Comunicato di giovedì 4 novembre 2010
 

VIAGGIO NEL “GUSTO SOSTENIBILE” DEL MADE IN ITALY ALIMENTARE DOVE L’INNOVAZIONE SI SPOSA CON LA SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE

 

Lo testimoniano i dati presentati dal Centro Studi di Federalimentare, in occasione della 4ª edizione

Lo testimoniano i dati presentati dal Centro Studi di Federalimentare, in occasione della 4ª edizione di Apertamente dedicata al tema della sostenibilità ambientale.
In Italia, negli ultimi 10 anni, il settore alimentare ha contenuto le emissioni di CO2 di oltre il 30% e ha realizzato un risparmio energetico stimato nell’ordine del 15-20%.
Nello stesso arco di tempo, peso e volume degli imballaggi sono stati ridotti di oltre il 40%.
Ma non solo. Dal 1990 ad oggi, case history di importanti aziende documentano un risparmio idrico del 60-70%: se ieri per produrre un litro di soft drink servivano 6 o 7 litri d’acqua, oggi è possibile arrivare a utilizzarne poco meno di 2 litri…
Senza dimenticare l’attenzione rivolta alla ricerca: l’industria alimentare italiana spende circa 2 miliardi di euro l’anno per l’innovazione di prodotto e di processo.

Riduzione dei consumi di acqua di circa il 30/40% nell’arco degli ultimi venti anni. Un risparmio energetico di circa il 15/20% e tagli nell’intensità delle emissioni di CO2 di circa il 30% nel corso dell’ultimo decennio. Sempre rispetto a 10 anni fa, si sono ridotti del 40% il peso e il volume degli imballaggi utilizzati e si sono ridotti del 17% i costi relativi al loro trasporto, incrementando del 10% la quantità di materiale riutilizzato.
Pochi dati che però ci fanno capire la rilevanza - in termini sociali e ambientali - dei risultati raggiunti dalle politiche di sostenibilità adottate da molte aziende del settore alimentare. Un tema, strategico per il comparto, che non a caso è stato posto al centro della 4ª edizione di “Apertamente” (8-15 novembre 2010), iniziativa dedicata quest’anno al “Gusto Sostenibile”.
Il Centro Studi di Federalimentare, per l’occasione, ha raccolto una serie di dati per mettere in luce gli sforzi che l’industria alimentare ha fatto negli ultimi anni con l’intenzione di salvaguardare l’ambiente e perseguire l’obiettivo di uno sviluppo, appunto, sostenibile.
Un dato complessivo – nella sua oggettività - emerge su tutti. L’impatto diretto del comparto alimentare sull’ambiente è molto più limitato di quanto non si creda.
L’industria alimentare in Italia è responsabile, infatti, di appena l’1,5% dei consumi totali di energia e sempre dell’1,5% delle emissioni totali di gas con effetto serra.
Anche se guardiamo al peso relativo all’interno della filiera agroalimentare del nostro Paese ci accorgiamo che all’industria fanno capo l’11% del totale emissioni di C02 (la metà spetta all’agricoltura e il 18% direttamente ai consumatori) e l’1,8% dei consumi di acqua (il 60% viene utilizzata dall’agricoltura, ma va detto che per ragioni infrastrutturali in Italia assistiamo a un fenomeno di dispersione pari a circa il 40% del totale che transita negli acquedotti).
AGRICOLTURA E INDUSTRIA, INSIEME PER LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE…
Il vero sviluppo sostenibile in ambito alimentare – essendo strettissimo il legame fra tutti gli anelli della filiera agroalimentare - può essere raggiunto solo attraverso una responsabilità condivisa fra tutti gli attori coinvolti nel ciclo di vita, ma anche di consumo, del prodotto alimentare. “From farm to fork” tutti dovranno fare la propria parte, perché tutti incidono con le proprie attività sulle risorse naturali e devono, insieme, trovare il modo per risparmiarle e utilizzarle al meglio. Ciascuno può, e deve, stimolare gli altri protagonisti della filiera a fare sempre meglio e di più.
Una politica di sviluppo sostenibile non può, dunque, non partire da un’alleanza strategica fra industria alimentare - che acquista il 70% della produzione agricola in Italia e in Europa, non essendo autosufficiente per le materie prime di alcune filiere strategiche – e settore agricolo.
In questo contesto sono stati avviati, con fornitori italiani e stranieri, dei sistemi di gestione integrata che prevedono una partecipazione anche alle attività a monte della filiera, in un ottica di innovazione sostenibile. Nelle filiere complesse (tè, caffè, cacao, olio di palma, etc.) si procede con la selezione privilegiata di fornitori che aderiscono a standard internazionali in grado di garantire la tutela ambientale e sociale dei sistemi produttivi. Il ricorso (in termini percentuali sul totale) a questa tipologia di materie prime sta crescendo da parte di molte aziende, in alcuni casi avvicinandosi o sfiorando l’80-90% delle necessità globali.

