle proteine del latte o di una avversione psicologica agli alimenti contenenti lattosio piuttosto che di una vera intolleranza al lattosio.

Dimostrare un malassorbimento di lattosio non indica pertanto che l’individuo in questione svilupperà necessariamente i sintomi e quindi una intolleranza.

Molte variabili determinano se una persona che assorbe male il lattosio riporterà sintomi: tra queste la dose di lattosio ingerita, l’attività residua della lattasi intestinale, la co-ingestione di cibo con il lattosio, la capacità del microbiota intestinale di fermentare lattosio, e la sensibilità individuale ai prodotti di fermentazione del lattosio.

Molte persone attribuiscono erroneamente i sintomi di diversi disturbi intestinali all’intolleranza al lattosio, senza eseguire un test specifico. Questo equivoco diventa intergenerazionale quando i genitori con intolleranza al lattosio auto-diagnosticata mettono i loro bambini a dieta senza lattosio (anche in assenza di sintomi) nella convinzione che i bambini svilupperanno sintomi se viene loro dato lattosio. Tra le persone con diagnosi certa di intolleranza al lattosio, diversi fattori tra cui l’attività residua della lattasi, la velocità di svuotamento gastrico, la formazione di metaboliti batterici fecali, la capacità di assorbimento attraverso la barriera epiteliale e il tempo di transito intestinale possono modificare anche notevolmente la suscettibilità allo sviluppo di sintomi di intolleranza dopo l’ingestione di alimenti e di bevande contenenti lattosio. 

Gli individui con malassorbimento di lattosio possono tollerare grandi quantità di lattosio se ingerito con i pasti e distribuito durante l’arco di tutta la giornata. Alcuni dati suggeriscono che l’ingestione frequente di lattosio aumenta la quantità di lattosio tollerabile sia dagli adulti sia dagli adolescenti. In ogni caso è importante tenere presente che non trattandosi di una allergia ma di una intolleranza, nei casi realmente diagnosticati si è di fronte a una condizione nella quale i sintomi sono dose-dipendenti e pertanto piccole quantità (come quelle che sono rappresentate dagli eccipienti di compresse e farmaci) non possono mai dare origine alla sintomatologia, mentre invece accade spesso che i pazienti consapevoli di una loro intolleranza sospendono autonomamente una terapia o rifiutano l’assunzione di un determinato farmaco a loro prescritto. Se si considera che la quantità di lattosio utilizzata nel breath test per fare diagnosi di intolleranza è di 25g mentre la quantità di lattosio presente in un bicchiere di latte o in un vasetto di yogurt o in 100g di ricotta non supera i 5g è facile comprendere come spesso i sintomi che compaiono durante l’esecuzione del test, difficilmente si manifestano con l’assunzione abituale dei cibi che contengono il lattosio. Pertanto, molto spesso un paziente con diagnosi di intolleranza al lattosio potrebbe tranquillamente consumare con moderazione alimenti utili alla salute contenenti lattosio dei quali invece si priva sulla base dei risultati del test. Va sottolineato che l’assunzione del lattosio in un soggetto intollerante non causa nessuna patologia o danno al di fuori dei sintomi che la carenza di lattasi è in grado di generare. 

L’uso di latte delattosato e/o di prodotti lattiero caseari a basso tenore di lattosio permette l’assunzione di tutti quei  macro- e micronutrienti in essi contenuti senza incorrere nei disturbi gastrointestinali conseguenti la carenza di lattasi.      

In conclusione, la condizione di intolleranza al lattosio consiste nella presenza di un malassorbimento sintomatico. Spesso viene diagnosticata (o peggio autodiagnosticata) con troppa facilità senza che siano state valutate con attenzione le varie diagnosi differenziali. La carenza dell’enzima non deve automaticamente indurre a eliminare dall’alimentazione latte e derivati in quanto questi alimenti apportano nutrienti molto importanti alla nostra salute. Nei soggetti con diagnosi certa è fondamentale individuare la quantità necessaria a stimolare i sintomi e provare a garantire una alimentazione completa rimanendo al di sotto di tale soglia di lattosio. È importante ricordare che i formaggi stagionati e lo yogurt non contengono lattosio in quantità sufficienti a determinare la comparsa della sintomatologia del paziente e che esistono latti delattosati e anche prodotti a base di lattasi che possono essere utilizzati per non rinunciare al latte e ai formaggi freschi.

“Il piano Transizione 5.0, presentato ieri dal Ministro Adolfo Urso è una ottima notizia ed una grande opportunità per le imprese e per il comparto dell’industria che potranno veder riconosciuto un credito d’imposta nell’ambito di progetti di innovazione rivolti ad una riduzione dei consumi energetici, finalizzati a centrare gli obiettivi di decarbonizzazione e a rendere le nostre imprese più sostenibili”. È quanto dichiara il Presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino. 

