Comunicato di mercoledì 10 giugno 2015
 

SCORDAMAGLIA: INVESTIRE SULL’INDUSTRIA ALIMENTARE PER IL RILANCIO DELL’ITALIA UNITI SI VINCE, MA AVANTI CON RIFORME STRUTTURALI PER COLMARE IL GAP DI COMPETITIVITÀ’ DEL PAESE

 

Assemblea Pubblica Federalimentare - 10 giugno 2015

In anni difficili per tutti, l’industria alimentare italiana ha dato un contributo esemplare di stabilità al Paese.
Più in salute sul fronte dell’occupazione dell’industria nel suo complesso, oltre il 50% degli imprenditori alimentari
(dati Format Research) hanno continuato a fare investimenti e vogliono continuare a farli.
E una ricerca Doxa ci dice che, nell’anno di EXPO, 6 italiani su 10 sono orgogliosi di vivere in Italia
proprio perché esprimiamo il cibo e le bevande più apprezzate del Pianeta.
Scordamaglia: “Riforme strutturali e moderne per rilanciare produzione, consumi interni
e consolidarsi sui mercati globali. Una politica fiscale che favorisca gli investimenti.
E basta per sempre ad una inossidabile ‘burocrazia del no’.”


Milano, 10 giugno 2015 - Se tre indizi fanno una prova, l’industria alimentare italiana a buon diritto si candida a leva di rilancio per fare uscire il Paese da una crisi da cui fatichiamo a riprenderci. Dal 2007 ad oggi, la produzione dell’industria alimentare ha perso solo 3 punti percentuali, a fronte dei 24 punti lasciati sul campo dall’industria italiana nel suo complesso. Il suo export è cresciuto della metà (+49,5%), contro il +9,9% di tutto il manifatturiero. E, mentre il Paese perdeva 927mila posti di lavoro, i livelli occupazionali del settore hanno tenuto, registrando un calo marginale di solo 20mila unità dal 2007 a oggi, legato peraltro al freno del turnover. Ma si vince questa sfida solo se chi fa impresa e chi ha responsabilità di Governo riescono ad agire uniti come Sistema Paese e come filiera.

Ed è, non a caso, “Uniti si vince” il tema dell’Assemblea Pubblica della Federazione dell’Industria Alimentare italiana, che con 54mila imprese, 385mila addetti (più altri 850mila indiretti della produzione agricola trasformata), un fatturato 2015 stimato in 134 miliardi di Euro (di cui quasi 29 derivanti dall’export) è il secondo comparto del manifatturiero. E che a EXPO ha discusso le strategie più efficaci per affermare il modello agroalimentare italiano sui mercati globali.

“L’alimentare italiano – spiega Luigi Scordamaglia, Presidente di Federalimentare - trae la sua forza nella eterogeneità delle tante sue componenti: PMI e grandi aziende, agricoltura, trasformazione industriale e distribuzione, Sud e Nord, sistema pubblico e settore privato. Eppure a volte queste realtà sembrano procedere ciascuna in direzione opposta e contraria, invece di valorizzare questo strumento unico e dalle enormi potenzialità come una filiera organica e coesa. A questo Governo, che ci ha già dato importanti e concreti segnali di sostegno, chiediamo di portare avanti riforme strutturali e durature per rendere ancora più competitivo il nostro settore: il Jobs Act è stato un primo importante cambio di passo, come anche aver allocato, nonostante la spending review, 70 milioni di Euro per la promozione e la difesa del made in Italy agroalimentare. Ora servono una politica fiscale che non deprima i consumi domestici e favorisca gli investimenti e una burocrazia meno farraginosa e autoreferenziale Il suo scopo è servire il Paese. Se lo manca, dovrebbe andare a casa.”



INVESTIMENTI: L’INDUSTRIA ALIMENTARE CREA VALORE, NON DELOCALIZZA, PUNTA SU INNOVAZIONE E SICUREZZA
L’immagine, distorta, antistorica e tutta Italiana, di un’industria omologatrice che appiattisce le proposte alimentari non rende giustizia alla grande capacità di innovazione delle nostre imprese nel venire incontro alle nuove esigenze di un consumatore sempre più globale. I dati di Federalimentare parlano chiaro: l’industria alimentare italiana non delocalizza (le sue radici sono ancorate al territorio e alla produzione agricola nazionale, di cui “lavora” oltre il 72% delle materie prime agricole necessarie). È attenta all’evoluzione degli stili di vita degli italiani e dei modelli alimentari, con la riformulazione di 4000 prodotti per ridurre il contenuto di nutrienti in eccesso, e il riporzionamento di altri 4.000. Ed è sempre più responsabile, sensibile ai temi della tutela dell’ambiente, della qualità del lavoro, degli sprechi alimentari: in 10 anni ha ridotto del 20% il consumo energetico, del 30% l’emissione di gas serra, del 40% la quantità di materie prime per imballaggi. Infine, con 2,4 miliardi di euro annui investiti per la sicurezza alimentare del prodotto e 10 miliardi di euro (8% del fatturato) dedicati a ricerca e sviluppo ha saputo coniugare la sapienza, le tradizioni, i localismi del modello alimentare italiano con la costante innovazione di processo e di prodotto. Tutti fattori che hanno reso accessibili le eccellenze agroalimentari italiane ad oltre 1,2 miliardi di consumatori mondiali, che ogni anno comprano un prodotto o una bevanda Made in Italy.