CONSUMI IDRICI: IN 20 ANNI, CIRCA 30-40% DI ACQUA RISPARMIATA NEI PROCESSI PRODUTTIVI
L’acqua è una risorsa sempre più preziosa, a livello mondiale. L’industria alimentare italiana è da tempo impegnata nella promozione di un consumo idrico responsabile, in particolare attraverso investimenti in tecnologie salva-acqua finalizzate al miglioramento dell’efficienza dei processi e degli impianti, ma anche puntando sullo sviluppo di ogni forma di riuso delle acque di scarico, nel rispetto dei requisiti richiesti dall’UE per l’igiene dei cibi. L’Italia, infatti, è il Paese europeo, dopo la Spagna, con il miglior risultato già ottenuto - 230 milioni di m3 di acqua riciclati e riutilizzati - e il potenziale più ampio, circa 500 milioni di m3, nell’arco dei prossimi 15 anni (Ecologic Institute for International end European Environmental policy).
Dagli anni Novanta a oggi, i consumi di acqua da parte dell’industria alimentare si sono ridotti, in media, di circa il 30-40%. Ma esistono case history di importanti aziende alimentari italiane che documentano risparmi di acqua anche del 60-70% (per tonnellate di prodotto) e del 40-50% (in valori assoluti).
Solo per fare un esempio concreto: se una decina di anni fa, per produrre un litro di soft drink servivano 6 o 7 litri d’acqua, oggi è possibile arrivare a utilizzarne poco meno di 2 litri...
Per l’immediato futuro, focalizzando l’attenzione sul nostro Paese, il risparmio possibile nel settore del Food&Drink - secondo l’Ecologic Institute for International end European Environmental policy - è stato valutato in circa 257 milioni di metri cubi di acqua l’anno (2% del totale industria in Europa e 20% del manifatturiero italiano). Che corrisponde a un vantaggio, in termini economici, per le imprese, di circa 55 milioni di euro l’anno.

CO2 : NELL’ULTIMO DECENNIO INTENSITA’ DELLE EMISSIONI RIDOTTA DI CIRCA IL 30%
Le emissioni di gas con effetto serra costituiscono un fattore di crescente attenzione a livello mondiale nell’ambito delle politiche di lotta al cambiamento climatico e alla desertificazione. Il problema esiste ma le politiche d’investimento del settore alimentare in strategie di sostenibilità ambientali cominciano a dare i primi frutti: dal dossier Federalimentare scopriamo come in Europa, dai primi anni Novanta al 2006, il valore dell’industria alimentare è cresciuto complessivamente del +57%, mentre le emissioni di CO2 hanno avuto una crescita molto più contenuta, pari al +6%. Senza contare che dal 2000, il bilancio delle emissioni ha prima toccato il valore 0 di crescita, per 3 anni, per iniziare poi, dal 2003, a diminuire a un ritmo di circa l’1-3% annuo.
L’intensità complessiva delle emissioni di gas a effetto serra del comparto alimentare – in relazione ai tassi di sviluppo economico - è perciò diminuita di circa il -32%.
Volgendo lo sguardo al nostro Paese, scopriamo che nell’ultimo decennio, l’industria alimentare italiana, in linea con quella europea, ha ridotto l’intensità delle emissioni di CO2 di circa 30%. Mentre - confrontando i risultati testimoniati dai “Rapporti di sostenibilità” delle principali aziende del settore - si stima un risparmio energetico nell’ordine del 15-20%.
Per ridurre ulteriormente i consumi di energia e la produzione di emissioni, l’industria alimentare ha scelto la strada dell’innovazione tecnologica (impianti di co/tri/poligenerazione di energia elettrica, termica e refrigerante) e del miglioramento dell’efficienza dei propri sistemi produttivi.
Un aspetto della strategia di razionalizzazione energetica è il ricorso crescente ad energie “verdi” da fonti rinnovabili, che mirano a far crescere la quota di energia a impatto zero auto prodotta, come le biomasse di seconda generazione di origine vegetale e animale che scaturiscono dai processi di trasformazione alimentare, le fonti geotermiche, idroelettriche, eoliche e fotovoltaiche.