“Con questo nuovo strumento, da noi fortemente auspicato sin dall’avvio dei lavori del Tavolo Mimit-Masaf per le politiche industriali del settore agroalimentare, le imprese avranno la possibilità di avviare un percorso verso un modello energetico sempre più efficiente, sostenibile, con minore impatto ambientale e basato su fonti rinnovabili, rendendo così le aziende più autonome dalle fluttuazioni dei costi dell’energia. L’impegno economico fra fondi europei e nazionali è davvero significativo (12.7 miliardi di euro per il biennio 2024-2025; 6,3 miliardi di euro, provenienti dal programma RePower EU e 6,4 miliardi, previsti dalla legge di bilancio) e di questo dobbiamo ringraziare il Governo e il ministro Urso per aver mostrato grande attenzione e sensibilità verso un settore primario e strategico del Paese”, – prosegue Mascarino.  

“Rendere maggiormente competitiva l’industria grazie alla possibilità di investire in impianti energetici più sostenibili e di poter produrre energia rinnovabile – aggiunge Mascarino – è una delle grandi sfide che come Italia abbiamo l’obbligo di conseguire e certamente il combinato disposto delle due iniziative, siamo certi, abbatterà i costi industriali e migliorerà ulteriormente l’impatto ambientale e la produttività rendendo le imprese del settore alimentare ancora più competitive sui mercati internazionali”, conclude il Presidente di Federalimentare.

CONOSCERE GLI ALIMENTI PER UN CORRETTO ABBINAMENTO A TAVOLA

Prof. LUCA PIRETTA

Gastroenterologo e Nutrizionista

 Università Campus Biomedico di Roma

Chi vuole essere attento alla propria alimentazione e cerca alimenti salutari e genuini per poter seguire un regime alimentare sano e “preventivo” non si deve mai dimenticare che abbinare in modo corretto gli alimenti rappresenta una condizione importante per non rischiare di vanificare le proprie scelte. Gli abbinamenti alimentari possono condizionare gli effetti sull’assorbimento e sul metabolismo dei nutrienti sia in senso positivo che in senso negativo.

Iniziamo sfatando uno dei miti più radicati nelle credenze popolari, ovvero quello che porta a credere che non si possano associare carboidrati e proteine. Per smentire questo mito basterebbe pensare che gli alimenti che mangiamo più frequentemente e che rappresentano la base della dieta mediterranea, mi riferisco ai cereali, sono naturalmente composti da zuccheri e proteine insieme. Inoltre, nessuno ha mai dimostrato che fare una dieta dissociata, separando i carboidrati dalle proteine possa avere alcun benefico per la salute. Nella pasta il 12-15% dei nutrienti è rappresentato dalle proteine e quindi anche la pasta mangiata da sola non può essere considerata “carboidrati senza proteine”. 

Per rimanere sui cereali possiamo affermare che uno degli abbinamenti più classici e salutari è quello rappresentato dall’unione tra pasta e fagioli oppure tra riso e piselli. Infatti, le proteine vegetali sono in genere carenti di alcuni aminoacidi essenziali, ma abbinando pasta e legumi si mescolano proteine carenti di un aminoacido essenziale come la lisina (scarso nella pasta ma abbondante nei legumi) con altre (quelle dei legumi) che lo contengono ma sono carenti di metionina a sua volta abbondante nelle proteine della pasta.

Un altro esempio positivo riguarda l’abbinamento dell’ananas o della papaia con le carni, in quanto la presenza della bromelina (enzima proteolitico) in quel tipo di frutta può favorire la digestione delle proteine. Sempre in ambito di combinazione virtuosa troviamo quella del limone, dell’arancia o del kiwi con la carne perché la presenza abbondante di vitamina C in questi frutti trasforma il ferro della carne dalla forma ferrica a quella ferrosa, più biodisponibile e quindi aiuta a migliorare l’utilizzo di questo importante minerale necessario per prevenire e curare varie forme di anemia.

Gli abbinamenti positivi non si fermano qui. Cosa c’è di più naturale di condire un pomodoro con l’olio extravergine di oliva? Il pomodoro contiene dei carotenoidi e in particolare il licopene con eccezionali proprietà antiossidanti. L’olio, da parte sua è il miglior grasso da condimento perché ha una composizione in acidi grassi che aiuta a ridurre il colesterolo cattivo e ad aumentare quello buono oltre a contenere un altro antiossidante straordinario che è la vitamina E. Messi insieme, olio e pomodoro potenziano il loro effetto; infatti, il licopene è liposolubile e quindi il suo assorbimento aumenta notevolmente in presenza di grassi come l’olio. In modo analogo, il pesce, soprattutto quello azzurro essendo ricco in omega 3, grassi molto utili e salutari, può essere un alimento che facilita l’assorbimento di alcune vitamine liposolubili come la A, la D, la E, e la K e di conseguenza le migliori associazioni potrebbero essere quelle che lo vedono abbinato con pomodoro, carote, rosso d’uovo e formaggi.