DOXA/FEDERALIMENTARE: 6 ITALIANI SU 10 ORGOGLIOSI DI VIVERE IN ITALIA PER LA QUALITÀ DEL CIBO
Secondo Scordamaglia, “queste prime settimane di EXPO confermano che il mondo in tema di agroalimentare guarda all’Italia, alla nostra filiera produttiva, alla nostra industria, come a un modello unico ed ideale da prendere come riferimento per know how, esperienza e sostenibilità. Ma questo feeling internazionale positivo è colto anche dagli italiani, almeno leggendo i risultati di una indagine che Doxa ha svolto nelle scorse settimane per Federalimentare: il 63% dei nostri connazionali intervistati dichiarano infatti di essere orgogliosi di vivere in Italia indicando tra le prime motivazioni di tale soddisfazione il cibo prodotto in questo Paese.”

EXPORT: OBIETTIVO 50 MILIARDI, GRAZIE AL SOSTEGNO DEL GOVERNO E ALLA VETRINA DI EXPO
Per realizzare le potenzialità del settore, c’è bisogno di colmare strutturalmente ed una volta per tutte il gap di competitività di cui il nostro Paese soffre. La prima grande sfida da vincere è l’internazionalizzazione. Perché fuori dai nostri confini ci sono i più ampi margini di crescita per il cibo italiano e per le nostre imprese. Nel 2014 l’export è stato positivo (+3,1%) anche se in rallentamento rispetto agli ultimi anni. E la quota complessiva 2015 dovrebbe sfiorare i 29 miliardi di euro (34,5 considerando anche la componente agricola). Ma il peso delle esportazioni sul fatturato dell’alimentare italiano (20,5%) è ancora distante da quello di Spagna (22%), Francia (28%), e Germania (32%).
L’obiettivo lanciato da Federalimentare insieme al Governo di arrivare entro la fine del decennio a toccare quota 50 miliardi di export, che garantirebbe un aumento degli occupati diretti ed indiretti di circa 100.000 unità, è raggiungibile solo con un coordinamento da parte delle Istituzioni nell’impiego delle risorse e nel contrastare i principali ostacoli alla competitività del settore: contraffazione, barriere tariffarie e non tariffarie, campagne aggressive verso il nostro modello alimentare mediterraneo.
“Questa volta il Governo sta facendo concretamente la sua parte – sostiene Scordamaglia. Trovando 70 milioni di Euro per l’agroalimentare nel piano made in Italy in un periodo di spending review, mettendo a punto il segno unico distintivo agroalimentare ‘The extraordinary italian taste’, facendo scelte nette sui mercati più promettenti di destinazione invece che facili destinazioni ‘a pioggia’, coordinando come mai prima MIPAAF, MISE e Ice. E dando vita a nuove e più efficaci modalità di collaborazione tra pubblico e privato per sostenere l’export e l’internazionalizzazione. D’altra parte, cercare di risolvere con normative nazionali problemi che necessariamente hanno bisogno di un approccio europeo, come l’origine delle materie prime è controproducente: introdurre obblighi o scorciatoie nazionali che appesantiscono ed ostacolano solo chi produce lavoro e reddito in Italia è un passo indietro per la nostra competitività rispetto a norme uniche che obblighino tutti i Paesi a rispettare le stesse regole. Su questo fronte in passato abbiamo avuto diversi motivi di discussione con le rappresentanze agricole. Ma la posta in gioco è troppo alta. Agricoltura e industria in questo paese sopravvivono o soccombono insieme.”