PACKAGING: PESO E VOLUME DEGLI IMBALLAGGI RIDOTTI DI CIRCA IL 40%
L’industria degli imballaggi alimentari nel mondo vale circa 100 miliardi di dollari l’anno e cresce al ritmo del 10% annuo, andando incontro a tendenze sociali come l’aumento dei single e dei pasti fuori casa. È stato calcolato, infatti, che un single produce due volte e mezzo (11 kg contro 4) più rifiuti da imballaggio rispetto a un individuo che vive in una famiglia di 4 persone (fonte INCPEN, Great Britain).
Oggi, nel Vecchio Continente, il settore alimentare produce circa il 3% dei rifiuti totali e il 65% di quelli da imballaggio. In questo contesto, l’industria alimentare italiana, coordinata dal sistema Conai (Consorzio Nazionale imballaggi), ha già raggiunto e superato ampiamente gli obiettivi di recupero e riciclo fissati a livello europeo: nel 2009, ha toccato il 72,3% di recupero e il 59,4% di riciclo complessivi sull’immesso al consumo.
In 10 anni, il comparto alimentare ha ottenuto una riduzione di peso e volume degli imballaggi di circa il 40%, una riduzione del 17% dei costi relativi al trasporto e l’incremento del 10% di materiale riutilizzato. Il che significa non aver immesso sul mercato 300 milioni di imballi primari ed un risparmio del 20% circa delle emissioni di CO2 (fonte CONAI).
Ma non è tutto. L’impegno del settore alimentare per ridurre i materiali utilizzati per gli imballaggi è testimoniato dai risparmi (rispetto agli standard dei pack originali) di materia prima riscontrati in molte categorie di prodotto. Nel caso del P.E.T. (la plastica delle bottoglie di bibite più diffuse) c’è stata una riduzione in volume pari al 30-40%; per le bottiglie di vetro, un calo del 50-60%; per l’alluminio delle lattine, una riduzione del 30%; per alcune tavolette di cioccolata, invece, del 50-60%; per le confezioni di alcune zuppe congelate, del 20-30%.
Per comprendere l’importanza del cosiddetto “eco design” basta un esempio su tutti: il collo di una bottiglietta di P.E.T. da mezzo litro accorciato di 4 millimetri ha permesso a un’azienda del settore soft drink di risparmiare 80 tonnellate di plastica l’anno per un controvalore di circa 100.000 euro.

SOTTOPRODOTTI: 85 MILIONI DI TONNELLATE UTILIZZATI COME MANGIMI O PER PRODURRE BIOCARBURANTI, ENERGIA E PRINCIPI NUTRITIVI
Dal dossier del Centro Studi Federalimentare scopriamo anche che l’industria alimentare in Europa genera circa 300 milioni di sottoprodotti e scarti, pari a circa il 65% dell’intero volume dei residui secchi e al 70% di quelli umidi. Questi sottoprodotti presentano qualità che ne rendono possibile l’utilizzo in vari ambiti, soprattutto di tipo nutrizionale, chimico, energetico ed agronomico. Per comprendere l’entità di questo business, basti pensare che ogni anno circa 85 milioni di tonnellate di derivati vengono utilizzati come mangimi e una quota considerevole di sottoprodotti viene utilizzata per produrre energie rinnovabili (biocarburanti) o principi nutritivi. L’industria alimentare è, quindi, impegnata nella valorizzazione integrale delle risorse che trasforma, in modo da ridurre al minimo la quantità di scarti. Si prodiga, inoltre, in una forte attività di sensibilizzazione volta al riconoscimento giuridico dei sottoprodotti, in modo da distinguerli chiaramente dal concetto di “rifiuti”.

R&D: 2 MILIARDI DI EURO L’ANNO SPESI PER L’INNOVAZIONE DI PRODOTTO E DI PROCESSO
L’innovazione gioca un ruolo cruciale nell’impegno dell’industria alimentare sulla strada della sostenibilità. Dati Federalimentare alla mano, l’investimento annuo dell’industria alimentare in R&D a favore dell’innovazione di prodotto e di processo è pari a 2 miliardi di euro (circa l’1,6% del fatturato dell’intero comparto).
In Europa, negli ultimi 3 anni, sono stati immessi sul mercato oltre 4.000 prodotti alimentari nuovi o “riformulati”. Alcuni prodotti alimentari ad alto contenuto di servizio consentono, infine, riduzioni di consumi di energia, di risorse e di potenziali inquinanti (per esempio, i detergenti per lavastoviglie) anche a livello domestico.

TUTELARE LA BIODIVERSITA’ IN NOME DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE
Il 2010 è stato dichiarato dall’ONU “anno mondiale della biodiversità”. Oggi, l’obiettivo di garantire il diritto al cibo per tutti e di preservare l’esistenza di un maggior numero possibile di forme viventi geneticamente diverse, è parte essenziale delle politiche di sviluppo sostenibile.
Per tutelare la biodiversità – che rappresenta una ricchezza da preservare anche a fini economici – l’industria alimentare svolge una costante attività di ricerca e innovazione, che contribuisce ad evitare l’estinzione di specie e razze. Sta promuovendo, inoltre, il sistema delle produzioni a qualità normata (DOP, IGP e STG per i prodotti agricoli e DOCG, DOC e IGT per il vino), che sono strumento di tutela dei processi e dei metodi di produzione, ma anche di valorizzazione delle tipicità che ne sono all’origine.
L’Italia è al primo posto in Europa per il riconoscimento di Dop, Igp e Stg: ben 194, che hanno consentito di registrare, in un anno, un fatturato al consumo che arriva a sfiorare gli 11 miliardi di euro.