Ricordiamo anche che non c’è nessun motivo per non associare proteine vegetali con proteine animali ma anzi, per le loro differenti composizioni in aminoacidi, il nostro organismo necessita di entrambe in una proporzione equivalente, e quindi possiamo tranquillamente mangiare un panino con il formaggio oppure, una bistecca con i piselli senza alcun timore.

Ci sono invece alcuni abbinamenti che sono controproducenti. Ci sono infatti alcuni alimenti come i legumi (in particolare i fagioli ma anche la soia) che contengono molti fitati, sostanze che si legano ad alcuni minerali come, per esempio, il calcio e il ferro impedendone il loro assorbimento. Quindi attenzione all’abbinamento dei legumi con i formaggi o latticini soprattutto per chi soffre di osteoporosi o anemia perché è in grado di ridurre l’assorbimento di questi nutrienti. Quindi chi cerca i benefici del calcio mangiando formaggi, o del ferro, consumando la carne dovrebbe avere l’accortezza di non mangiare questi alimenti insieme ai legumi. 

Un discorso analogo riguarda alcune verdure come spinaci, bietola, pomodoro e sedano (oltre che di nuovo i legumi). Questi ortaggi contengono molti ossalati  che in modo simile ai fitati si legano con facilità a sali minerali come calcio, zinco e selenio interferendo in modo consistente nella loro biodisponibilità e quindi nella possibilità di utilizzo da parte dell’organismo.

Esistono, inoltre, alcune condizioni patologiche dove fare attenzione agli abbinamenti diventa molto importante per ridurre l’impatto negativo dell’alimentazione sui sintomi. Per esempio, per chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile gli abbinamenti da evitare sono la birra con la pizza (perché si sommano gli effetti di una probabile difficoltà alla digestione degli amidi con il gas della birra) oppure le patate con i legumi. Sia le patate che i legumi contengono amidi e zuccheri difficilmente digeribili oltre a sostanze come le lectine e agglutinine che rendono difficoltoso l’assorbimento delle proteine. Infine, la presenza di inibitori delle proteasi nei legumi può ostacolare il lavoro degli enzimi digestivi e quindi consumarli insieme ad alimenti ricchi di proteine potrebbe facilmente creare problemi a chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile.  

Chi soffre di emicrania dovrebbe evitare di abbinare vino e formaggio perché entrambi possono scatenare una crisi di cefalea, mentre per chi soffre di gonfiore addominale questo abbinamento può favorire la produzione di gas intestinale soprattutto se questi alimenti vengono consumati in un pasto ricco di brassicacee (cavoli, broccoli e cavolfiore). 

Chi è affetto da malattia da reflusso gastroesofageo dovrebbe rinunciare a combinare cioccolato, menta e liquirizia per ridurre il rischio dei classici disturbi di acidità e bruciore. Anche mescolare bevande gassate e agrumi può dare origine ai sintomi.

Anche il sonno può essere influenzato da certi abbinamenti alimentari, alcuni in positivo e altri in negativo. Per esempio, combinare alimenti come vino, formaggio e cioccolato può essere controproducente per chi soffre di insonnia perché contengono tiramina, aminoacido precursore dell’adrenalina che ostacola le varie fasi del sonno.

Al contrario, il latte nell’intestino di alcuni individui può dare origine alla comparsa delle casomorfine, sostanze che possono conciliare il sonno soprattutto se abbinate agli zuccheri o ad alimenti che contengono triptofano (precursore della serotonina) come le uova, le nocciole, le arachidi, i legumi o il pesce, o ad altri che contengono melatonina come funghi, semi di girasole e avena.

E alla fine arriva la frutta. Ma è vero che mangiata a fine pasto fa male alla salute? Sebbene non ci sia nessun fondamento scientifico per sconsigliare la frutta a fine pasto ci sono due situazioni nelle quali è meglio evitarla. 1) in una dieta dimagrante, perché togliendola dopo il pasto costa meno fatica avendo meno fame, e spostandola a metà mattina e a metà pomeriggio si aggiungono due spuntini quando se ne sente di più il bisogno senza aumentare l’apporto calorico. 2) in corso di “post prandial distress” condizione patologica nella quale è presente un rallentato svuotamento gastrico che si traduce in difficoltà a digerire e pesantezza di stomaco dopo mangiato.

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