Ma cosa serve per raggiungere l’obiettivo 50 miliardi di export? Secondo uno studio Format Research per Federalimentare (v. focus 2) su un campione di 1000 imprenditori e manager del settore, gli elementi davvero propulsivi per centrare questo sfidante traguardo sono tre: un sostegno forte da parte del Governo per la valorizzazione generale del Made in Italy (56,2%), un supporto più puntuale e specifico rivolto a quelle imprese che intendono aggredire i mercati esteri (27,1%) e gli effetti positivi di EXPO (25%), la grande vetrina del nostro food&drink. Lo studio conferma che gli imprenditori del settore alimentare credono nel futuro del Paese e della propria azienda più dei “colleghi” di altri settori industriali e sono propensi a fare investimenti (più del 50% li ha fatti e continuerà a farli in innovazione e sulla qualità dei prodotti). Sempre che gli sia consentito di farli…

L’EREDITÀ DELLA CRISI: 7 ITALIANI SU 10 COSTRETTI A RIDURRE E MODIFICARE STRUTTURALMENTE GLI ACQUISTI ALIMENTARI
Se aumentare la nostra penetrazione nei mercati esteri è una via obbligata, non si può trascurare il mercato interno, dove la crisi di questi anni ha determinato una frenata dei consumi alimentari senza precedenti (-14 punti tra il 2007 e il 2013, cui ha fatto seguito un +0,0% nel 2014). Il primo quadrimestre del 2015 mostra che la ripresa dei consumi alimentari è timida e non uniforme: l’aumento medio del +0,3% nasconde una preoccupante forbice fra il +1,2% del nord-ovest e il -1,3% dell’Italia meridionale e insulare. Lo studio Doxa/Federalimentare, che ha intervistato un campione rappresentativo della popolazione italiana, ci dice invece che gli italiani alla ripresa non credono ancora del tutto: per 6 su 10 (62%) il timore è che la situazione non cambi nei prossimi mesi. Secondo la ricerca, 7 italiani su 10 affermano di essere stati costretti, proprio a causa dei vari rincari seguiti anche all’aumento dell’IVA e delle accise su alcuni prodotti di largo consumo, a ridurre i propri acquisti. E 2 su 10 pensano dovranno tagliare ancora la spesa per il cibo.

DETASSAZIONE E SEMPLIFICAZIONE BUROCRATICA PER INCENTIVARE LE AZIENDE E SOSTENERE I CONSUMI
“Sappiamo bene quanto sia rilevante la leva fiscale – commenta Scordamaglia -, sia per creare le condizioni per un rilancio dei consumi domestici, sia per assicurare alle imprese il contesto più favorevole alla crescita e alla creazione di nuova occupazione. Sul fronte del fisco è positiva la riduzione dell’Irap, la mancata difesa del reverse charge a Bruxelles, importante anche l’impegno del Governo a non attivare la clausola di salvaguardia sugli aumenti dell’IVA e accise sui prodotti alimentari, che riaffosserebbe immediatamente i consumi domestici. Ma la pressione fiscale sulle nostre imprese resta intollerabile e scoraggia gli investimenti.”

Secondo Federalimentare, fattori esterni come l’immissione di liquidità, l’indebolimento dell’Euro e la riduzione del prezzo del petrolio hanno creato i presupposti ideali perché la svolta definitiva possa avvenire. Ma il rischio di perdere nuovamente il treno della crescita è concreto. “Per rilanciare il Paese e il settore - afferma Scordamaglia - serve completare le riforme avviate rendendole strutturali e durature per quei fattori che condizionano negativamente il contesto competitivo nel quale le nostre imprese si trovano ad operare. In particolare, il problema numero uno di questo Paese è la macchina amministrativa e una burocrazia che giustifica con i suoi ‘no a prescindere’ la sua stessa esistenza. Le aziende che in questi anni hanno potuto investire, ne raccolgono oggi i frutti in termini di efficienza e competitività. Ma fare un nuovo investimento in questo Paese sta diventando uno sforzo improbo.” Questo Governo, secondo Federalimentare, ha fatto leggi giuste ma poi i provvedimenti attuativi fatti dai tanti troppi organi a cui è dato il potere di implementarli, ne snaturano senso e finalità.

JOBS ACT: PIACE A 1 AZIENDA ALIMENTARE SU 2. TRE AZIENDE SU 10 LO UTILIZZERANNO NEL 2015…
O LO HANNO GIÀ FATTO
Sul piano delle riforme, il Jobs Act è l’esempio da seguire di quelle norme e misure che ci avvicinano dopo anni di ritardo ai nostri competitor europei in tema di lavoro. Il Jobs Act rende più conveniente il contratto a tempo indeterminato ed è una scelta vincente che contrasta la precarietà, consente alle imprese, soprattutto quelle di un settore quale quello alimentare che ha bisogno di elevate professionalità, di investire sulle persone. Le aziende alimentari danno in netta maggioranza un giudizio positivo sul Jobs Act: il 50% lo promuove a pieni voti, il 10% lo aveva già utilizzato in aprile quando è stata effettuata la indagine per assumere a tempo indeterminato e un altro 15,8% pensa di utilizzarlo nel corso del 2015.
“È in questo nuovo scenario - conclude Scordamaglia - che inizieremo a breve il confronto con le organizzazioni sindacali per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale. E come parti sociali, anche noi saremo ora chiamati a dimostrare di saper osare e saper innovare.”